Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49729 del 26/11/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 49729 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: ZAMPETTI UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
nei confronti di:
ATTANASIO ALESSIO N. IL 16/07/1970
inoltre:
ATTANASIO ALESSIO N. IL 16/07/1970
avverso l’ordinanza n. 1245/2013 GIUD. SORVEGLIANZA di
NOVARA, del 04/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO ZAMPETTI;
lette/salitile le conclusioni del PG Dott. c,-,/tsp i E—L e 01 4 237Fr-4.
q cAt., rex ro amucreectute..44.4

Uditi difensor Avv.;

t,,

Data Udienza: 26/11/2013

Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 04.04.2013 il Magistrato di Sorveglianza di Novara
accoglieva il reclamo proposta da Alessio Attanasio, detenuto sottoposto al regime
previsto dall’art. 41 bis Ord. Pen., avente ad oggetto la possibilità di fruire di un
colloquio con i familiari prolungato fino a due ore, risiedendo gli stessi fuori comune,
alle condizioni di cui all’art. 37 DPR 230/2000.Rilevava invero detto magistrato, dapprima -premessi i principi in materia quali

Corte europea- che il reclamo era ammissibile, involgendo posizioni soggettive
tutelabili; osservava poi, nel merito, come il reclamo fosse fondato, così respingendo
anzitutto le osservazioni della Direzione della Casa Circondariale secondo cui si
trattava di materia di competenza ministeriale; poiché nell’art. 41 bis Ord. Pen. non
è dato rinvenire una regolamentazione specifica per i detenuti soggetti a tale regime,
si doveva applicare anche a costoro la possibilità di colloqui prolungati ai sensi ed
alle condizioni di cui al cit. art. 37.2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il Ministero della
Giustizia, Amministrazione Penitenziaria, che, con atto dell’Avvocato Distrettuale
dello Stato, deduceva violazione di legge argomentando -in sintesi- nei seguenti
termini : il provvedimento impugnato faceva erronea applicazione degli art. 41 bis
Ord. Pen. e 37 del relativo regolamento, posto che con la novella di cui alla L.
94/2009 la materia dei colloqui e delle sue restrizioni era rimessa, per i detenuti
sottoposti a tale regime, a determinazione ministeriale; non residuava pertanto né
discrezionalità per il Direttore dell’Istituto, né potere di dare disposizioni contrarie in
capo al Magistrato di Sorveglianza.3. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione anche il predetto
Attanasio che denunciava vizio di motivazione, posto che egli aveva fatto reclamo in
relazione a due richieste specifiche sulle quali non vi era stata risposta; si trattava
poi di un apparente accoglimento, in quanto si rimetteva la fruizione del colloquio
prolungato alla discrezionalità organizzativa della Direzione dell’Istituto.Lo stesso Attanasio inviava poi memorie in data 16.08.2013 e 17.10.2013 con le
quali segnalava recente pronunciamento di questa Corte nella specifica materia
(sentenza n. 39537 in data 24.06.2013).-

4. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha
chiesto l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.-

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elaborati dalla giurisprudenza di rango costituzionale e di legittimità, nonché della

Al riguardo si fa rilevare, infatti, che correttamente il Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria denuncia l’illegittimità dell’ordinanza impugnata,
fondata su l’erronea applicazione dell’art. 41 bis Ord. Pen. e dell’art. 37, comma 10,
del D.P.R. n. 230/2000, evidenziando al riguardo, con diffuse argomentazioni, che la
decisione impugnata si sostanzia in un “ribaltamento del rapporto tra regola ed
eccezione”.In particolare da parte del requirente si sostiene che la disposizione in tema di
colloqui contenuta nell’art. 41 bis, comma 2 quater Ord. Pen. nasce già come

