Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49719 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 49719 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CASSA RURALE- BANCA DI CREDITO COPERATIVO DI
TREVIGLIÓ SRL
avverso l’ordinanza n. 308/2011 TRIBUNALE di COMO, del
20/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. \P
Ceik

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 17/10/2013

Ritenuto in fatto.
1.L’8 luglio 2011 la Cassa Rurale Banca di Credito Cooperativo di Treviglio
s.c.r.l.” presentava al giudice dell’esecuzione istanza di restituzione dei titoli di cui
al dossier 808.144, del valore di euro 1.074676,84, posti a garanzia del conto
corrente n. 370.244/92, già intestato alla “s.r.l. Commetal”, in quanto titolare di un
equivalente disposto nei confronti di Ivan Besana, cliente del predetto istituto
bancario, nei cui confronti era stata emessa sentenza di applicazione concordata
della pena (art. 444 c.p.p.) per una serie di frodi fiscali, tradottesi, tra l’altro,
nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti per un valore complessivo di
oltre dieci milioni di euro.
2.11 21 luglio 2011 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como
rigettava la domanda, ritenendo la perdurante efficacia del sequestro preventivo,
non essendo la sentenza passata in giudicato.
3.11 30 novembre 2011 il medesimo istituto bancario proponeva ulteriore
incidente di esecuzione chiedendo nuovamente la restituzione del citato dossier
titoli. A sostegno della domanda illustrava le vicende del rapporto creditizio
intercorso tra la banca e la “s.r.l. Coinmetar al fine di dimostrare la sua estraneità
ai reati consumati da Besana.
4.11 giudice dell’esecuzione, in parziale accoglimento dell’istanza, dichiarava la
sussistenza del diritto dell’istituto bancario al soddisfacimento dei crediti maturati
nei confronti della “s.r.l. Commetar anteriormente all’esecuzione del sequestro
preventivo disposto con decreto del giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Como in data 17 febbraio 2011, e del successivo provvedimento di
confisca nella misura di centocinquantamila euro e garantiti con il pegno sui titoli e
ordinava alla “s.p.a Equitalia giustizia, quale gestore del fondo unico di giustizia, di
restituire alla Cassa Rurale Banca di Credito cooperativo di Treviglio s.c.r.l.”
l’equivalente delle somme realizzate sino alla concorrenza del predetto credito.
Rigettava nel resto la domanda volta ad ottenere la restituzione dei restanti titoli di
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diritto reale di garanzia (pegno) preesistente al provvedimento di sequestro per

cui al suddetto dossier, del valore complessivo di euro 1.074676.84, posto a
garanzia del conto corrente 370.244/92, già intestato alla “s.r.l. Commetal”.
5.11 20 febbraio 2013 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Como, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’opposizione proposta
dalla “Cassa Rurale Banca di Credito Cooperativo di Treviglio s.c.r.l.” avverso il
Il giudice dell’esecuzione fondava la sua decisione, in sede di opposizione, sulle
seguenti argomentazioni.
Il rapporto di garanzia già in essere tra l’istituto bancario e Ivano Bessana non
poteva essere qualificato come pegno irregolare (art. 1851 c.c.), atteso che l’art.
1851 c.c. richiede a tal fme che i titoli vincolati non siano individuati oppure che sia
stata conferita alla banca la facoltà di disporre degli stessi. Con riferimento al primo
profilo, i codici IS1N indicati all’atto della costituzione del pegno non erano propri
del compendio delle obbligazioni conferite da Besana, bensì erano pertinenti, come
emergente dalla documentazione prodotta dalla difesa, a ciascuna delle emissioni
obbligazionarie dell’istituto bancario considerate nel loro insieme, ossia
riguardavano il più ampio corpus di ciascuna emissione da cui erano state tratte
quelle sottoscritte dal singolo investitore, sicché la presenza del suddetto codice non
valeva di per sé ad identificarle. Ciò nonostante, non poteva affermarsi che i titoli
non fossero individuati nel senso preteso dall’art. 1851 c.c., posto che si trattava, in
ogni caso, della quota di un fondo obbligazionario, a sua volta ben identificato,
soggetto a fluttuazione e a variazione di valore in ragione delle condizioni di
mercato, non soggetta a confusione con il restante patrimonio della banca.
Tale conclusione non era contraddetta dalla circostanza che l’art. 6 n. 5 delle
condizioni generali di costituzione del pegno conferiva alla banca la facoltà di
disporne, atteso che detta clausola si riferiva a valori diversi dalle obbligazioni, in
alcun modo riconducibili a quei “titoli rappresentativi di depositi bancari al
portatore” disciplinati dalla stessa.
L’istituto bancario aveva ricevuto un vantaggio dalla costituzione del pegno,
posto che — ove avesse potuto farlo valere — ne avrebbe tratto l’ovvio beneficio di
vedere garantita, almeno in buona parte, l’obbligazione principale relativa al fido
prestato, asseritamente rimasta inadempiuta da parte del debitore. La valutazione
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provvedimento emesso, il 23 agosto 2012, dalla medesima Autorità giudiziaria.

