Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49576 del 15/10/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 49576 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: ROSI ELISABETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GHIGLIOTTI ENRICO N. IL 19/01/1962
GHIGLIOTTI FABRIZIO N. IL 16/03/1985
avverso la sentenza n. 668/2014 CORTE APPELLO di GENOVA, del
29/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/10/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ELISABETTA ROSI
Udito il Procuratore Ggerale in pe ona del Dott.
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che ha concluso per
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Data Udienza: 15/10/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 29 aprile 2014, la Corte di Appello di Genova ha confermato
la sentenza del GUP presso il Tribunale di Imperia che, all’esito del giudizio
abbreviato, aveva condannato Ghigliotti Enrico e Ghigliotti Fabrizio, concesse le
attenuanti generiche, alla pena di mesi otto di reclusione ed euro 6.000,00 di
multa (pena base di anni uno e mesi tre di reclusione ed euro 12.000,00 di
multa, diminuita ex art. 62 bis c.p. ad anni uno di reclusione ed euro 9.000,00 di
multa, ridotta per il rito a mesi otto ed euro 6.000,00 di multa) dichiarandoli

del 1990, perché in concorso tra loro, in terreno di loro proprietà limitrofa
all’abitazione, munito di sistema di irrigazione a “goccia” temporizzato e di rete
di protezione dai raggi solari, coltivavano n. 10 piante di cannabis (marijuana)
dell’altezza di circa m. 2 – 2,5. Fatto commesso in Sanremo in data 23 agosto
2012.
2. Avverso la sentenza, gli imputati hanno proposto, tramite il proprio difensore,
ricorso per cassazione per i seguenti motivi: 1) Erronea applicazione della legge
penale per non aver riconosciuto la non punibilità della condotta, in
considerazione del fatto che la coltivazione era finalizzata all’uso personale. A
parere della difesa, difetterebbe l’offensività della condotta contestata agli
imputati, dovendosi ritenere che la sostanza rinvenuta fosse destinata ad uso
personale, in ragione sia dell’esigua quantità rinvenuta (dieci piante) sia del fatto
che Enrico Ghigliotti, svolgendo una regolare attività lavorativa, non aveva
bisogno di guadagnare attraverso l’attività di spaccio; 2) Violazione di legge
stante il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, c.
4), c.p., e per aver negato la compatibilità di tale circostanza con quella ad
effetto speciale del fatto di lieve entità e mancanza di motivazione sul punto; 3)
Violazione di legge, in particolare dell’art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del
1990, attesa la mancata applicazione della legge più favorevole conseguente alla
reviviscenza dell’originaria disciplina di cui all’art. 73, comma 5, in seguito alla
sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014.
3. Con memoria del 23 settembre 2015, la difesa degli imputati ha prospettato
nuovi motivi di impugnazione: 1) L’applicazione dell’art. 131 bis c.p.: insistendo
nel primo motivo di ricorso, secondo la prospettazione difensiva sussisterebbero i
presupposti per rilevare la particolare tenuità del fatto quale causa di non
punibilità anche in sede di sindacato di legittimità, alla luce di un recente
indirizzo interpretativo. La fattispecie contestata all’imputato rientra

quoad

poenam tra i presupposti applicativi dell’art. 131 bis c.p. Sussisterebbero,
inoltre, gli ulteriori requisiti della particolare tenuità dell’offesa e della non
abitualità del comportamento: il comportamento degli imputati sarebbe
inoffensivo e non abituale; 2) Illegittimità della pena pecuniaria, conseguente al

responsabili del reato di cui agli artt. 110 c.p. e 73, comma 5, del D.P.R. n. 309

mutamento del trattamento sanzionatorio previsto nell’art. 73, comma 5, del
D.P.R. n. 309 del 1990. Ad ulteriore specificazione del motivo con cui era stata
eccepita l’illegalità della pena, la difesa ha sottolineato che la pena pecuniaria
irrogata sarebbe illegittima tenuto conto del fatto che, nel determinare il
trattamento sanzionatorio, il giudice di merito ha determinato la pena base nella
misura di euro 12.000, quantità superiore al massimo edittale previsto nell’art.
73, comma 5, del D.P.R. 309 del 1990, come recentemente novellato; 3)
Illegittimità della pena detentiva e di quella pecuniaria conseguente

73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del 1990: in considerazione dei mutamenti che
hanno interessato la fattispecie incriminatrice applicata nel caso di specie, alla
luce dell’art. 2 c.p., la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata, non
potendosi ritenere congrua la pena inflitta agli imputati.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Le censure prospettate dai ricorrenti sottopongono all’attenzione di questa
Corte profili già valutati adeguatamente nella decisione impugnata, le cui
motivazioni non presentano errori giuridici o manifeste illogicità.
Il primo motivo di ricorso è infondato, atteso che il reato di coltivazione è
considerato diversamente da quello di mera detenzione della sostanza
stupefacente. La coltivazione non può essere direttamente collegata all’uso
personale ed è punita di per sé in ragione del carattere di aumento della
disponibilità e della possibilità di ulteriore diffusione. Viceversa, la detenzione è
condotta strettamente collegata alla successiva destinazione della sostanza e da
tale destinazione è qualificata. Di conseguenza, il fatto tipico della coltivazione è
integrato a prescindere dall’accertamento della destinazione a fini di spaccio
della sostanza, per cui costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi
attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili
sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del
prodotto ad uso personale (in tal Sez. U, n. 28605 del 24/4/2008, Di Salvia,
Rv. 23992 ed anche Sez. 6, n. 51497 del 4/12/2013, Zilli, Rv. 258503, che ha
sottolineato che si prescinde dalla distinzione tra coltivazione tecnico-agraria
e coltivazione domestica).
2. Invero, spetta al giudice di merito verificare se la condotta accertata sia
assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto,
dovendosi precisare che la condotta è “inoffensiva” se il bene tutelato non è
stato leso o messo in pericolo anche in grado minimo. Nello specifico reato qui
considerato, sarebbe necessario che la sostanza ricavabile dalla coltivazione non

