Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49610 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 49610 Anno 2015
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: CALVANESE ERSILIA

visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
sentita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Piero Gaeta, che ha concluso chiedendo che il provvedimento
impugnato sia annullato con rinvio per Bentivenga Giuseppina e che restanti i
ricorsi siano dichiarati inammissibili.
RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento sopra indicato, la Corte di appello di Torino
confermava il decreto del Tribunale di Torino del 29 gennaio 2014 emesso nei
confronti di Antonio Papalia, Giuseppina Bentivenga e Angela Violante, quale
terza interessata.
Il Tribunale di Torino aveva applicato al Papalia e alla Bentivenga le misure
di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. – rispettivamente per anni
cinque e per anni due – e della confisca di una serie di beni di loro proprietà e
alcuni cointestati anche alla Violante, madre della Bentivenga.

Data Udienza: 19/11/2015

La misura di prevenzione personale era stata applicata al Papalia in quanto
indiziato di appartenere ad una associazione di stampo mafioso, sulla scorta di
una sentenza di condanna ancora non definitiva del 2013, nella quale era stato
accertato il suo ruolo di esponente con ruolo di “santa” almeno a far data dal
2008 di una associazione denominata “‘ndrangheta”, diretta emanazione di
quella calabrese, organizzata territorialmente in “province” e “locali”, con

piemontese; nonché di una sentenza di condanna del 2004 per molteplici
violazioni alla legge sugli stupefacenti risalenti al periodo 2000-2001.
La misura di prevenzione personale era stata applicata dal Tribunale di
Torino alla Bentivenga, compagna del Papalia, in quanto portatrice di pericolosità
generica, riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 1, comma 1, lett. b) d.lgs.
159/2011, perché, condannata nel 2004 per violazioni alla legge stupefacenti,
risultava aver svolto attività imprenditoriale per conto del Papalia, fornendo
piena ed incondizionata condivisione delle attività illecite facenti capo a
quest’ultimo, a partire dall’attività relativa allo spaccio di stupefacenti accertato
nella suddetta sentenza di condanna.
In appello, la Corte torinese riteneva pacifica, sulla base delle emergenze
processuali desumibili dalle sentenze sopra indicate, l’ascrivibilità al Papalia della
pericolosità qualificata ex art. 4, lett. a) d.lgs. 159/2011, come anche l’attualità
di detta pericolosità, come tra l’altro dimostrato dall’applicazione con la sentenza
del 2013 della misura di sicurezza della libertà vigilata per anni due.
Relativamente al ricorso della Bentivenga, la Corte distrettuale riteneva
anche la sua posizione ascrivibile alla categoria

ex art. 4, lett. a) d.lgs.

159/2011, in quanto nel decreto del Tribunale risultava – anche se in modo non
univoco – già sostanzialmente qualificata come concorrente esterna nel reato
associativo di stampo mafioso.
Secondo la Corte, la Bentivenga aveva svolto attività di costante
collaborazione con il Papalia nell’attività illecita e condivideva con quest’ultimo
interessi economici, secondo un percorso che aveva preso le mosse dal traffico di
stupefacenti risalente al 2000.
Quanto alla misura di prevenzione patrimoniale, la Corte adita riteneva che
tutti i beni accumulati ed oggetto di confisca fossero del tutto ingiustificati
rispetto ai proventi risultanti dalle dichiarazioni dei redditi.
Rilevava la Corte infine, in relazione ai beni cointestati alla Violante, che
non era stata presentata alcuna impugnazione specifica.

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responsabili territoriali a vari livelli ed operante da anni nel territorio

2. Avverso il suddetto decreto, ricorrono per cassazione con atti distinti i
proposti e Angela Violante, quale terza interessata.
Per Papalia, il difensore deduce:

la violazione ed erronea applicazione degli artt. 19, 24 e 26 d.lgs.

159/2011, omessa ed apparente motivazione con riferimento alla disposta
misura patrimoniale: il provvedimento impugnato non avrebbe dimostrato la