del beneficio o vantaggio doveva essere compiuta sotto il profilo strettamente
oggettivo.
La circostanza che il rapporto di garanzia avesse avuto origine in data
antecedente a quella di consumazione dei reati da parte di Besana e, cioè,
nell’ottobre 2004, non appariva rilevante, in quanto l’importo dei fidi e della
correlata garanzia concessi in quella fase era irrisorio, mentre era aumentato in
sorprendente incremento dell’attività commerciale di Besana. L’entità del pegno
era, infatti, passata dagli originari 70.000 euro nel 2004 ai 150.000 di inizio 2006,
sino alla cifra finale di oltre 1.000.000 euro, soprattutto grazie all’incremento
operato alla fine del 2008, allorché l’attività illecita di Besana era nella sua fase di
massima espansione.
Non era possibile ravvisare una situazione di buona fede e di affidamento
incolpevole da parte della banca, atteso che le condotte dei funzionari dell’istituto
bancario si erano rilevate assolutamente inadeguate agli obblighi di prudenza e di
diligenza, il cui assolvimento legittima il riconoscimento della buona fede,
perlomeno con riferimento alle fasi successive all’originaria costituzione del pegno
e al primo aggiornamento del medesimo sino all’importo di 150.000 euro. Gli
accertamenti e le verifiche avevano, infatti, avuto natura esclusivamente formale e
si erano esauriti nella verifica della congruità delle operazioni in vista della
salvaguardia delle ragioni creditorie della banca e del contenimento dei rischi
connessi alla concessione di fidi. Non erano stati svolti, invece, i controlli
(connaturati alla dimensione pubblicistica delle funzioni) volti a prevenire attività
finanziarie illecite e ad impedire il riciclaggio di capitali ad esse connessi,
nonostante esistessero elementi sospetti, come l’enorme incremento del fatturato
della “s.r.l. Commetar (passato da 1.3000.000 euro ad oltre 73.000.000 euro nel
giro di tre anni), pur in presenza di una struttura del tutto minimalista, di una
assenza costante di utili di gestione, di una struttura organizzativa contraddistinta
dalla presenza di un solo dipendente (a fronte di un incremento del fido da parte
della banca, motivato con la necessità della società di “far fronte ai crescenti oneri
della gestione”). Non era stato, inoltre, rilevato dalla banca lo squilibrio assai
vistoso tra le cessioni e gli acquisiti, monitorato solo per verificare la puntualità
degli incassi e dei versamenti sul conto affidato.
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modo significativo negli anni successivi, proprio in corrispondenza del correlativo e

Veniva, infine, ritenuta rilevante la circostanza che fosse stata omessa la
valutazione dei prelievi di ingenti somme in contanti (superiori ai due milioni di
euro nel solo 2007), effettuati in contanti allo sportello da Besana. Tali prelievi, di
importo equivalente a quello delle autofatture emesse ed annotate, erano volti alla
restituzione in nero di quanto ricevuto per il pagamento delle fatture emesse per
operazioni inesistenti. Altri istituti bancari avevano effettuato una diversa
In merito all’ambito di applicazione della disposta confisca, il giudice
dell’esecuzione osservava che, nel caso di specie, non era in discussione la sanzione
della confisca, disposta nei confronti dell’imputato per delitti per i delitti per il quali
era intervenuta sentenza irrevocabile di condanna, bensì la sussistenza o meno del
diritto di garanzia della banca su somme che avevano costituito oggetto materiale
della confisca.
6. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il

