Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49607 del 10/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 49607 Anno 2013
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: GARRIBBA TITO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BONAFEDE LEONARDA N. IL 19/09/1940
avverso la sentenza n. 4565/2010 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 18/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. TITO GARRIBBA;

Data Udienza: 10/10/2013

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1.

BANAFEDE Leonarda ricorre contro la sentenza d’appello specifi-

cata in epigrafe, che confermava la condanna per il reato previsto dall’art. 392 cod.
pen., e denuncia vizio di motivazione:
1.

in ordine all’affermazione di responsabilità, censurando la ritenuta credibilità
della persona offesa dal reato nonché del figlio e della sorella;
in ordine alla pena inflitta, giustificata dal mero richiamo ai criteri di cui all’art.
133 cod.pen.
Con memoria depositata oggi la parte civile chiede che l’imputato sia di-

chiarato colpevole del reato ascrittogli e condannato al risarcimento del danno e alla
rifusione delle spese in favore di essa parte civile.

§2.

La denuncia del vizio di motivazione non conferisce al giudice di

legittimità il potere di riesaminare la vicenda processuale, ma gli attribuisce solo la facoltà di controllare, sotto il profilo della coerenza logico-formale, le argomentazioni
svolte dal giudice del merito. Pertanto la verifica che la Corte di cassazione è abilitata
a compiere sulla correttezza della motivazione di una sentenza non può essere confusa
con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sull’attendibilità delle fonti di prova, giacché esso è attribuito al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti sul piano logico con un’esauriente analisi delle risultanze probatorie, si sottraggono al sindacato di legittimità (Cass.,
Sez. U., n. 2110 del 23.2.1996, Fachini, rv 203767).
Nel caso concreto le censure sollevate dal ricorrente, lungi dall’evidenziare i
pretesi vizi di mancanza e manifesta illogicità della motivazione, propongono una diversa valutazione delle prove, sollecitando un sindacato di merito che non può avere
ingresso nel giudizio di legittimità.
Quanto al trattamento sanzionatorio (euro 300 di multa), la sentenza impugnata, qualificando la pena come “adeguata”, ha adempiuto – considerata la mitezza della pena inflitta – l’obbligo di motivazione, posto che il termine utilizzato, al pari di
quelli equivalenti di pena “congrua” o “equa”, è sufficiente a far ritenere che il giudice
ha tenuto conto, intuitivamente e globalmente, di tutti gli elementi previsti dall’art.
133 cod.pen. (v. Cass., Sez 6, 11.01.1990, Alaoui, rv 184395).
Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile ai sensi degli artt.
591, comma 1, lett c), e 606, comma 3, cod.proc.pen. Ne consegue la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di
euro mille alla cassa delle ammende.

2.

Non si fa luogo alla condanna alla rifusione delle spese chieste dalla parte
civile, posto che nel presente giudizio – che non può avere sbocco diverso dall’inammissibilità del ricorso – non è previsto l’intervento di alcuna parte e del resto la memoria depositata non contiene argomentazioni particolari utili a orientare la decisione.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento del-

delle ammende.
Così deciso il 10 ottobre 2013.

le spese processuali e al versamento della somma di euro mille in favore alla Cassa

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