avrebbe argomentato in merito alla sproporzione tra somme lecite di cui il
proposto poteva disporre e l’impegno economico affrontato; infine avrebbe del
tutto omesso di esaminare le deduzioni e produzioni difensive.
Per Bentivenga, si lamenta:
– la violazione degli artt. 1 e 4 d.lgs. 159/2011, omessa ed apparente
motivazione con riferimento alla misura personale: il provvedimento impugnato,
per la prima volta, avrebbe ravvisato la pericolosità qualificata, mentre sia la
proposta sia il decreto del Tribunale avevano riconosciuto versarsi nell’ipotesi di
pericolosità riconducibile all’art. 1, comma 1, lett. b), stesso d.lgs. In ogni caso,
risulterebbe apodittico l’assunto che la ricorrente sia indiziata di appartenenza
alla consorteria mafiosa, avendo la Corte valorizzato in modo parcellizzato talune
risultante processuali di un processo parallelo a carico di Papalia, non tenendo
conto di quanto invece risultava affermato nella sentenza di condanna del 2013.
Il provvedimento impugnato avrebbe altresì omesso di motivare sull’attualità
della pericolosità sociale della ricorrente.
– l’omessa motivazione in ordine alle argomentazioni che avevano condotto
il Tribunale a revocare la confisca nei confronti di Papalia ex art. 12-sexies L.
352/92 sui medesimi beni e violazione del principio di preclusione processuale;
la violazione ed erronea applicazione degli artt. 19, 24 e 26 d.lgs. 159/2011,
omessa ed apparente motivazione con riferimento alla disposta misura
patrimoniale: il provvedimento impugnato avrebbe sottoposto a confisca beni per
i quali nel 2013 il Tribunale di Torino, nell’ambito del procedimento a carico del
Papalia per il reato di associazione di tipo mafioso, aveva rigettato la misura
ablatoria, escludendo la riconducibilità dei beni al Papalia e il requisito della
sproporzione. Il provvedimento impugnato inoltre risulterebbe sganciato dal
presupposto della sussistenza della pericolosità al momento delle acquisizioni
patrimoniali; risulterebbe inoltre omessa la disamina di argomentazioni e
documentazione difensive.
Per Violante, si denuncia:
– l’omessa motivazione in ordine alle argomentazioni che avevano condotto
il Tribunale a revocare la confisca nei confronti di Papalia ex art. 12-sexies
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pericolosità attuale del proposto al momento della decisione, mentre nulla

352/92 sui medesimi bene e violazione del principio di preclusione processuale;
la violazione ed erronea applicazione degli artt. 19, 24 e 26 digs. 159/2011,
omessa ed apparente motivazione con riferimento alla disposta misura
patrimoniale: il provvedimento impugnato avrebbe sottoposto a confisca beni per
i quali nel 2013 il Tribunale di Torino, nell’ambito del procedimento a carico del
Papalia per il reato di associazione di tipo mafioso, aveva rigettato la misura

sproporzione; risulterebbe inoltre omessa la disamina di argomentazioni e
documentazione difensive.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi di Papalia e di Violante sono inammissibili, per i motivi di seguito
illustrati.

2. Con riferimento al ricorso di Papalia, deve constatarsi che molte delle
censure proposte esulano dal novero dei motivi deducibili in sede di legittimità
per la materia in esame.
Il ricorso per cassazione, in materia di prevenzione, è infatti ammesso
esclusivamente per violazione di legge, a norma del combinato disposto dell’art.
4, penultimo comma L. 27 dicembre 1956, n. 1423 e dell’art. 3-ter L. 31 maggio
1965, n. 575, e, attualmente, degli artt. 27 e 10 del d.lgs. 6 settembre 2011, n.
159, relativamente ai procedimenti nell’ambito dei quali la proposta di
prevenzione sia stata formulata successivamente alla data di entrata in vigore
del decreto stesso, a norma dell’art. 117 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (tra
tante, Sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, Catalano, Rv. 261590).
Va precisato altresì che, qualora il ricorso per cassazione sia ammesso
esclusivamente per violazione di legge, è possibile denunciare il solo vizio di
motivazione mancante o apparente, atteso che in tal caso si prospetta la
violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., che impone l’obbligo della motivazione
dei provvedimenti giurisdizionali. Vizio di motivazione apparente che ricorre
soltanto ove il giudice si avvalga di asserzioni del tutto generiche e di carattere
apodittico o di proposizioni prive di effettiva valenza dimostrativa.
In ogni caso, va aggiunto che non può essere proposta come vizio di
motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti
difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o
comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento

ablatoria, escludendo la riconducibilità dei beni al Papalia e il requisito della

provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci e altri, Rv.
260246).
Ciò premesso, il primo motivo sub A) nella parte in cui deduce la violazione
di legge è manifestamente infondato.
Va richiamato il recente insegnamento delle Sezioni Unite, secondo cui, in
presenza della c.d. pericolosità qualificata, il giudice deve accertare se questa

o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità
sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili
al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato.
(Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014 – dep. 02/02/2015, Spinelli ed altro, Rv.
262605).
I giudici di merito hanno fatto buon governo di tale principio.
L’acquisto da parte del Papalia dell’immobile sito a Torino, corso Vittorio
Emanuele II, n. 182 (datato più volte al giugno 2008, mentre l’indicazione del
2009 evidentemente è frutto di un mero errore materiale) risulta effettuato in
epoca del tutto compatibile con l’accertata sua partecipazione all’organizzazione
criminale di tipo mafioso, con ruolo gerarchicamente elevato, risalente, come
scrivono i giudici di merito, “quantomeno a far data dal 2008” (a tal fine
richiamando le pertinenti evidenze processuali).
Le restanti censure sub A) esprimono riserve sulla congruità della
motivazione, in questa sede inammissibili per quanto sopra detto.
Quanto alle censure sub B), relative al difetto assoluto di motivazione sulla
sproporzione tra somme lecite nella disponibilità del ricorrente e l’impegno
economico affrontato, il motivo deve considerarsi palesemente infondato.
In primo luogo, il decreto impugnato ha motivato su detta sproporzione,
confermando la valutazione effettuata in primo grado, ritenendo irrilevanti le
produzioni difensive, già in quella sede esaminate, a determinare una
ricostruzione alternativa.
Il Tribunale aveva infatti affermato (pag. 18 del decreto) che alla data della
stipulazione del compromesso per l’acquisto dell’immobile (20 maggio 2008) il
Papalia aveva versato 50.000 euro in contante, risultando la stessa somma del
tutto sproporzionata ai suoi redditi percepiti tra il 2001 ed il 2007, pari
complessivamente a circa 55.000 euro. Il Tribunale aveva aggiunto che non
risultavano documentate altre fonti di reddito in tale periodo.
Orbene, al di là dei riferimenti del decreto impugnato alla esatta
documentazione versata in atti, quel che rileva è che i giudici abbiamo preso in
considerazione le deduzioni difensive. Invero, le allegazioni, allegate al rico
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investe, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto,

