Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49732 del 26/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 49732 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
nei confronti di:
PICCOLO GAETANO N. IL 26/01/1951
avverso l’ordinanza n. 124/2013 GIUD. SORVEGLIANZA di
NOVARA, del 04/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette/seittite le conclusioni del PG Dott. C,9_,QA.zae_ ifrLs14,„„itc,„ 2
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 26/11/2013

Ritenuto in fatto

1. Piccolo Gaetano, detenuto nella Casa circondariale di Novara e sottoposto
al regime speciale di cui all’art. 41-bis Ord. Pen., proponeva reclamo al
Magistrato di sorveglianza di Novara avverso la disposizione impartita dalla
direzione di quell’istituto che escludeva per i detenuti nei cui confronti era stata
disposta la sospensione delle normali regole di trattamento penitenziario, la
possibilità di fruire, in sostituzione del colloquio mensile di un ora coi familiari,

10, d.P.R. n. 230 del 2000, qualora i familiari siano residenti in un comune
diverso da quello in cui ha sede l’istituto.

2.

Il Magistrato di sorveglianza adito procedeva nelle forme del

contraddittorio camerale, richiamandosi alla decisione della Corte costituzionale
n. 26 del 1999 ed alla sentenza delle Sezioni Unite n. 25079 del 26/02/2003 dep. 10/06/2003, Gianni, Rv. 224604, secondo cui i provvedimenti
dell’Amministrazione penitenziaria in materia di colloqui visivi e telefonici dei
detenuti e degli internati, in quanto incidenti su di una «posizione soggettiva
meritevole di tutela» (nello specifico più che la libertà di comunicazione, quella di
poter coltivare gli affetti familiari), sono sindacabili in sede giurisdizionale
mediante reclamo al magistrato di sorveglianza che decide con ordinanza
ricorribile per cassazione secondo la procedura indicata nell’art. 14-ter della
legge 26 luglio 1975 n. 354 (cd. ordinamento penitenziario).
2.1 Nel merito, accoglieva il reclamo con ordinanza deliberata il 4 aprile
2013, ritenendo, in estrema sintesi, che le disposizioni regolamentari impugnate
dovevano “adeguarsi”, doverosamente, alle fonti normative più elevate in grado.
Rilevava in particolare il giudicante che l’art. 41 bis Ord. Pen., nello stabilire,
in via generale, che la sospensione delle regole di trattamento disposta nei
confronti di ben individuate categorie di detenuti od internati (e segnatamente di
quei soggetti con alty6 indice di “pericolosità qualificata” desunta dalla condotta
in libertà”) comporta le restrizioni necessarie per il soddisfacimento di esigenze
di ordine e di sicurezza pubblica, al comma 2 quater, con specifico riferimento ai
colloqui, si limita a prevedere soltanto la determinazione degli stessi nel numero
di uno al mese da svolgersi ad intervalli di tempo regolari ed in locali attrezzati
ad impedire il passaggio di oggetti. Orbene, poiché la citata norma nulla
stabilisce quanto alla durata dell’unico colloquio mensile previsto, da parte del
Magistrato di sorveglianza novarese si sostiene che “entrerebbe in gioco” la
disposizione generale di cui all’art. 37 del d.P.R. n. 230/2000, che sancisce, in
via generale per tutti i detenuti, che il colloquio deve avere la durata di un’ora.
In particolare tale disposizione, per quanto è dato comprendere, “entrerebbe in

ove non espletato, di un colloquio prolungato sino a due ore, ex art. 37 comma

gioco” nella sua interezza, anche laddove, al comma dieci, prevede che, se il
detenuto non ha fruito di alcun colloquio nella settimana precedente e se i
congiunti e i familiari risiedano in un comune diverso da quello in cui ha sede
l’istituto e se le esigenze e l’organizzazione dell’istituto lo consentono, in tal caso
il colloquio deve comunque essere prolungato sino a due ore.
Secondo il giudicante, in altri termini, anche nel caso di sospensione delle
normali regole trattamentali, ove il detenuto non abbia fruito di colloqui la
settimana precedente –

rectius

il mese precedente – e ricorrano gli altri

familiari del detenuto in un comune diverso da quello in cui ha sede l’istituto;
compatibilità del prolungamento della durata del colloquio con le esigenze e
l’organizzazione dell’istituto), deve allora trovare applicazione la regola
eccezionale che contempla l’ipotesi di un colloquio “compensativo” di maggior
durata (due ore) e la direzione dell’istituto non potrebbe, con una sua
disposizione, escludere preventivamente ed in via assoluta tale eventualità,
prevista “dalle fonti normative più elevate in grado”.