D.P.R. 230/2000, nel senso che già la semplice regola, in base alla quale i colloqui
resi possibili per i detenuti in regime di sospensione delle normali regole di
trattamento sono determinati nel numero di uno al mese da svolgersi a intervalli di
tempo regolari, si pone in termini d’incompatibilità logica con la condizione che,
nell’art. 37, co. 10, Ord. Pen., rende possibile la deroga sulla durata, ossia che nella
settimana precedente non vi siano stati altri colloqui.Tale, infatti, è la situazione normale per il detenuto soggetto al regime di cui
all’art. 41 bis, il quale può fruire soltanto di un colloquio al mese a cadenze regolari.
Invertirebbe, poi, il senso del rapporto tra regola ed eccezione il così detto “fattore
geografico”, giacché ciò che per i detenuti ordinari è previsto come ipotesi
eccezionale (ossia la detenzione in istituti lontani dalla residenza familiare) per i
detenuti soggetti al regime di cui all’art. 41 bis è prevista come ipotesi normale;
cosicché, se tale situazione dovesse ritenersi sufficiente a giustificare una durata più
prolungata del colloquio, si determinerebbe come effetto l’autorizzazione, in termini
di ipotesi normale, di colloqui della durata di due ore.Né potrebbe giustificare il ricorso al colloquio di durata superiore l’esigenza
compensativa, costituita dalla mancanza di fruizione del colloquio nella settimana
precedente; anche tale condizione si verifica stabilmente per i detenuti in regime di
41 bis, i quali, infatti, possono fruire solo di un colloquio al mese e a cadenze
regolari, cosicché è impossibile che nella settimana precedente al colloquio ne
abbiano effettuato un altro.Un’esigenza compensativa, si sostiene da parte del PG, potrebbe, invece,
riguardare l’ipotesi in cui nel mese precedente il detenuto soggetto a regime speciale
non abbia fruito del colloquio, ma non è quanto risulta espressamente disposto nella
norma di cui all’art. 37 del D.P.R n. 230/2000, sulla quale il legislatore non ritenne di
operare alcun intervento correttivo per adeguare o comunque completare una
disciplina derogatoria a quanto previsto nell’art. 41 bis; cosicché si tratterebbe di
operare un’interpretazione creativa più che adeguatrice.Residua, dunque, ad avviso del requirente, un interrogativo di fondo: qualora il
detenuto non abbia fruito del colloquio mensile può ottenere nel colloquio successivo
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disciplina di natura eccezionale e derogatoria a quanto previsto dall’art. 37 del

una disponibilità di tempo doppia a quella normalmente consentita (ossia un
colloquio di due ore piuttosto che di un’ora)?
Tale risposta, si sostiene, non sembra potersi rinvenire nel comma 10 dell’art.
37 del D.P.R n. 230/2000, che, per la sua formulazione (esclusivamente tarata sui
detenuti in regime ordinario) non può attagliarsi alla detenzione ex art. 41 bis ord.
pen.Esclude altresì il Procuratore requirente che nella mancanza di norme idonee a
muoversi nel solco della compensazione tra colloqui non fruiti e colloqui fruibili con