difensore di fiducia, il legale rappresentante della “Cassa Rurale Banca di Credito
Cooperativo di Treviglio s.c.r.l.” che, anche mediante una memoria difensiva,
formula le seguenti censure.
Deduce violazione degli artt. 322-ter c.p. e 1851 c.c., essendo l’oggetto della
confisca appartenente a persona estranea al reato, cioè alla banca che aveva
ricevuto in pegno irregolare le sottoscrizioni di quote dei suoi prestiti
obbligazionari da parte di Besana, nonché carenza e illogicità della motivazione sul
punto. Evidenzia una contraddizione esistente tra il primo provvedimento e quello
emesso in sede di opposizione circa la possibilità o meno di individuare i titoli
obbligazionari e la facoltà della banca di disporre o meno degli effetti ai sensi e per
gli effetti dell’art. 1851 c.c.
Con un secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 322-ter c.p., deducendo
che l’oggetto del sequestro apparteneva a persona estranea al reato che non ha tratto
alcun vantaggio dall’altrui posizione criminosa e che, in ogni caso, versava in
situazione di buona fede e di affidamento incolpevole, posto che le garanzie
pignoratizie di cui si discute erano state presentate da Besana per ottenere la
concessione e l’ampliamento delle linee di credito alla “s.r.l. Commetal” e non già
per tutelare crediti preesistenti.
4

valutazione al riguardo.

Con un terzo motivo deduce la violazione dell’art. 1, comma 143, 1. n. 244 del
2007 e dell’art. 322-ter c.p., nonché vizio della motivazione, in quanto, in
violazione del principio di irretroattività della legge penale sopravvenuta più
sfavorevole, erano state confiscate somme versate da Besana per la sottoscrizione di
quote di emissione obbligazionarie della banca nel 2007, laddove la confisca ex art.
322-ter c.p. era stata introdotta, con riferimento ai reati per i quali Besana aveva
Con un quarto motivo lamenta la violazione degli artt. 1851 c.c., 2696 e 2697
c.c. in relazione all’attribuzione ad “Equitalia Giustizia s.p.a.”, anziché alla banca
del realizzo dei pegni per i quali era stata riconosciuta la permanenza della garanzia
reale. A fondamento di tale decisione il giudice aveva erroneamente posto, da un
lato, la non facile individuazione dei titoli da restituire, con ciò contraddicendo
quanto sostenuto in altra parte del provvedimento, e, dall’altro, la necessità di
subordinare il diritto della banca al soddisfacimento del proprio credito alla
permanenza dell’attualità dello stesso, senza indicare la ragioni per le quali il
mancato realizzo del pegno da parte dell’istituto avrebbe comportato la
cancellazione della confisca con conseguente pagamento a Besana dei versamenti a
suo tempo effettuati.
Osserva in diritto.
Il primo motivo di ricorso, avente carattere logicamente preliminare ed
assorbente rispetto alle altre censure formulate dalla parte ricorrente, è fondato.
1.11 “pegno irregolare” (art. 1851 c.c.) in tema di anticipazione bancaria
risponde ad uno schema negoziale di portata generale ed è accomunabile al pegno
c.d.” regolare” (artt. 2784 ss. c.c.) sia per il profilo strutturale della “natura reale”
del contratto quanto all’attrazione della datio rei nel suo momento perfezionativo,
sia per il profilo funzionale della condivisa “causa di garanzia”.
Esso è, però, connotato da una sua specificità di contenuto e di effetti.
L’effetto “reale”, che nel pegno regolare si esaurisce nella creazione di uno ius
in re aliena opponibile erga omnes, assume, invece, nel pegno irregolare la più
ampia valenza di un vero e proprio trasferimento di proprietà delle cose attribuite in
garanzia. La “causa”, inizialmente ricondotta ad una sorta di dazione in pagamento
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riportato condanna, solo dall’ l gennaio 2008.