2. Avverso l’indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione,
chiedendone l’annullamento, il Ministero della giustizia – Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato.
2.1 Nel ricorso sottoscritto dall’Avvocatura dello Stato si sostiene, in primo
luogo, con riferimento anche al contenuto della sentenza della Corte
Costituzionale n. 190 del 26 maggio 2010, che in caso di sospensione delle
normali regole di trattamento penitenziario, la disciplina della materia dei
colloqui visivi risulta demandata in toto alla competenza ministeriale da una
regolamentazione di rango primario (l’art. 41 bis Ord. Pen.), la quale,
all’evidenza, si sovrappone a quella ordinaria vigente in materia di colloqui e
deroga espressamente, in particolare, a quanto disposto dall’art. 37 DPR
230/2000, norma regolamentare posta a fondamento della pronuncia impugnata.
Tale deroga – si sostiene – è generale e concerne il numero dei colloqui (uno
anziché quattro o sei), la possibilità di autorizzare colloqui con persone diverse
dai congiunti e conviventi (preclusa salvo casi eccezionali) e le modalità di
svolgimento (allestimento di locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di
oggetti e obbligo di videoregistrazione). In presenza di una disciplina ben definita
anche per quanto concerne la durata del colloquio, fissata dal DM in un’ora, non
può pertanto applicarsi, si sostiene in ricorso, quanto previsto dall’art. 37 DPR n.
230/2000 che consente di derogare a tale regola.
Il prolungamento a due ore, nell’ipotesi che i congiunti del detenuto
risiedano in Comune diverso da quello di detenzione, è infatti eccezione
giustificabile per i detenuti sottoposti al regime ordinario, i quali, in ossequio al
2

presupposti indicati nell’art. 37 d.P.R. n. 230/2000 (residenza di congiunti e

principio di territorialità della pena, devono essere ristretti in istituti prossimi alla
residenza della famiglia, ma non per quelli sottoposti al regime speciale previsto
dall’art. 41 bis Ord. Pen., i quali devono essere assegnati ad istituti di pena
lontani dal luogo di radicamento criminoso, nonché, in base a quanto previsto dal
comma 2 quater, “all’interno di istituti a loro dedicati, collocati preferibilmente in
aree insulari”), con la conseguenza, si deduce in ricorso, che l’applicazione al
caso in esame dell’eccezione prevista dall’art. 37 comma 10 del DPR n.
230/2000 finirebbe paradossalmente per tradursi in una regola, pregiudicando il

speciale. Diversamente opinando, si sostiene, dovrebbe ammettersi la possibilità
che le previsioni del DM di sottoposizione del detenuto al regime carcerario
speciale possano essere disapplicate e modificate, ad opera dei direttori degli
istituti di pena ovvero dell’autorità giudiziaria, in aperta violazione di quanto
previsto dai commi 2 quinquies e 2 sexies del citato art. 41 bis in tema di
reclamo avverso il decreto ministeriale. Le prescrizioni contenute nel DM, si
sostiene in ricorso, comportando deroghe al regime carcerario ordinario, non
possono essere sindacate e modificate se non dalla stessa autorità
amministrativa che le ha emesse e devono quindi intendersi sottratte alla
giurisdizione della magistratura di sorveglianza, la quale non può operare al di
fuori delle ipotesi tipiche ad essa riservate dalla legge, come del resto statuito
dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale con sentenza n. 26/1999.
L’ordinanza impugnata, in conclusione, sarebbe viziata da un’errata
interpretazione della legge, nel senso che la materia di cui trattasi deve ritenersi
assoggettata alle disposizioni specificamente concernenti le modalità dei colloqui
contemplate dall’art. 41 bis Ord. Pen. e non a quelle generali (e di rango
inferiore) contenute nel d.P.R. n. 230/2000, risultando tale interpretazione, del
resto, del tutto conforme al generale principio di specialità.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria ha
chiesto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.
Al riguardo si fa rilevare, infatti, che correttamente il Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria denuncia l’illegittimità dell’ordinanza
impugnata, fondata su l’erronea applicazione dell’art. 41 bis Ord. Pen. e dell’art.
37, comma 10, del d.P.R. n. 230/2000, evidenziando al riguardo, con diffuse
argomentazioni, che la decisione impugnata si sostanzia in un “ribaltamento del
rapporto tra regola ed eccezione”.
In particolare da parte del requirente si sostiene che la disposizione in tema
di colloqui contenuta nell’art. 41 bis, comma 2 quater Ord. Pen. nasce già come
disciplina di natura eccezionale e derogatoria a quanto previsto dall’art. 37 del
dpr 230/2000, nel senso che già la semplice regola, in base alla quale i colloqui
3