lesione irragionevole (e, dunque, suscettibile di verifica per il tramite del criterio di
cui all’art. 3 della Costituzione) dei diritti fondamentali del condannato.Le limitazioni imposte, si osserva, si radicano nelle esigenze di ordine e di
sicurezza, anche con riguardo alla materia dei colloqui.Come già affermato da questa Corte (Sez. 1, n. 49274 del 12/11/2004 – dep.
22/12/2004, P.G. in proc. Paviglianiti, Rv. 230702), i collegamenti di alcuni detenuti
ad alto indice di pericolosità con gli ambienti criminali esterni di appartenenza
possono realizzarsi in vari modi proprio attraverso i colloqui visivi e telefonici con i
familiari e con i conviventi, cosicché, si fa rilevare, una loro diversa modulazione e
frequenza muove dall’obbiettivo di prevenire (o quanto meno ridurre al minimo) le
possibilità di collegamenti con l’ambiente esterno.Considerato in diritto
1. Il ricorso proposto dal Ministero della Giustizia – Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria è infondato e non può, quindi, trovare
accoglimento.Anche il ricorso dell’Attanasio, formulato come sopra si è sinteticamente
riportato, deve essere respinto, lamentando egli solo una motivazione (non un esito
decisionale) del provvedimento impugnato non totalmente collimante con le sue
aspettative. Peraltro la decisione assunta da questa Corte nella presente sede
assorbe di fatto le ragioni della doglianza del condannato, ivi comprese le prodotte
memorie.1.1 Nessun effettivo profilo di illegittimità è infatti ravvisabile, ad avviso del
collegio, nell’ordinanza impugnata, la quale, in accoglimento del reclamo proposto ex
art. 35 Ord. Pen. da un detenuto nei cui confronti risultavano sospese le normali
regole di trattamento dei detenuti ed internati, ha fondatamente dichiarato
inefficace, nei confronti dello stesso, la disposizione interna con la quale la direzione
della Casa di reclusione di Novara riteneva, a ragione della sola adozione del decreto
di sospensione delle normali regole di trattamento, di dover escludere, in modo
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previsione di durata maggiore di quella statuita in via ordinaria possa ravvisarsi una

assoluto, la possibilità, per tale categoria di detenuti, di fruire – in alternativa al
colloquio mensile di un’ora coi familiari – di un colloquio prolungato sino a due ore,
ex art. 37 comma 10, D.P.R. n. 230 del 2000, qualora i familiari siano residenti in un
comune diverso da quello in cui ha sede l’istituto.1.2 Al riguardo va anzitutto precisato che sulla specifica questione oggetto del
presente giudizio, questa Corte, di recente, ha già avuto occasione di pronunciarsi,
riconoscendo l’applicabilità del disposto normativo di cui all’art. 37 comma 10 D.P.R.
30 giugno 2000 n. 230, anche ai detenuti sottoposti al regime differenziato di cui

Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia in proc. Mandalà).Orbene da tale decisione questo Collegio, condividendola pienamente, ritiene di
non doversi discostare.1.3 Ed invero il principale -se non esclusivo- argomento prospettato
dall’Amministrazione a fondamento della richiesta di annullamento dell’ordinanza
impugnata si fonda sull’assunto che la definizione dei contenuti dello speciale regime
carcerario ex art. 41 bis Ord. Pen. risulterebbe “demandata in toto alla competenza
ministeriale da una regolamentazione di rango primario”, che si sovrapporrebbe a
quella ordinaria vigente in materia di colloqui, derogandovi espressamente, con la
conseguenza che il prolungamento a due ore della durata del colloquio, previsto
dall’art. 37 comma 10, D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230 sarebbe inapplicabile ai
detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41 bis Ord. Pen.1.4 Tale tesi, però, non può trovare accoglimento, basandosi su delle
argomentazioni astratte che non trovano effettiva giustificazione nell’esegesi del
novellato art. 41 bis Ord. Pen.1.4.1 Al riguardo va infatti osservato, in primo luogo, che se è pur vero che l’art.
41 bis Ord. Pen. attribuisce al Ministro della Giustizia il potere di sospendere – si badi
“in tutto o in parte” – l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti
ed internati, in correlazione con una “pericolosità qualificata” degli stessi, sta di
fatto, però, che tale norma – che già la Corte Costituzionale, nella sentenza 28 luglio
1993 n. 349, ebbe a definire di “non felice formulazione” – non risulta affatto
“demandare in toto alla competenza ministeriale” i contenuti del trattamento
applicabile ai detenuti portatori di una “pericolosità qualificata”, né ha dettato una
regolamentazione “speciale” dell’istituto, che si sovrapponga totalmente a quella
ordinaria.1.4.2 Al contrario, come correttamente osservato in dottrina, “la novella
legislativa sull’art. 41 bis Ord. Pen. reca il merito di avere posto chiarezza in ordine
alla stabilità nel sistema di un istituto considerato figlio dell’emergenza, ma sempre
più diffuso nell’applicazione”, provvedendo, nel contempo, “a dare certezza

