Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49580 del 27/10/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 49580 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Abdoulaye Der, nato a Ndieumb Fall (Senegal) il 20-12-1951
avverso la sentenza del 24-06-2014 della Corte di appello di Caltanissetta;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Marilia Di Nardo che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente

;

Data Udienza: 27/10/2015

t

I

RITENUTO IN FATTO

1. Der Abdoulaye ricorre per cassazione impugnando la sentenza con la
quale la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato quella emessa dal
tribunale di Gela con la quale il ricorrente veniva condannato alla pena di mesi
sei di reclusione e € 2.600,00 di multa per il reato previsto dall’articolo 171 ter,
comma 1, lettere a) e d), legge 22 aprile 1941, n. 633 per avere detenuto per la
vendita, senza avere concorso nella riproduzione, 970 CD contenenti opere

abusivamente riprodotti e privi del marchio Siae. In Gela 1’11 aprile 2010.

2.

Per la cassazione dell’impugnata sentenza il ricorrente, tramite il

difensore, articola i seguenti tre motivi di gravame.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione della legge penale
avendo la Corte d’appello erroneamente escluso, in assenza di elementi fattuali,
l’ipotesi della duplicazione.
Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello non ha riqualificato la fattispecie
nella lettera c) dell’articolo 171 ter ed ha quindi errato nell’applicazione della
legge penale in quanto la fattispecie in questione presuppone la condotta della
duplicazione che va provata non essendo sufficiente l’assenza del marchio Siae
sui supporti magnetici, potendo l’assenza del contrassegno rappresentare, al più,
un mero indizio della contraffazione.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la carenza di motivazione in
riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche sul rilievo che
sarebbe illogico l’assunto in base al quale le attenuanti non sono state concesse.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge per la
mancata conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria
ex articolo 53 della legge 689 del 1981, sul rilievo che la richiesta di
rateizzazione indicata nei motivi di appello è stata rigettata con una motivazione
del tutto illogica atteso che il diniego è stato basato sull’assunto secondo il quale,
svolgendo l’imputato un’attività lavorativa, non sarebbe più precluso il
pagamento della pena pecuniaria in un’unica soluzione, decisione che non trova
alcun riscontro nella dettato legislativo.

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musicali di artisti vari e 370 DVD contenenti la riproduzione di film e giochi vari,

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Quanto al primo motivo, è sufficiente considerare che il ricorrente fu
sorpreso nella materiale disponibilità dei supporti magnetici, privi del
contrassegno Siae e indicati nel capo d’accusa, nei pressi di un mercato rionale,
ove, secondo la logica valutazione operata dai Giudici del merito, si apprestava,

ricorrente esclusivamente della mancata riqualificazione giuridica del fatto
contestato, comunque e sottoposto quoad poenam al medesimo regime edittale.
Osserva il Collegio che, in tema di diritto d’autore, nel caso di detenzione
per la vendita di supporti privi del contrassegno Siae, oggetto della tutela penale
sono le videocassette, musicassette o qualsiasi supporto contenente fonogrammi
o videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive o sequenze di
immagini in movimento o altro supporto, per i quali è prescritta l’apposizione del
contrassegno da parte della Siae e che siano privi del contrassegno medesimo,
con la conseguenza che la mancanza del contrassegno è equiparata alla
contraffazione o alterazione dello stesso.
E’ noto che la rilevanza penale, ai sensi dell’art. 171 ter, comma 1, lett. d),
legge n. 633 del 1941 della violazione dell’obbligo di apposizione del
contrassegno Siae è stata rivalutata alla luce della sentenza della Corte di
Giustizia della Comunità Europea (C. Giust. CE, 8 novembre 2007, Schwibbert),
che ha prodotto effetti di notevole rilevanza sul piano dell’applicazione delle
norme penali nazionali in tema di diritto d’autore.
I Giudici europei si sono pronunciati in via pregiudiziale sulla compatibilità
delle norme nazionali in tema di contrassegno Siae con gli artt. 3, 23 e 27
Trattato di Roma (CE) del 25 marzo 1957 nonché con gli artt. 1, 8, 10 e 11 della
direttiva 98/34/CE del 22 giugno 1998 e con le direttive 92/100/CEE e
2001/29/CE, che prevedono un obbligo di informazione da parte degli Stati
membri nei confronti della Commissione europea “nel settore delle norme e delle
regolamentazioni tecniche”, volto a consentire alle istituzioni comunitarie di
verificare la compatibilità delle regole nazionali col principio di libera circolazione
delle merci e di promuovere eventualmente l’armonizzazione delle regole
tecniche di ciascuno Stato. Tale obbligo di comunicazione era stato
originariamente fissato con la direttiva 83/189/CEE, dalla cui data di entrata in
vigore (31 marzo 1983) doveva considerarsi sussistente per lo Stato italiano il
dovere di avviare la procedura di informazione prevista a livello europeo.
La Corte di Giustizia, con la richiamata sentenza Schwibbert, ha ricondotto
nel concetto di “regola tecnica” ex art. 1 direttiva 98/34/CE l’obbligo del

