Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49660 del 12/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 49660 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

DE CHECCHI Giuliano, nato a Fossò (Ve) il 5 settembre 1960;

avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia del 11 novembre 2014;

letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Alberto CARDINO
il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

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Data Udienza: 12/05/2015

RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 11 novembre 2014 ha rigettato
l’appello proposto da De Checchi Giuliano avverso l’ordinanza con la quale il
Gip del Tribunale di Padova aveva respinto la richiesta di declaratoria di
inefficacia della misura cautelare custodiale quello applicata.
Il Tribunale precisava che in data 17 settembre 2013 il De Checchi era
arrestato dalla autorità giudiziaria di Venezia per violazione dell’art. 73 del

del 17 marzo 2014 emessa dal Tribunale di Venezia, divenuta definitiva in
data 29 marzo 2014, era applicata, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. la
pena di anni 3 e mesi 6 di reclusione, oltre alla multa.
Con successivo provvedimento, datato 18 settembre 2014 ed eseguito il
successivo 10 ottobre, il Gip del Tribunale di Padova emetteva ordinanza
cautelare in danno del De Checchi in relazione ad altri episodi di violazione
del dPR n. 309 del 1990, connessi con quello di cui alla precedente condanna.
Avverso detta ordinanza la difesa del De Checchi proponeva richiesta di
riesame rilevando che per i fatti diversi da quello per il quale già vi era stata
sentenza doveva trovare applicazione il principio della retrodatazione dei
termini di custodia cautelare, sicché la ordinanza cautelare doveva essere
dichiarata inefficace.
Il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 21 ottobre 2014 rigettava la
richiesta.
Nello stesso torno di tempo il De Checchi chiedeva al Gip di Padova che
dichiarasse ai sensi dell’art. 297 cod. proc. pen. la inefficacia della misura
cautelare da lui disposta, cosa che il Gip non faceva osservando che la
retrodatazione degli effetti del secondo provvedimento non poteva operare in
quanto i due procedimenti erano pendenti di fronte a giudici diversi.
Il De Checchi proponeva quindi appello di fronte al giudice collegiale del
cautelare avverso detto provvedimento, ma con l’ordinanza ora in questione il
Tribunale di Venezia rigettava il gravame osservando che il principio della
retrodatazione degli effetti della misura cautelare emessa in relazione a fatti
connessi con reati per i quali già sia stata emessa una precedente misura può
operare, laddove si tratti di autorità giudiziarie diverse, solo nel caso in cui
l’autorità che ha emesso il secondo provvedimento abbia utilizzato elementi
probatori già acquisiti agli atti al momento della adozione del primo
provvedimento.
Poiché nel caso, invece, la seconda ordinanza si fonda su di una
informativa della Pg datata 3 dicembre 2013 (laddove il primo provvedimento

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dPR n. 309 del 1990 e che per tale reato allo stesso De Checchì, con sentenza

cautelare era del 17 settembre 2013), non ricorrevano, ad avviso del
Tribunale di Venezia, gli estremi per la retrodatazione.
Ha proposto ricorso per cassazione il De Checchi, contestando la
ordinanza impugnata sia sotto il profilo della violazione di legge che sotto
quella della illogicità e contraddittorietà della motivazione.
In particolare il ricorrente ha osservato, riportando taluni precedenti
giurisprudenziali, che la informativa del 3 dicembre 2013 non ha fornito

era idonea a fondare autonomamente il titolo custodiale emesso nei suoi
confronti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, risultato infondato, deve essere, pertanto, rigettato.
Invero, rileva la Corte che, laddove più uffici giudiziari si trovino a svolgere
indagini in relazione a delitti fra loro avvinti da una connessione qualificata, nel
caso in cui i soggetti indagati nell’ambito della predette inchieste siano attinti
da successivi provvedimenti custodiali, il regime della cosiddetta retrodatazione
degli effetti della seconda misura, ai fini del computo dei termini massimi di
custodia cautelare, presenta delle peculiarità; infatti, mentre nell’ipotesi in cui
le diverse indagini, culminate con l’adozione della misura restrittiva, siano
concernenti fatti fra loro diversi e non caratterizzati da alcuna connessione
qualificata, il regime della retrodatazione degli effetti della misura non opera
(Corte di cassazione, Sezione II penale, 30 dicembre 2013, n. 51838),
viceversa, nel caso in cui i due procedimenti, sebbene in corso di svolgimento
di fronte ad autorità giudiziarie diverse, siano caratterizzati dal vincolo della
connessione qualificata ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettere b) o c), cod. proc.
pen., opera la regola della retrodatazione sancita dal comma 3 dell’art. 297
cod. proc. pen. (Corte di cassazione, Sezione II penale, 29 aprile 2014, n.
17919; idem Sezione VI penale, 12 dicembre 2013, n. 50128; idem Sezione VI
penale, 22 ottobre 2013, n. 43235).
L’applicabilità del prefato principio è, tuttavia, subordinata alla ricorrenza
della condizione che al momento della adozione della prima delle misure in
questione la autorità giudiziaria procedente già avesse a sua disposizione idonei
elementi di indagine che le avrebbero consentito la adozione della misura anche
in relazione ai diversi fatti riguardati dalla seconda delle due misure adottate
(Corte di cassazione, Sezione IV penale, 3 febbraio 2014, n. 7080;