risolutivamente condizionato, è ora più coerentemente ricollegata alla stessa
funzione di garanzia, una volta riconosciutale l’idoneità a giustificare una
attribuzione in proprietà non meno delle tradizionali causae venditionis e

donationis.
Inoltre, l’obbligazione restitutoria gravante sul creditore, concerne il tantundem
di quanto ricevuto in garanzia, mentre nel pegno regolare ha ad oggetto la
Sulla base di queste premesse, le Sezioni Unite civili di questa Corte, con
decisioni condivise dal Collegio (Sez. U. n. 16725 del 25 ottobre 2011; Sez. U., n.
202 del 14 maggio 2001) hanno affermato che il pegno irregolare è il contratto con
cui il garante consegna e attribuisce in proprietà al creditore denaro o beni aventi un
prezzo corrente di mercato, e per ciò reputati fungibili con il denaro, dei quali

l’ accipiens deve restituire il

tantundem (solo) se e quando interviene

l’adempimento della obbligazione garantita; altrimenti, l’obbligazione restitutoria
attiene alla eventuale eccedenza del valore dei beni trasferiti in proprietà rispetto al
valore della prestazione garantita rimasta inadempiuta.
Le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez. U., n. 775 del 16 novembre 1999)
hanno, inoltre, affrontato la questione se possano configurarsi come meccanismo
compensativo le modalità operative della garanzia concretantisi, in caso di
inadempimento del debitore, in un’automatica estinzione satisfattiva del credito
garantito, con residuo obbligo del creditore di restituire al debitore garante
l’eventuale eccedenza. In proposito hanno argomentato che vi è ostacolo alla
compensazione soltanto nel caso in cui le obbligazioni derivanti da un unico
negozio siano tra loro legate da un vincolo di corrispettività che ne escluda
l’autonomia. In tale ipotesi, infatti, se si ammettesse la reciproca elisione delle
obbligazioni, si inciderebbe sulla stessa efficacia del negozio, paralizzandone gli
effetti. Al contrario, quando le obbligazioni, pur avendo causa in un unico rapporto
negoziale o in rapporti collegati, non siano però in posizione sinallagmatica, non
v’è ragione di escludere l’operatività di un meccanismo propriamente
compensativo. E’ quanto avviene, ad esempio, nel caso del debito principale e del
debito di restituzione del tantundem del creditore assistito da pegno irregolare, che
restano autonomi, ancorché collegati da un vincolo di accessorietà.

6

medesima res di cui egli ha avuto temporaneamente la detenzione.

La compensazione automatica, coessenziale allo schema effettuale stesso del
pegno irregolare, rappresenta lo strumento tipico di realizzazione di siffatta
prelazione, sostitutivo del più complesso congegno satisfattivo previsto per il pegno
regolare (espropriazione – vendita – soddisfacimento sul ricavato), che resta, nella
specie, scavalcato anche per ragioni di opportunità pratica (evidentemente delibate
e sottese alla opzione normativa) confliggenti con una previsione di vendita, a fini
202 del 14 maggio 2001).
Il contratto di pegno irregolare, di conseguenza, non elimina il diritto a
pretendere l’adempimento, quanto piuttosto esaurisce in limine l’interesse del
creditore a percorrere la via della esecuzione forzata, essendo anticipato con lo
strumento negoziale l’effetto finale della tutela processuale. L’automatismo di
tutela, così predisposto, scatta, dunque, alla scadenza della obbligazione principale,
nel caso di suo inadempimento
2.Tanto premesso, l’ordinanza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei
principi in precedenza illustrati laddove ha escluso la qualificazione quale pegno
“irregolare” (art. 1851 c.c.) del rapporto esistente tra la “Cassa Rurale Banca di
Credito cooperativo di Treviglio s.c.r.l.” e Ivano Besana, tradottosi nella
sottoscrizione, da parte di Ivano Besana, di quote di prestiti obbligazionari emessi
dalle banca e nella loro costituzione in pegno a garanzia di fidi accordati dalla
banca alla “s.r.l. Commetal”, fidi incrementati nel corso degli anni.
Con riferimento alla “individuazione dei titoli” l’ordinanza impugnata ha
applicato erroneamente i principi sanciti dall’art. 1851 c.c. Infatti„ pur
riconoscendo che le clausole del contratto concluso da Besana con la Banca all’atto
della costituzione del pegno attribuivano all’istituto di credito il potere di “auto
soddisfacimento” dei crediti garantiti sull’ammontare di eventuali titoli
rappresentativi di depositi bancari al portatore, ha negato la natura del pegno
irregolare sulla base di argomentazioni che non appaiono conformi ai principi in
precedenza enunciati.
Innanzitutto ha omesso di considerare che, nel caso in esame venivano
sottoscritti prestiti obbligazionari “dematerializzati”, che non davano, quindi, luogo
all’emissione di alcun “titolo” o “documento”. Pertanto, la sottoscrizione, da parte
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satisfattivi del creditore di quanto è, a tali effetti già in sua proprietà (Sez. U., n.