per cassazione, riguardano – come la stessa difesa sostiene – le buste paga
percepite dal Papalia dal marzo 2007 all’ottobre 2010. Pertanto, tale produzione
risulta essere stata presa in considerazione dal giudice o comunque risulta
assorbita dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento
impugnato (visto che è pertinente ad epoca del tutto irrilevante a disarticolare il

3. Il ricorso proposto nell’interesse di Violante è inammissibile, in quanto,
come si legge nel decreto impugnato, per la sua posizione non risultava
presentata alcuna impugnazione. E sul punto, il ricorso nulla afferma ex adverso.

4. A diverse conclusioni deve pervenirsi per la posizione della Bentivenga,
relativamente al motivo sub A) di cui si riconosce la fondatezza, che ha forza
assorbente rispetto agli altri che, per tale ragione, non sono presi in esame.
Come ha condivisibilmente rilevato il Procuratore generale nella sua
requisitoria scritta, i Giudici a quibus hanno ritenuto che anche alla Bentivenga
fosse ascrivibile la pericolosità di cui all’art. 4, lett. a) d.lgs. 159/2011, benché
tale qualificazione non risultasse in modo del tutto univoco dal decreto del
Tribunale, che invece aveva ravvisato nei confronti della stessa una pericolosità
diversa.
Nella giurisprudenza di questa Corte è costantemente affermato il principio
secondo cui la correlazione tra i contenuti della proposta e il provvedimento
applicativo della misura è condizione necessaria per il valido svolgimento del
contraddittorio camerale e quindi per la legittimità dello stesso provvedimento
infine adottato (se pur con la precisazione che legittimamente possono essere
utilizzati elementi fattuali, pur non espressamente enunciati nella proposta,
purché acquisiti nel contraddittorio con l’interessato, tra tante, Sez. 1, n. 29966
del 08/04/2013, Costa e altro, Rv. 256415).
In altri termini, si è inteso affermare che il “fatto” su cui va garantito il
contraddittorio è rappresentato dagli accadimenti idonei a sostenere la
valutazione di pericolosità che vanno introdotti nel procedimento già in sede di
formulazione della proposta ed in relazione ai quali il soggetto è chiamato a
controdedurre. Una volta introdotti gli elementi fattuali che caratterizzano il
percorso di vita del soggetto ed una volta assicurato lo sviluppo del
contraddittorio su tali elementi il giudice ben può ritenere – senza alcuna
violazione dei diritti difensivi – che la categoria di pericolosità in cui inquadrare il
soggetto sia diversa da quella originariamente ipotizzata (tra tante, Sez. 1,
32032 del 10/06/2013, De Angelis, Rv. 256451).
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ragionamento dei giudici).

Orbene, nel caso in esame la presenza del dubbio espresso dalla stessa
Corte adita sul significato dei fatti contenuti nel primo decreto e nella proposta
dimostra che di quei fatti l’interessata non abbia potuto cogliere i possibili
significati inferenziali, vanificando l’impegno difensivo di contrasto critico alla
contestazione.
Di tale aspetto di sicura rilevanza circa l’esistenza o meno di un fattore di

procedere ad una diversa qualificazione della pericolosità della ricorrente.
Alla luce di quanto evidenziato va, dunque, disposto l’annullamento con
rinvio della decisione impugnata nei confronti della ricorrente, anche per la parte
relativa alla confisca dei beni alla stessa intestati, perché la Corte distrettuale
proceda a nuovo esame, in conformità dei principi espressi.

5. Conclusivamente per le considerazioni su esposte i ricorsi di Papalia e
Violante devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento ciascuno alla
Cassa delle ammende di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si
stima equo quantificare nella misura di euro mille.
Va invece accolto il ricorso di Bentivenga con conseguente annullamento del
decreto impugnato con rinvio alla Corte di appello di Torino per nuova
deliberazione.

P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato nei confronti di Bentivenga Giuseppina e rinvia
per nuova deliberazione alla Corte di appello di Torino. Dichiara inammissibili gli
altri ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 19/11

compressione dei diritti difensivi il decreto impugnato non si è affatto curato, nel

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