raggiungimento delle esigenze di prevenzione perseguite dal regime carcerario

resi possibili per i detenuti in regime di sospensione delle normali regole di
trattamento sono determinati nel numero di uno al mese da svolgersi a intervalli
di tempo regolari, si pone in termini d’incompatibilità logica con la condizione
che, nell’art. 37, co. 10, Ord. Pen., rende possibile la deroga sulla durata, ossia
che nella settimana precedente non vi siano stati altri colloqui.
Tale, infatti, è la situazione normale per il detenuto soggetto al regime di cui
all’art. 41 bis, il quale può fruire soltanto di un colloquio al mese a cadenze
regolari. Invertirebbe, poi, il senso del rapporto tra regola ed eccezione il così

ipotesi eccezionale (ossia la detenzione in istituti lontani dalla residenza
familiare) per i detenuti soggetti al regime di cui all’art. 41 bis è prevista come
ipotesi normale; cosicché, se tale situazione dovesse ritenersi sufficiente a
giustificare una durata più prolungata del colloquio, si determinerebbe come
effetto l’autorizzazione, in termini di ipotesi normale, di colloqui della durata di
due ore.
Nè potrebbe giustificare il ricorso al colloquio di durata superiore l’esigenza
compensativa, costituita dalla mancanza di fruizione del colloquio nella settimana
precedente; anche tale condizione si verifica stabilmente per i detenuti in regime
di 41 bis, i quali, infatti, possono fruire solo di un colloquio al mese e a cadenze
regolari, cosicché è impossibile che nella settimana precedente al colloquio ne
abbiano effettuato un altro.
Un’esigenza compensativa, si sostiene da parte del PG, potrebbe, invece,
riguardare l’ipotesi in cui nel mese precedente il detenuto soggetto a regime
speciale non abbia fruito del colloquio, ma non è quanto risulta espressamente
disposto nella norma di cui all’art. 37 del d.P.R n. 230/2000, sulla quale il
legislatore non ritenne di operare alcun intervento correttivo per adeguare o
comunque completare una disciplina derogatoria a quanto previsto nell’art. 41
bis; cosicché si tratterebbe di operare un’interpretazione creativa più che
adeguatrice.
Residua, dunque, ad avviso del requirente, un interrogativo di fondo:
qualora il detenuto non abbia fruito del colloquio mensile può ottenere nel
colloquio successivo una disponibilità di tempo doppia a quella normalmente
consentita (ossia un colloquio di due ore piuttosto che di un’ora)?
Tale risposta, si sostiene, non sembra potersi rinvenire nel comma 10
dell’art. 37 del d.P.R n. 230/2000, che, per la sua formulazione (esclusivamente
tarata sui detenuti in regime ordinario) non può attagliarsi alla detenzione ex art.
41 bis ord. pen.
Esclude altresì il Procuratore requirente che nella mancanza di norme idonee
a muoversi nel solco della compensazione tra colloqui non fruiti e colloqui fruibili
con previsione di durata maggiore di quella statuita in via ordinaria, possa
4

detto “fattore geografico”, giacché ciò che per i detenuti ordinari è previsto come

