Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4961 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4961 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TORINO
Nel procedimento penale a carico di:
COGGIOLA VITTORIO, N. IL 30/5/1946,
avverso la sentenza n. 537/2012 pronunciata dal Tribunale di Torino del
27/6/2012;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
udite le conclusioni del P.G. Dott. Vincenzo Geraci, che ha concluso per
l’annullamento con rinvio;
udito il difensore dell’imputato, avv. Raimondo Zampia, che ha chiesto il rigetto
del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Torino ha dichiarato
non doversi procedere nei confronti di Coggiola Vittorio per il reato di cui all’art.
590 cod. pen. in danno di Franca Ferrero per essere l’azione penale
improcedibile per mancanza di querela. A siffatta determinazione il Tribunale è
pervenuto escludendo che nella condotta colposa ascrivibile al Coggiola fossero
rinvenibili, oltre ad un profilo di colpa generica, anche profili di colpa specifica
consistenti in violazioni di norme prevenzionistiche. In sostanza, per il Tribunale
il Coggiola aveva determinato le lesioni patite dalla Ferrero omettendo, in qualità
di Presidente del Golf Club Stupinigi, di manutenere adeguatamente le reti

Data Udienza: 17/10/2013

presenti a protezione del ‘campo approcci’, di talchè il 15.5.2010 la Ferrero, che
era in loco perché impegnata in una lezione di ripasso, veniva colpita all’occhio
sinistro dalla pallina da golf che, lanciata da un giocatore dalla vicina buca 3, non
veniva trattenuta dalle reti lacerate e forate poste tra il campo approcci e la
menzionata buca. Le violazioni prevenzionistiche individuate dall’organo
dell’accusa (l’omessa valutazione dei rischi da errori di lancio per lavoratori ed
utenti del campo da golf e l’omessa adozione delle misure di prevenzione contro
tali rischi nonché il mancato mantenimento degli impianti in condizioni di

di efficienza causale rispetto all’evento, giacchè per il giudice questo era stato
determinato non già dalla mancata predisposizione delle misure ma dalla loro
mancata corretta manutenzione; non già dalle modalità di realizzazione
dell’impianto ma dalla sua cattiva manutenzione.

2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Torino deducendo violazione di legge. Per
l’esponente il Tribunale non ha considerato che la manutenzione è specifica
misura di prevenzione e protezione antinfortunistica; come tale, di essa si deve
tener conto nel documento di valutazione dei rischi.
Sotto un diverso profilo l’esponente rammenta che le cautele
antinfortunistiche si indirizzano anche verso gli estranei al rapporto di lavoro
occasionalmente presenti nell’ambiente di lavoro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è fondato, per i motivi di seguito precisati.
4.1. La sentenza impugnata evidenzia una incompleta ricognizione del
quadro normativo e una lettura parziale dell’imputazione.
La prima asserzione formulata dal giudice è che il sinistro

“non è stato

determinato da una non corretta installazione dei dispositivi di protezione …
bensì da una non corretta manutenzione degli stessi”; e che l’infortunio “non
scaturisce da difetti legati alla realizzazione dell’impianto (..) o delle attrezzature
ivi presenti, bensì da una cattiva manutenzione delle strutture esistenti”.

Dal

che viene derivato che la sola colpa ascrivibile all’imputato eziologicamente
connessa all’infortunio è una colpa generica, mentre le trasgressioni
prevenzionistiche contestategli – la cui sussistenza viene incidentalmente
affermata – non avrebbero natura di causa.
Per il giudice tali trasgressioni consisterebbero nella “omessa redazione del
documento di valutazione da parte del Presidente del GOLF CLUB”. Ma tanto
costituisce una arbitraria revisione del capo di imputazione, che contesta
all’imputato non solo l’omessa valutazione nel relativo documento del rischio per