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all’art. 41 bis Ord. Pen. (in tal senso, Sez. 1, 24 giugno 2013, Procuratore della

regolando i contenuti del regime, la cui definizione, per troppo tempo, era stata
rimessa interamente, ed “in bianco”, all’autorità amministrativa”.1.4.3 n contenuto del “regime detentivo speciale”, pertanto, come a ragione
osservato in dottrina, risulta regolato dalla legge con previsioni operanti su un
doppio livello.Un primo livello, per così dire “generale”, è caratterizzato dalla regola della
proporzionalità, in virtù della quale sono ammesse solo restrizioni al regime ordinario
che siano necessarie agli scopi di prevenzione cui la misura è finalizzata. Il secondo

dei colloqui, che in questa sede specificamente interessa: ne stabilisce il numero
(uno al mese); le modalità, da svolgersi ad intervalli di tempo regolari ed in locali
attrezzati, in modo da impedire il passaggio di oggetti, vietando, nel contempo, i
colloqui con persone diverse dai familiari e conviventi, salvo casi eccezionali
determinati volta per volta dal direttore dell’istituto ovvero, per gli imputati fino alla
pronuncia della sentenza di primo grado, dall’autorità giudiziaria competente.La norma, prevede altresì, che i colloqui vengono sottoposti a controllo auditivo
ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell’autorità giudiziaria
competente; solo per coloro che non effettuano colloqui può essere autorizzato, con
provvedimento motivato del direttore dell’istituto ovvero, per gli imputati fino alla
pronuncia della sentenza di primo grado, dall’autorità giudiziaria competente, e solo
dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio telefonico mensile con i familiari e
conviventi della durata massima di dieci minuti sottoposto, comunque, a
registrazione. I colloqui sono comunque videoregistrati. Queste limitazioni, peraltro,
non si applicano ai colloqui con i difensori, per i quali la norma prevedeva invece
specifiche limitazioni, ritenute invero costituzionalmente illegittime dalla Consulta
con sentenza 20 giugno 2013 n° 143.1.5 Ciò posto, evidenziato che l’art. 41 bis Ord. Pen., nulla stabilisce sulla durata
massima del colloquio – che nel ricorso, senza alcuna specifica produzione
documentale, si afferma fissata dal decreto ministeriale in un’ora, limite temporale
significativamente coincidente con quello fissato dall’art. 37 comma 10, del D.P.R. n.
230/2000 – e che il parametro di riferimento della norma è comunque rappresentato
dalle “normali regole di trattamento dei detenuti”, deve allora senz’altro condividersi
il principio di diritto che è a base della precedente decisione di questa Corte in
argomento, secondo cui l’ampiezza della previsione normativa in materia di colloqui
è tale da indurre a ritenere «che ulteriori limitazioni, al di là di quelle previste, non
siano possibili, salvo che derivino da un’assoluta incompatibilità della norma
ordinamentale – di volta in volta considerata – con i contenuti normativi tipici del
regime differenziato».-

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livello di regole, invece, indica i contenuti del regime, e per quanto attiene la materia

Meglio definendo tale principio, questo Collegio ritiene allora possa affermarsi, in
buona sostanza, che in assenza di specifiche previsioni contenute nel decreto
ministeriale – insussistenti in riferimento al tema dei colloqui “compensativi”, nulla
precisando sul punto l’amministrazione ricorrente – anche per il detenuto sottoposto
al regime di cui all’art. 41 bis Ord. Pen., possono trovare applicazione le norme
dell’ordinamento penitenziario non oggetto di sospensione.1.6 n provvedimento impugnato, peraltro, va confermato non tanto perché per
la direzione degli istituti penitenziari sussista, nella stesura delle disposizioni interne,