ravvisarsi una lesione irragionevole (e, dunque, suscettibile di verifica per il
tramite del criterio di cui all’art. 3 della Costituzione) dei diritti fondamentali del
condannato.
Le limitazioni imposte, si osserva, si radicano nelle esigenze di ordine e di
sicurezza, anche con riguardo alla materia dei colloqui.
Come già affermato da questa Corte (Sez. 1, n. 49274 del 12/11/2004 dep. 22/12/2004, P.G. in proc. Paviglianiti, Rv. 230702), i collegamenti di alcuni
detenuti ad alto indice di pericolosità con gli ambienti criminali esterni di

telefonici con i familiari e con i conviventi, cosicché, si fa rilevare, una loro
diversa modulazione e frequenza muove dall’obbiettivo di prevenire (o quanto
meno ridurre al minimo) le possibilità di collegamenti con l’ambiente esterno.

4. Con memoria pervenuta il 28 ottobre 2013, la difesa del Piccolo ha
richiesto il rigetto del ricorso sostenendo che l’ordinanza impugnata è immune da
censure e deve essere confermata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso proposto dal Ministero della Giustizia – Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria è infondato e non può, quindi, trovare
accoglimento.
1.1 Nessun effettivo profilo di illegittimità è infatti ravvisabile, ad avviso del
collegio, nell’ordinanza impugnata, la quale, in accoglimento del reclamo
proposto ex art. 35 Ord. Pen. da un detenuto nei cui confronti risultavano
sospese le normali regole di trattamento dei detenuti ed internati, ha
fondatamente dichiarato inefficace, nei confronti dello stesso, la disposizione
interna con la quale la direzione della Casa di reclusione di Novara riteneva, a
ragione della sola adozione del decreto di sospensione delle normali regole di
trattamento, di dover escludere, in modo assoluto, la possibilità, per tale
categoria di detenuti, di fruire – in alternativa al colloquio mensile di un’ora coi
familiari – di un colloquio prolungato sino a due ore, ex art. 37 comma 10, d.P.R.
n. 230 del 2000, qualora i familiari siano residenti in un comune diverso da
quello in cui ha sede l’istituto.
1.2 Al riguardo va anzitutto precisato che sulla specifica questione oggetto
del presente giudizio, questa Corte, di recente, ha già avuto occasione di
pronunciarsi, riconoscendo l’applicabilità del disposto normativo di cui all’art. 37
comma 10 d.P.R. 30 giugno 2000 n. 230, anche ai detenuti sottoposti al regime
differenziato di cui all’art. 41 bis Ord. Pen. (in tal senso, Sez. 1, sentenza n.

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appartenenza possono realizzarsi in vari modi proprio attraverso i colloqui visivi e

39537 del 24 giugno 2013, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Reggio Emilia in proc. Mandalà).
Orbene da tale decisione questo Collegio, condividendola pienamente,
ritiene di non doversi discostare.
1.3 Ed invero il principale se non esclusivo argomento prospettato
dall’Amministrazione a fondamento della richiesta di annullamento dell’ordinanza
impugnata, si fonda sull’assunto che la definizione dei contenuti dello speciale
regime carcerario ex art. 41 bis Ord. Pen. risulterebbe “demandata in toto alla