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sicurezza per gli utenti), non escluse dal Tribunale, venivano però giudicate prive

lavoratori e terzi costituito dal lancio delle palline da gioco nonché

l’omessa

indicazione in tale documento delle misure di prevenzione e di protezione
adottate contro i rischi di incidenti dovuti a colpi sbagliati ma anche il non aver
mantenuto “costantemente in efficienza barriere e ripari naturali e artificiali
idonei, …, a trattenere le palline vaganti…”.
Tanto pone a nudo l’errore di diritto nel quale è incorso il giudice territoriale:
una volta ritenuto di acquietarsi di fronte alle conclusioni del c.t. del p.m., per il
quale l’omessa esecuzione della valutazione dei rischi non permette di valutare la

filari di alberi di alto fusto, il decidente non avrebbe potuto comunque operare
una indebita scissione tra la manutenzione degli impianti e la valutazione dei
rischi, concludendo che la trasgressione agli obblighi in punto di valutazione non
rifluisce sul processo causale che è esitato nell’infortunio della Ferrero.
Invero, l’obbligo datoriale di valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute
dei lavoratori (art. 28, co. 1 d.lgs. n. 81/2008) non può che ricomprendere
anche il rischio derivante dall’utilizzo e dalla vetustà delle cose. E che l’utilizzo
degli apparecchi, dei macchinari, degli impianti, dei luoghi di lavoro, delle
attrezzature di lavoro, dei DPI determini un progressivo scadimento degli
originari livelli di sicurezza è non solo evenienza di comune conoscenza ma è
evento specificamente preso in considerazione dal legislatore prevenzionistico.
Come già rilevato dal P.m. ricorrente, l’art. 15, che indica le ‘Misure generali di
tutela’, al comma 1, lett. z) menziona “la regolare manutenzione di ambienti,
attrezzature, impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in
conformità alla indicazione dei fabbricanti”; l’art. 64, nell’elencare gli obblighi del
datore di lavoro rispetto ai luoghi di lavoro, recita che questi provvede affinchè
“c) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare
manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i
difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori” e
che “e) gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o
all’eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al
controllo del loro funzionamento”. Altre disposizioni prescrivono gli obblighi di
manutenzione delle attrezzature di lavoro (artt. 71 e 72) e dei DPI (art. 77). In
sintesi, se nel dettare i contenuti della valutazione dei rischi l’art. 28 non utilizza
il termine manutenzione, espressa menzione ne viene fatta diffusamente
all’interno del ‘Codice della sicurezza’. Di talchè la stessa valutazione dei rischi
deve avere riguardo alle attività di manutenzione necessaria a preservare
l’efficienza delle misure di prevenzione individuate.
Peraltro, anche sul piano testuale, il concetto di realizzazione (di “attuazione
delle misure da realizzare” si legge appunto nell’art. 28) reca in sé tanto il

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regolarità della messa in opera dei dispostivi di protezione rappresentati da reti e

concetto di attività ‘creatrice’, ovvero che produce per la prima volta un
determinato risultato, sia il concetto di attività di conservazione di quanto
prodotto: la realizzazione è insomma anche l’attività permanente che consente il
mantenimento nel tempo di quanto realizzato.
Di tale interpretazione vi è traccia in un precedente di questa Corte, che a
proposito dell’obbligo di manutenere un impianto anche nel caso in cui del
medesimo siano previste revisioni periodiche predeterminate, ha affermato che
nel concetto di realizzazione rientra anche quello di manutenzione ordinaria e

tecnica (Sez. 4, n. 12809 del 01/10/1998 – dep. 05/12/1998, Marchetti D, Rv.
212402).
In conclusione, può quindi formularsi il seguente principio di diritto: “in tema
di sicurezza nei luoghi di lavoro, tra le misure che la valutazione dei rischi deve
prevedere rientra anche l’attività di manutenzione necessaria a preservare nel
tempo l’idoneità e l’efficienza delle misure di prevenzione individuate”.
4.2. Alla luce del principio appena espresso la sentenza impugnata risulta
erronea. L’omessa manutenzione delle reti poste a protezione dei lavoratori e
degli utenti del campo da golf rispetto al rischio determinato dal lancio di palle
da gioco nel corso dell’attività sportiva non contravviene ad una regola di
generica prudenza e/o di diligenza, ma va ricondotta – come correttamente fatto
dall’ufficio del p.m. – alla violazione degli artt. 17 e 28 d.lgs. n. 81/2008. Ove la
valutazione del rischio fosse stata compiuta, sarebbero state identificate le
metodiche di rilevamento dei difetti delle reti e degli altri impianti, i turni di
manutenzione, le misure da adottare in occasione delle riparazioni o delle
sostituzioni delle reti e così seguitando. Il mancato compimento di tale
fondamentale attività di analisi e progettazione ha determinato l’assenza o
l’inefficienza della manutenzione affermata nella sentenza; con l’esito
rappresentato dall’infortunio occorso alla Ferrero.
4.3. Appare opportuno aggiungere, per quanto non posto in discussione né
dal giudice né dalle parti, che la ricorrenza di una violazione prevenzionistica nel
nucleo della condotta illecita va ribadita pur se la persona che ne ha subito gli
effetti non risulta legata al trasgressore da un rapporto di lavoro. Risulta ormai
consolidato l’indirizzo giurisprudenziale per il quale, in tema di prevenzione nei
luoghi di lavoro, le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la
tutela dei lavoratori nell’esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a
tutela dei terzi che si trovino nell’ambiente di lavoro, indipendentemente
dall’esistenza di un rapporto di dipendenza con il titolare dell’impresa. Ne
consegue che ove in tali luoghi vi siano macchine non munite dei presidi
antinfortunistici e si verifichino a danno del terzo i reati di lesioni o di omicidio