affermato dal Magistrato di sorveglianza, occorrendo considerare, al riguardo, per un
verso, che nel caso di specie, la disposizione reclamata non risulta aver negato il
diritto soggettivo del detenuto al colloquio, ma soltanto escluso la possibilità di una
“eventuale” proroga della sua durata massima; e che la lett. a) del nuovo comma 2
quater, prevede comunque la possibilità, sia pure alquanto generica (non potendo
tale disposizione, conformemente a quanto sostenuto in dottrina, interpretarsi,
anche in base ai lavori preparatori, come una delega “in bianco” al potere
ministeriale di determinazione dei contenuti del regime speciale), di adottare “misure
di elevata sicurezza interna ed esterna” al fine di impedire collegamenti, contrasti o
interazioni con singoli o con realtà criminali organizzate o con altri detenuti, quanto,
piuttosto, per la decisiva considerazione che la disposizione reclamata, per quanto si
ricava dalla difese dell’amministrazione, non risulta sia stata adottata per contingenti
ragioni di sicurezza interna ed esterna, ma, in via generale ed astratta, sul
presupposto di una pretesa incompatibilità tra le disposizioni dell’ordinamento
penitenziario che prevedono, in determinati casi, una possibilità di proroga della
durata massima del colloquio con le disposizioni “speciali” previste dall’art. 41 bis
Ord. Pen., in tema di colloqui.1.7 Sul punto, premesso che l’art. 37 comma 10 d.P.R. 30 giugno 2000 n.230
prevede – in via generale e per tutti i detenuti – due ipotesi di «ampliamento» della
durata del colloquio, la prima correlata a «eccezionali circostanze» da valutarsi,
dunque, caso per caso, la seconda correlata a due condizioni obiettive rappresentate
dalla extraterritorialità del luogo di detenzione rispetto a quello di residenza dei
congiunti, unita alla circostanza della mancata fruizione del colloquio nella
«settimana precedente» e sempre che le esigenze e l’organizzazione dell’istituto lo
consentano, va infatti qui ribadita la validità di quanto affermato da questa Corte
nella sua precedente decisione in argomento, nel senso che, «è evidente che mentre
la prima previsione (circostanze eccezionali) non può dirsi in alcun modo in contrasto
con le previsioni normative caratterizzanti il regime differenziato (e risulta dunque
sempre applicabile, ferma restando la valutazione della eccezionalità del caso), la
seconda previsione va «adattata» alle caratteristiche ontologiche della detenzione
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«un dovere di adeguamento alle fonti normative più elevate in grado», così come

«conformata» ai sensi dell’art. 41 bis ord. pen.- In particolare, ricorrendo
tendenzialmente in modo stabile il presupposto della extraterritorialità (data
l’allocazione dei detenuti sottoposti al regime del 41 bis), è evidente che
l’interpretazione dei secondo presupposto (mancanza di colloquio nella settimana
precedente) non può essere riferita a tale particolare «categoria» di detenuti,
essendo per definizione assente il colloquio settimanale, sostituito da quello mensile.
Detta parte della norma potrà dunque – secondo un criterio interpretativo logicosistematico – trovare applicazione solo ove il detenuto sottoposto al regime

nel «mese» antecedente.2. In conclusione, esclusa l’esistenza di un divieto assoluto, per i detenuti nei cui
confronti sia stata disposta che la sospensione delle normali regole di trattamento, di
fruire in alternativa al colloquio mensile di un’ora coi familiari, spetterà di volta in
volta alla direzione del carcere, ove sussistano ben inteso le condizioni previste
dall’art. 37 comma 10, del D.P.R. n. 230/2000 e le esigenze e l’organizzazione lo
consentano, valutare l’accoglibilità delle varie richieste di proroga della durata del
colloquio.Al rigetto dei ricorsi deve seguire la condanna alle spese processuali, ex art. 616
Cod. proc. pen.P.Q.M.
La Corte, a scioglimento della riserva adottata in data 15/11/2013, rigetta i ricorsi e
condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013 Il Consigliere est.

Il Presidente

differenziato di cui all’art. 41 bis ord. pen. non abbia effettuato il previsto colloquio

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