sovrapporrebbe a quella ordinaria vigente in materia di colloqui, derogandovi
espressamente, con la conseguenza che il prolungamento a due ore della durata
del colloquio, previsto dall’art. 37 comma 10, d.P.R. 30 giugno 2000 n. 230
sarebbe inapplicabile ai detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all’art.
41 bis Ord. Pen..
1.4 Tale tesi, però, non può trovare accoglimento, basandosi su delle
argomentazioni astratte che non trovano effettiva giustificazione nell’esegesi del
novellato art. 41 bis Ord. Pen..
1.4.1 Al riguardo va infatti osservato, in primo luogo, che se è pur vero che
l’art. 41 bis Ord. Pen. attribuisce al Ministro della Giustizia il potere di
sospendere – si badi “in tutto o in parte” – l’applicazione delle normali regole di
trattamento dei detenuti ed internati, in correlazione con una “pericolosità
qualificata” degli stessi, sta di fatto, però, che tale norma – che già la Corte
Costituzionale, nella sentenza 28 luglio 1993 n. 349, ebbe a definire di “non
felice formulazione” – non risulta affatto “demandare in toto alla competenza
ministeriale” i contenuti del trattamento applicabile ai detenuti portatori di una
“pericolosità qualificata”, né ha dettato una regolamentazione “speciale”
dell’istituto, che si sovrapponga totalmente a quella ordinaria.
1.4.2 Al contrario, come correttamente osservato in dottrina, “la novella
legislativa sull’art. 41- bis reca il merito di avere posto chiarezza in ordine alla
stabilità nel sistema di un istituto considerato figlio dell’emergenza, ma sempre
più diffuso nell’applicazione”, provvedendo, nel contempo, “a dare certezza
regolando i contenuti del regime, la cui definizione, per troppo tempo, era stata
rimessa interamente, ed “in bianco”, all’autorità amministrativa”.
1.4.3 II contenuto del “regime detentivo speciale”, pertanto, come a ragione
osservato in dottrina, risulta regolato dalla legge con previsioni operanti su un
doppio livello.
Un primo livello, per così dire “generale”, caratterizzato dalla regola della
proporzionalità, in virtù della quale sono ammesse solo restrizioni al regime
ordinario che siano necessarie agli scopi di prevenzione cui la misura e‘
finalizzata. Il secondo livello di regole, invece, indica i contenuti del regime, e
6

competenza ministeriale da una regolamentazione di rango primario”, che si

per quanto attiene la materia dei colloqui, che in questa sede specificamente
interessa: ne stabilisce il numero (uno al mese); le modalità, da svolgersi ad
intervalli di tempo regolari ed in locali attrezzati, in modo da impedire il
passaggio di oggetti, vietando, nel contempo, i colloqui con persone diverse dai
familiari e conviventi, salvo casi eccezionali determinati volta per volta dal
direttore dell’istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di
primo grado, dall’autorità giudiziaria competente.
La norma, prevede altresì, che i colloqui vengono sottoposti a controllo

giudiziaria competente; solo per coloro che non effettuano colloqui può essere
autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell’istituto ovvero, per gli
imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall’autorità
giudiziaria competente, e solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio
telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci
minuti sottoposto, comunque, a registrazione. I colloqui sono comunque
videoregistrati. Queste limitazioni, per altro, non si applicano ai colloqui con i
difensori, per i quali la norma prevedeva invece specifiche limitazioni, ritenute
per altro costituzionalmente illegittime dalla Consulta, con sentenza 20 giugno
2013 n° 143.
1.5 Ciò posto, evidenziato che l’art. 41 bis Ord. Pen., nulla stabilisce sulla
durata massima del colloquio – che nel ricorso, senza alcuna specifica produzione
documentale, si afferma fissata dal decreto ministeriale in un’ora, limite
temporale significativamente coincidente con quello fissato dall’art. 37 comma
10, del d.P.R. n. 230/2000 – e che il parametro di riferimento della norma è
comunque rappresentato dalle “normali regole di trattamento dei detenuti”, deve
allora senz’altro condividersi il principio di diritto che è a base della precedente
decisione di questa Corte in argomento, secondo cui l’ampiezza della previsione
normativa in materia di colloqui è tale da indurre a ritenere «che ulteriori
limitazioni, al di là di quelle previste, non siano possibili, salvo che derivino da
un’assoluta incompatibilità della norma ordinamentale – di volta in volta
considerata – con i contenuti normativi tipici del regime differenziato».
Meglio definendo tale principio, questo Collegio ritiene allora possa
affermarsi, in buona sostanza, che in assenza di specifiche previsioni contenute
nel decreto ministeriale – insussistenti in riferimento al tema dei colloqui
“compensativi”, nulla precisando sul punto l’amministrazione ricorrente – anche
per il detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis Ord. Pen., possono
trovare applicazione le norme dell’ordinamento penitenziario non oggetto di
sospensione.
1.6 II provvedimento impugnato, per altro, va confermato non tanto perché
per la direzione degli istituti penitenziari sussista, nella stesura delle disposizioni
7