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straordinaria dell’apparecchio per renderlo conforme alle norme della buona

colposi, perché possa ravvisarsi l’ipotesi del fatto commesso con violazione delle
norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, di cui agli artt. 589, comma
secondo, e 590, comma terzo, cod. pen., nonché la perseguibilità d’ufficio delle
lesioni gravi e gravissime, ex art. 590. u.c., cod. pen., è necessario e sufficiente
che sussista tra siffatta violazione e l’evento dannoso un legame causale, il quale
ricorre se il fatto sia ricollegabile all’inosservanza delle predette norme secondo i
principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., e cioè sempre che la presenza di
soggetto passivo estraneo all’attività ed all’ambiente di lavoro, nel luogo e nel

eccezionalità tali da fare ritenere interrotto il nesso eziologico tra l’evento e la
condotta inosservante, e la norma violata miri a prevenire l’incidente verificatosi
(Sez. 4, n. 23147 del 17/04/2012 – dep. 12/06/2012, De Lucchi, Rv. 253322;
Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009 – dep. 17/11/2009, Morelli, Rv. 245527, in
motivazione; Sez. 3, 29/11/2007, Sava; Sez. 4, 10/11/2005, Proc Trento in
proc. Sartori).
Con riguardo ai testi previgenti al Codice della sicurezza, e segnatamente
all’art. 1 d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, espressamente richiamato dal capo 1
d.P.R. 7 gennaio 1956 n. 164, si è osservato che quando quello menziona i
“lavoratori subordinati e ad essi equiparati” non intende individuare in costoro i
soli beneficiari della normativa antinfortunistica, ma ha la finalità di definire
l’ambito di applicazione di detta normativa, ossia di stabilire in via generale quali
siano le attività assoggettate all’osservanza di essa, salvo, poi, nel successivo
art. 2, escluderne talune in ragione del loro oggetto, perché disciplinate da
appositi provvedimenti. Se ne è dedotto che, qualora sia accertato che ad una
determinata attività siano addetti lavoratori subordinati o soggetti a questi
equiparati, ex art. 3, comma secondo, dello stesso d.P.R. n. 547 del 1955, non
occorre altro per ritenere obbligato chi esercita, dirige o sovrintende all’attività
medesima ad attuare le misure di sicurezza previste dai citati d.P.R. 547 del
1955 e 164 del 1956; obbligo che prescinde completamente dalla individuazione
di coloro nei cui confronti si rivolge la tutela approntata dal legislatore. Ne
consegue che, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di
sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza non potrà non far carico, a
titolo di colpa specifica, ex art. 43 cod. pen. e, quindi, di circostanza aggravante
ex art. 589, comma secondo, e 590, comma terzo, stesso codice, su chi detti
obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco importando che ad infortunarsi sia stato
un lavoratore subordinato, un soggetto a questi equiparato o, addirittura, una
persona estranea all’ambito imprenditoriale, purché sia ravvisabile il nesso
causale con l’accertata violazione (Sez. 4, n. 2383 del 10/11/2005 – dep.
20/01/2006, Losappio ed altri, Rv. 232916).

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momento dell’infortunio non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed

I principi appena rammentati mantengono inalterata la loro valenza pur
dopo l’emanazione del d.lgs. n. 81/2008, il cui articolo 3 riproduce l’opposizione
testuale evidenziata dalla massima sopra riportata.

5. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata e gli atti
vanno trasmessi al Tribunale di Torino per l’ulteriore corso.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17.10.2013.

Torino per l’ulteriore corso.

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