idem

Sezione IV penale, 20 gennaio 2014, n. 2390).
La soddisfazione di tale condizione, peraltro, come è stato precisato dalla
giurisprudenza di questa Corte, deve essere oggetto di prova da parte che
abbia invocato in suo favore la applicabilità del meccanismo della
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nessun elemento in più rispetto a quelli già in atti e che, pertanto, essa non

retrodatazione (Corte di cassazione, Sezione II penale, 13 febbraio 2015, n.
6374), non potendosi automaticamente ritenere l’esistenza della predetta
desumibilità degli elementi sufficienti per la emissione della seconda misura
cautelare attraverso il solo fatto che i due uffici requirenti fossero consapevoli
del reciproco svolgimento di investigazioni parallele riguardanti un medesimo
soggetto (Corte di cassazione, Sezione III penale, 4 febbraio 2014, n. 5485).
Così ricostruiti, per quanto d’interesse, i principi applicabili alla materia,

al principio, pur espresso di recente da questa stessa Sezione richiamando un
radicato precedente indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale, laddove siano
emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura cautelare personale
nei confronti dello stesso imputato per fatti connessi, la regola della
retrodatazione della durata dei termini di custodia cautelare prevista dall’art.
297, comma 3, cod. proc. pen., non trova applicazione se la richiesta sia
presentata laddove, come nel caso di specie, uno dei procedimenti si trovi nel
corso di una fase successiva a quella delle indagini preliminari (Corte di
cassazione, Sezione III penale, 2 marzo 2015, n. 8984), dovendosi, viceversa
ritenere che non vi sia, in linea di principio, una automatica ostatività
all’applicazione della regola della cosiddetta retrodatazione degli effetti delle
misure cautelari “a catena”, sol perché uno dei procedimenti nell’ambito dei
quali le misure sono state adottate abbia tracimato rispetto al limite delle
indagini preliminari (in tale senso, attraverso un’articolata motivazione: Corte
di cassazione, Sezione II penale, 23 maggio 2014, n. 20962; idem Sezione VI
penale, 22 ottobre 2013, n. 43235) – nel caso in questione il ricorso ora in
scrutinio non abbia adeguato fondamento.
Ciò in quanto il ricorrente non ha affatto assolto al ricordato onere
probatorio su di lui gravante, limitandosi a rilevare, in termini del tutto
assertivi, la sovrapponibilità fra una segnalazione fornita dalla Pg di Padova alla
autorità giudiziaria di Venezia in data 4 ottobre 2013 e la informativa della
medesima autorità del 3 dicembre 2013, indirizzata questa volta al Pm
patavino, in funzione della quale questi si è risolto a richiedere l’emissione a
carico del De Checchi del secondo dei provvedimenti custodiali su di lui
gravanti.
Siffatta allegazione, a fronte della espressa considerazione, contenuta nella
ordinanza impugnata, secondo la quale il primo dei due documenti richiamati
“non conteneva alcuna indicazione degli elementi che poi sarebbero stati posti a
fondamento della seconda ordinanza di custodia”, non svolge alcuna funzione
probatoria ai fini della verifica della illegittimità della ordinanza impugnata, in
ragione, secondo i parametri dianzi richiamati, della preesistenza alla emissione
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osserva a questb punto la Corte che – sebbene non si ritenga di dovere aderire

della prima misura cautelare anche degli elementi indiziari successivamente
valorizzati in occasione della adozione della seconda; pertanto il ricorso che
siffatta allegazione ha veicolato deve essere, conseguentemente, rigettato.
Al disposto rigetto segue la condanna del De Checchi al pagamento delle
spese processuali e la trasmissione, ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc.
pen., del presente provvedimento al direttore dell’istituto ove i ricorrente è
custodito per quanto di sua competenza.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Dispone altresì che copia del presente provvedimento sia trasmesso, ai sensi
dell’art. 94 dispo att. cod. proc. pen., al direttore del Istituto penitenziario ove
è ristretto il De Checchi per quanto di competenza
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

PQM

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