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con tutta evidenza, a venderli, circostanza peraltro non contestata dolendosi il

contrassegno Siae fissato dalla legge stabilendo, sul rilievo che lo Stato italiano
non aveva adempiuto ad alcun obbligo di informazione, l’inopponibilità nei
confronti dei privati delle norme nazionali che impongono l’apposizione del
contrassegno Siae.
Per effetto del principio di prevalenza del diritto comunitario sul diritto
nazionale, anche in materia penale, e dell’efficacia vincolante nell’ordinamento
interno delle pronunce della Corte di Giustizia della Comunità Europea, questa
Corte ha affermato, con orientamento uniforme, la non opponibilità ai privati

della stessa alla Commissione Europea in adempimento della normativa
comunitaria relativa alle “regole tecniche”, nel senso affermato dalla Corte di
giustizia CE, comportante il venir meno unicamente dei reati caratterizzati dalla
sola mancanza del contrassegno suddetto (Sez. 3, n. 34555 del 24/06/2008,
Cissoko, Rv. 240753), con conseguente obbligo, per i giudici nazionali, di
disapplicazione, nelle fattispecie di reato di cui agli artt. 171 bis, commi primo e
secondo, e 171 ter della L. n. 633 del 1941, che prevedono la mancanza del
contrassegno quale elemento costitutivo, della relativa normativa ove non
notificata, sul rilievo che le sentenze della Corte di giustizia CE, quale interprete
qualificato del diritto comunitario, di cui definisce autoritativamente il significato
a norma dell’art. 164 del Trattato CE, hanno efficacia vincolante, anche “ultra
partes”, nei procedimenti dinanzi alle autorità, giurisdizionali o amministrative,
dei singoli Stati membri (Sez. 7, n. 21579 del 06/03/2008, Boujlaib, Rv.
239958).
Con D.P.C.M. 23 febbraio 2009, n. 31 è stato approvato il nuovo
regolamento di disciplina del contrassegno da apporre sui supporti, ai sensi
dell’art. 181 bis, legge n. 633 del 1941 e, con il comunicato del 7 maggio 2009
(pubblicato nella G.U. 7 maggio 2009, n. 104), il Ministero per i beni e le attività
culturali ha annunciato che il citato regolamento costituisce «il testo definitivo
della regola tecnica oggetto del procedimento di notifica n. 2008/0162/1,
avviato, allo stato di progetto, in data 23.4.2008» e che «la suddetta procedura
è stata posta in essere e si è conclusa in conformità alla direttiva n. 98/34/CE,
che prevede una procedura di informazione nel settore delle norme e delle
regolamentazioni tecniche».
Ne consegue che le regole tecniche poste a protezione del diritto d’autore
possono essere legittimamente opposte ai privati a seguito dell’adempimento, da
parte dello Stato italiano, dell’obbligo di notificazione e, dunque, da tale
momento le disposizioni penali incentrate sulla violazione dell’obbligo di
apposizione del contrassegno possono essere nuovamente applicate, anche se
con esclusivo riferimento ai fatti commessi successivamente all’osservanza della
procedura di comunicazione alla Commissione europea.
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della normativa sul contrassegno Siae quale effetto della mancata comunicazione