auditivo ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell’autorità

interne, «un dovere di adeguamento alle fonti normative più elevate in grado»,
così come affermato dal Magistrato di sorveglianza, occorrendo considerare, al
riguardo, per un verso, che nel caso di specie, la disposizione reclamata non
risulta aver negato il diritto soggettivo del detenuto al colloquio, ma soltanto
escluso la possibilità di una “eventuale” proroga della sua durata massima; e che
la lett. a) del nuovo comma 2- quater, prevede comunque la possibilità, sia pure
alquanto generica (non potendo tale disposizione, conformemente a quanto
sostenuto in dottrina, interpretarsi, anche in base ai lavori preparatori, come una

regime speciale), di adottare “misure di elevata sicurezza interna ed esterna” al
fine di impedire collegamenti, contrasti o interazioni con singoli o con realtà
criminali organizzate o con altri detenuti, quanto, piuttosto, per la decisiva
considerazione che la disposizione reclamata, per quanto si ricava dalla difese
dell’amministrazione, non risulta sia stata adottata per contingenti ragioni di
sicurezza interna ed esterna, ma, in via generale ed astratta, sul presupposto di
una pretesa incompatibilità tra le disposizioni dell’ordinamento penitenziario che
prevedono, in determinati casi, una possibilità di proroga della durata massima
del colloquio con le disposizioni “speciali” previste dall’art. 41 bis Ord. Pen., in
tema di colloqui.
1.7 Sul punto, premesso che l’art. 37 comma 10 d.P.R. 30 giugno 2000 n.
230 prevede – in via generale e per tutti i detenuti – due ipotesi di
«ampliamento» della durata del colloquio, la prima correlata a «eccezionali
circostanze» da valutarsi, dunque, caso per caso, la seconda correlata a due
condizioni obiettive rappresentate dalla extraterritorialità del luogo di detenzione
rispetto a quello di residenza dei congiunti, unita alla circostanza della mancata
fruizione del colloquio nella «settimana precedente» e sempre che le esigenze e
l’organizzazione dell’istituto lo consentano, va infatti qui ribadita la validità di
quanto affermato da questa Corte nella sua precedente decisione in argomento,
nel senso che, «è evidente che mentre la prima previsione (circostanze
eccezionali) non può dirsi in alcun modo in contrasto con le previsioni normative
caratterizzanti il regime differenziato (e risulta dunque sempre applicabile, ferma
restando la valutazione della eccezionalità del caso) la seconda previsione va
«adattata» alle caratteristiche ontologiche della detenzione «conformata» ai
sensi dell’art. 41 bis ord. pen.. In particolare, ricorrendo tendenzialmente in
modo stabile il presupposto della extraterritorialità (data l’allocazione dei
detenuti sottoposti al regime del 41 bis), è evidente che l’interpretazione dei
secondo presupposto (mancanza di colloquio nella settimana precedente) non
può essere riferita a tale particolare «categoria» di detenuti, essendo per
definizione assente il colloquio settimanale, sostituito da quello mensile. Detta
parte della norma potrà dunque – secondo un criterio interpretativo logico8

delega “in bianco” al potere ministeriale di determinazione dei contenuti del

sistematico – trovare applicazione lì dove il detenuto sottoposto al regime
differenziato di cui all’art. 41 bis ord. pen. non abbia effettuato il previsto
colloquio nel «mese» antecedente.

2. In conclusione, esclusa l’esistenza di un divieto assoluto, per i detenuti
nei cui confronti sia stata disposta che la sospensione delle normali regole di
trattamento, di fruire in alternativa al colloquio mensile di un’ora coi familiari,
spetterà di volta in volta alla direzione del carcere, ove sussistano ben inteso le

l’organizzazione lo consentano, valutare l’accoglibilità delle varie richieste di
proroga della durata del colloquio.

P.Q.M.

La Corte, a scioglimento della riserva adottata in data 15/11/2013, rigetta il
ricorso.e._ ce(44

41.42-

14:C~AATt-

kte(“1-44° °e)22.9Q– –

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013.

064

condizioni previste dall’art. 37 comma 10, del d.P.R. n. 230/2000 e le esigenze e

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