del cliente, di una frazione del prestito con versamento all’istituto di credito
emittente dei relativi importi non determinava alcuna “identificazione” dei titoli al
nome di ciascun sottoscrittore.
Il provvedimento impugnato ha, inoltre, sovrapposto, ai fini dell’esatta
ricostruzione della nozione di “pegno irregolare” (art. 1851 c.c.) sempre sotto il
profilo della “individuazione dei titoli”, due aspetti tra loro profondamente diversi:
l’identificazione delle quote sottoscritte dal singolo risparmiatore. Un esatto
inquadramento di questi due distinti aspetti avrebbe dovuto condurre alla
conclusione che, nella presente fattispecie, l’identificazione mediante i codici ISIN
riguardava l’intero corpus del prestito obbligazionario costituito da titoli
“dematerializzati”, ma non le singole frazioni di prestito obbligazionario sottoscritte
da Besana e ad esso riconducibili mediante la registrazione in un dossier dei
versamenti effettuati nel corso del tempo.
Inoltre non ha valutato la circostanza, pure emergente dai contratti allegati ed
acquisiti, che le somme versate da Besana a fronte della sottoscrizione di frazioni
del prestito obbligazionario entravano a far parte del patrimonio della banca con
obbligo di restituzione, da parte della stessa, nei termini e alle condizioni stabilite
per il prestito obbligazionario e che il contratto di costituzione di pegno riconosceva
all’istituto di credito il potere di immediatamente disporne. In presenza di tale
facoltà di disposizione si esula dai confini del pegno regolare per rientrare,
viceversa, nella disciplina prevista dall’art. 1851 c.c., con la conseguenza che il
creditore acquisisce immediatamente la proprietà del denaro o dei beni, destinati
poi, al momento dell’adempimento, ad essere restituiti in equivalente per intero,
oppure, in caso d’inadempimento, nella sola misura eventualmente eccedente
l’ammontare del credito garantito (Sez. 1, n. 26154 del 6 dicembre 2006; Cass. 20
aprile 2006, n. 9306; Sez. 1, n. 5290 del 20 aprile 2006; Sez. 3, n. 12964, del 12
giugno 2005; Sez. 3, n. 10000 del 24 maggio 2004).
3.Sulla base dei principi sinora illustrati è possibile affermare il seguente
principio di diritto: non può procedersi a confisca per equivalente, in danno di un
istituto bancario, delle frazioni di un prestito obbligazionario “dematerializzato”,
sottoscritto dalla persona nei cui confronti sia stata emessa sentenza di
8

quello attinente all’identificazione del prestito obbligazionario e quello concernente

applicazione concordata della pena (art. 444 c.p.p.) per il reato di dichiarazione
fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
(art. 2, Digs. 10 marzo 2000, n. 74), e accompagnato dal versamento dei relativi
importi alla banca emittente che abbia contrattualmente la facoltà di disporre dei
titoli stessi, trattandosi di ipotesi di pegno irregolare (art. 1851 c.p.) conseguente
alla mancata identificazione dei titoli e alla immediata acquisizione della proprietà

4.Alla stregua delle considerazioni in precedenza svolte s’impone, quindi,
l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.
Così deciso, in Roma, il 17 ottobre 2013.

del denaro da parte del creditore.

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