Siccome, nel caso di specie, la detenzione abusiva dei supporti privi del
contrassegno Siae è stata realizzata in data 11 aprile 2010 e quindi, ratione
temporis, dopo l’adempimento, da parte dello Stato italiano, dell’obbligo di

informazione nei confronti della Commissione europea volto a consentire alle
istituzioni comunitarie di verificare la compatibilità delle regole nazionali col
principio di libera circolazione delle merci e di promuovere eventualmente
l’armonizzazione delle regole tecniche di ciascuno Stato, correttamente è stata
affermata la penale responsabilità del ricorrente per il reato ascrittogli e

3. Il secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza e per
l’assoluta genericità della censura avendo la Corte territoriale fondato il diniego
delle attenuanti generiche sulla base dei precedenti penali del ricorrente e
dall’assenza di elementi positivi, emergenti dagli atti, che potessero fondarne il
riconoscimento, elementi che lo stesso ricorrente, senza prendere specifica
posizione con il contenuto della motivazione, omette del tutto di indicare.

4. Parimenti inammissibile è il terzo motivo di gravame per essere la
doglianza (posto che il ricorrente nella rubrica lamenta la mancata conversione
della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria mentre nello
svolgimento del motivo si duole del rigetto della richiesta di rateizzazione della
pena pecuniaria) completamente disarticolata rispetto alla ratio decidendi.
Infatti, la Corte del merito, dopo aver correttamente affermato
l’insussistenza dei presupposti (consistente quantità dei prodotti illegalmente
detenuti e capacità a delinquere dell’imputato) per operare la conversione della
pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria (punto della decisione
impugnata rispetto al quale non è stato mosso alcun specifico rilievo da parte del
ricorrente), ha ritenuto di rigettare la richiesta di rateizzazione del pagamento
della pena pecuniaria applicata a seguito della ritenuta responsabilità penale sul
presupposto, oggetto di congrua e logica motivazione, secondo il quale il
ricorrente, titolare di redditi derivanti da attività lavorativa, fosse nelle condizioni
di poter adempiere al pagamento della pena pecuniaria in un’unica soluzione.
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte di appello si è attenuta al principio
di diritto affermato da questa Corte, che va ribadito, secondo il quale la
rateizzazione della pena pecuniaria prevista dall’art. 133 ter cod. pen. ha come
presupposto le disagiate condizioni economiche del condannato, raffrontate
all’entità della pena pecuniaria inflitta. Peraltro, l’imputato, per far valere la
precarietà delle condizioni economiche, deve produrre ogni documentazione utile
sul proprio stato e il giudice di merito, nel concedere o negare tale agevolazione,
deve motivare l’esercizio del suo potere discrezionale non solo facendo

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conseguendo da ciò l’infondatezza del primo motivo di ricorso.

riferimento generico all’art. 133 cod. pen., ma soprattutto mettendo in evidenza
da un lato l’ammontare della pena e dall’altro le condizioni economiche del
condannato (Sez. 6, n. 4184 del 09/12/1999, dep. 27/03/2000, Dallabrida, Rv.
215852).
Nel caso di specie, a fronte della titolarità di redditi da lavoro e di una
condanna al pagamento di una somma non ingente, né elevata e pari a 2.600,00
euro di multa, il ricorrente non ha provato e neppure anche solo allegato alcuna
situazione di disagio economico nel fare fronte all’esecuzione della pena

osservato l’obbligo di motivazione che le era richiesto.

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 27/10/2015

pecuniaria, conseguendo da ciò che la Corte distrettuale ha pienamente

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