Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4968 del 06/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4968 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VASCELLARI ALESSANDRO N. IL 25/01/1954
avverso la sentenza n. 594/2010 CORTE APPELLO di VENEZIA, del
13/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. £Ìeco DEcE‘4,4re
che ha concluso per 4. 4;
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Rileva in proposito, in buona sostanza, che, pur a considerare lo Zanvettor
quale preposto a uno stabilimento, ciò nondimeno, alla luce delle ricordate
emergenze processuali, ben poteva e doveva discenderne l’attribuzione allo
stesso anche della veste sostanziale di datore di lavoro secondo i ricordati criteri
e in conformità con il principio di diritto affermato da Cass. Pen. Sez. 3, n. 12370
del 9/3/2005, Bincoletto, Rv. 231076, secondo il quale «nelle persone giuridiche

e segnatamente nelle società di capitali il datore di lavoro si identifica con i
soggetti effettivamente titolari di poteri decisionali e di spesa all’interno
dell’azienda e quindi con i vertici dell’azienda stessa, quali il presidente del
consiglio d’amministrazione, l’amministratore delegato o un componente del
consiglio d’amministrazione al quale siano state attribuite le relative funzioni o
nel preposto ad un determinato stabilimento. Nell’eventualità di una ripartizione
di funzioni e di compiti nell’ambito del consiglio d’amministrazione ai sensi
dell’articolo 2381 c.c., dei fatti illeciti compiuti dall’amministratore delegato o dal
preposto ad un determinato stabilimento, risponde solo quest’ultimo, salvo che
gli altri amministratori abbiano dolosamente omesso di vigilare o, essendo a
conoscenza di atti pregiudizievoli per la società o dell’inidoneità del delegato, non
siano intervenuti».
Soggiunge che erroneamente la Corte d’appello ha attribuito rilievo impeditivo
all’applicazione di tale principio nella fattispecie alle dimensioni dell’azienda quali
sopra esplicitate (un solo stabilimento e n. 27 dipendenti), rilevando al riguardo
che:
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nell’applicazione della legge penale (ex art. 606, comma 1, lett. b, c.p.p.), con

- il d.lgs. n. 81 del 2008 esclude che le dimensioni aziendali costituiscano uno
dei requisiti per la validità della delega di funzioni e tale requisito era già
ridimensionato nella giurisprudenza antecedente il testo unico che precisava
come, ai fini della legittimità della delega di funzioni,

«non è necessario che

trattasi di un’impresa di notevoli dimensioni, atteso che la necessità della delega
non dipende esclusivamente dal dato quantitativo, ma può essere determinata
dalle caratteristiche qualitative dell’organizzazione aziendale” (Cass. sez. 3, n.
26122 del 15/07/2005);

media delle imprese italiane, anche a considerare che nello stabilimento in
questione venivano svolte numerose lavorazioni caratterizzate da differenze
procedurali che ne giustificano la qualificazione in termini di organizzazione
complessa e non di modeste dimensioni.
Rileva infine che la sentenza impugnata incorre in contraddizione nella parte
in cui ascrive al Vascellari violazione de «l’obbligo di sorveglianza e controllo

sull’esatto adempimento degli obblighi di sicurezza da parte del preposto»,
questa postulando l’esistenza di una delega idonea a trasferire la posizione di
garanzia, che si era invece prima negata.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato e va rigettato.
Questa Corte in plurime sentenze, ha già avuto modo dì statuire che nelle
imprese gestite da società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli
infortuni ed igiene sul lavoro, posti dalla legge a carico del datore di lavoro,
gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione
(Sez. 4, n. 38991 del 4/11/2010, Quaglierini, non mass. sul punto; Sez. 4, n.
6280 del 11/12/2007 – dep. 08/02/2008, Mantelli, Rv. 238959; Sez. 4, n. 988
del 11/07/2002 – dep. 14/01/2003, Macola, Rv. 226699).
Infatti, anche di fronte alla presenza di una eventuale delega di gestione
conferita ad uno o più amministratori, specifica e comprensiva dei poteri di
deliberazione e spesa, tale situazione può ridurre la portata della posizione di
garanzia attribuita agli ulteriori componenti del consiglio, ma non escluderla
interamente, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo
sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di
mancato esercizio della delega.
In una fattispecie relativa ad impresa il cui processo produttivo prevedeva
l’utilizzo dell’amianto e che aveva esposto costantemente i lavoratori al rischio di
inalazione delle relative polveri, si è ritenuto che, pur a fronte dell’esistenza di

– in ogni caso, le descritte dimensioni dell’azienda si collocavano ben oltre la

amministratori muniti di delega per l’ordinaria amministrazione e dunque per
l’adozione di misure di protezione concernenti i singoli lavoratori od aspetti
particolari dell’attività produttiva, gravasse su tutti i componenti del consiglio di
amministrazione il compito di vigilare sulla complessiva politica della sicurezza
dell’azienda, il cui radicale mutamento -per l’onerosità e la portata degli
interventi necessari – sarebbe stato indispensabile per assicurare l’igiene del
lavoro e la prevenzione delle malattie professionali. Ciò è in perfetta sintonia con
quanto previsto dall’art. 2392 c.c., in tema di s.p.a. e vigente all’epoca dei fatti.

società devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto
costitutivo, stabilisce che anche se taluni compiti sono attribuiti ad uno o più
amministratori, gli altri componenti «sono solidalmente responsabili se non

hanno vigilato sul generale andamento della gestione…» (Sez. 4, n. 988 del
11/07/2002, Macola, cit.).
In sostanza, in presenza di strutture aziendali complesse, la delega di
funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi ai deleganti se sono il frutto di
occasionali disfunzioni; quando invece sono determinate da difetti strutturali
aziendali e del processo produttivo, permane la responsabilità dei vertici
aziendali e quindi di tutti i componenti del consiglio di amministrazione.
Diversamente opinando, si violerebbe il principio del divieto di totale derogabilità
della posizione di garanzia, il quale prevede che pur sempre a carico del
delegante permangano obblighi di vigilanza ed intervento sostitutivo.
In definitiva, anche in presenza di una delega di funzioni ad uno o più
amministratori (con specifiche attribuzioni in materia di igiene del lavoro), la
posizione di garanzia degli altri componenti del consiglio non viene meno, pur in
presenza di una struttura aziendale complessa ed organizzata, con riferimento a
ciò che attiene alle scelte aziendali di livello più alto in ordine alla organizzazione
delle lavorazioni che attingono direttamente la sfera di responsabilità del datore
di lavoro (così in motivaziozione, Sez. 4, n. 38991 del 2010, Quaglierini, cit.).

4. Nel caso di specie, come si evince dalla contestazione e dalle emergenze
della istruttoria dibattimentale esposte nelle sentenze di merito, la violazione
delle disposizioni a tutela della sicurezza dei lavoratori afferiva un aspetto
strutturale e permanente del processo produttivo interno allo stabilimento
(l’unico peraltro) di Ospitale di Cadore, e in particolare un momento
particolarmente delicato, quale quello del sollevamento dei gusci, mai sottoposto
ad adeguata attenzione e anzi neppure considerato nel documento di valutazione
dei rischi (v. sentenza d’appello, pagg. 6 e 10).

Tale disposizione, nel prevedere che gli amministratori nella gestione della

Particolarmente rimarchevole, in tal senso, il rilievo, contenuto a pagina 10
della sentenza impugnata, secondo cui anche la procedura progettata nel 1995
dallo Zanvettor, che prevedeva l’uso delle c.d. rane per il sollevamento dei
pesanti elementi metallici sottoposti al processo lavorativo, si rivelava comunque
inadeguata a corrispondere ai requisiti di sicurezza prescritti dalla normativa
allora vigente e in particolare dall’art. 35, comma 4 ter, d.lgs. 626/1994, a
mente del quale: «gli accessori di sollevamento debbono essere scelti in funzione

dei carichi da movimentare, dei punti di presa, del dispositivo di aggancio …

a) e, inoltre, tutte le operazioni di sollevamento debbono essere «correttamente
progettate, oltre che adeguatamente controllate ed eseguite» (lett. d).
Ciò in quanto, si legge testualmente nella sentenza impugnata, e il punto
non risulta oggetto di specifica censura,

«permaneva, ed era certamente

prevedibile, quantunque l’operazione fosse meno frequente di altre, un rischio di
caduta del pesante manufatto soprattutto nella prima fase del sollevamento, che
non poteva essere eseguita direttamente con il gancio giallo chiamato “rana”»,
segnandosi peraltro le convergenti deposizioni dei lavoratori secondo le quali

«durante i corsi, e ciò vale anche per il ricorso relativo alla movimentazione dei
carichi … le problematiche del sollevamento dei gusci non erano state affrontate
e … mancava una specifica e chiara codificazione della procedura».
In tali termini chiaramente emergente, la violazione di che trattasi non può
imputarsi ad un fattore contingente e occasionale, o comunque non prevedibile,
ma si rivela talmente grave e “strutturale”, da investire indubitabilmente compiti
e decisioni di alto livello aziendale non delegabili e proprie di tutto il consiglio di
amministrazione ed, in ogni caso, obblighi di sorveglianza e denuncia gravanti su
ciascuno dei suoi componenti.
Se ciò vale per i singoli componenti del consiglio, a maggior ragione la
posizione di garanzia rimane radicata in capo al presidente del consiglio di
amministrazione.
Non può dubitarsi pertanto della persistenza in capo all’odierno ricorrente,
con riferimento al fatto dannoso di che trattasi, di una posizione di garanzia,
idonea a renderlo responsabile delle conseguenze relative al mancato
assolvimento dei compiti su di esso comunque ricadenti in materia
antinfortunistica, quali quelli sopra indicati.

5. Il ricorso va pertanto rigettato con la conseguente condanna del
ricorrente alle spese del procedimento e alla rifusione in favore della parte civile
delle spese dalla stessa sostenute per il presente giudizio.

nonché tenendo conto del modo e della configurazione della imbracatura» (lett.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile per
questo giudizio di cassazione e le liquida in C 2.500,00 oltre accessori come per
legge.

Così deciso il 6/12/2013

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