all’intervenuta modifica del trattamento sanzionatorio dopo la novella dell’art.

fosse idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile ( questa
Corte, con la sentenza Sez. 6, n. 33835 del 8/4/2014, P.G. in proc. Piredda, Rv.
260170, ha affermato che la punibilità per la coltivazione non autorizzata di
piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa allorché il giudice
ne accerti l’inoffensività “in concreto”, nel senso che la condotta deve essere così
trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità
della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa).
3. Orbene, nel caso di specie, con motivazione insindacabile in questa sede

destinazione ad uso personale, sottolineando sia la presenza di un sistema di
irrigazione “a goccia temporizzata” – dunque l’uso di mezzi tecnici particolari
escludenti la presenza di una coltivazione domestica – sia le dimensioni delle
piante, che avevano raggiunto oltre i due metri di altezza, sia il rinvenimento del
bilancino nella disponibilità degli imputati: elementi che i giudici del gravame
hanno ritenuto rilevanti per poter affermare che la destinazione della sostanza
non fosse certamente quella dell’uso personale. Pertanto sotto il profilo della
offensività in concreto, i giudici di merito hanno ritenuto che la condotta fosse
effettivamente lesiva del bene giuridico tutelato, evidenziando la circostanza che
le cinque dosi approntabili con il ricavato della piantagione, peraltro non ancora
giunta a maturazione, fossero un quantitativo tutt’altro che insignificante.
4. Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso che invoca l’applicazione della
circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, lo stesso è infondato. Detta
circostanza è applicabile, oltre che per i delitti contro il patrimonio o che
offendono il patrimonio, anche per quelli che siano in ogni caso determinati da
motivi di lucro. Nella prima ipotesi l’elemento normativo richiesto per la
configurazione dell’attenuante in parola è quello di aver cagionato alla persona
offesa un danno patrimoniale di speciale tenuità; mentre nell’altra ipotesi è
quello di avere agito per conseguire, o per avere conseguito, un lucro di speciale
tenuità, ma i delitti in materia di stupefacenti non risultano riconducibili a tale
tipologia di reati. Pertanto questa Corte condivide a fa proprio il prevalente
orientamento (cfr. Sez. 6, n. 9722 del 29/1/2014, D., Rv. 259071), secondo cui
la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, di cui all’art.
62, comma primo, n. 4 c.p. non è applicabile ai reati in tema di stupefacenti.
5. Di conseguenza è parimenti priva di fondamento la censura relativa alla
mancanza di motivazione circa il mancato bilanciamento tra la circostanza
attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, di cui all’art. 62, comma
primo, n. 4 c.p. e quella ad effetto speciale di cui all’art. 73, comma 5, del D.P.R.
n. 309 del 1990: la richiesta di bilanciamento è stata effettuata dalla difesa per

perché congruamente e logicamente motivata, la Corte ha escluso la

la prima volta in questa sede, e per tale motivo, deve essere dichiarata
inammissibile.
6. Risulta infondata anche la richiesta di applicazione dell’art. 131 bis c.p.,
invocata con i motivi aggiunti. Questo Collegio condivide il principio affermato
nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 31932 del 2/7/2015,
Terrezza, Rv. 264449), secondo il quale “la esclusione della punibilità per
particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p., ha natura sostanziale ed è
applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 16

Suprema Corte può rilevare di ufficio ex art. 609 c.p.p., comma 2, la sussistenza
delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, fondandosi su quanto
emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione
impugnata e, in caso di valutazione positiva, deve annullare la sentenza con
rinvio al giudice di merito.” Ma nel caso in esame non emerge alcuna particolare
tenuità del fatto, essendo sufficiente ad escluderla la valutazione compiuta dai
giudici di merito circa l’offensività della condotta posta in essere dagli imputati, i
quali, come accertato nella sentenza impugnata, non erano dediti alla mera
coltivazione domestica, ma avevano approntato un sistema di irrigazione e di
orientamento dei raggi solari per provvedere alla coltivazione di piante di oltre
due metri di altezza, senza contare l’elemento del rinvenimento del bilancino che
conferma la destinazione a fini di spaccio.
7. Da ultimo devono, ad ogni modo trovare accoglimento i motivi di ricorso
relativi alla determinazione del trattamento sanzionatorio, stante il mutato
quadro normativo di riferimento. Infatti, la previsione di cui all’art. 73, comma 5,
del D.P.R. n. 309 del 1990, è stato oggetto di diverse modifiche normative
intervenute nelle more del presente giudizio. In primo luogo, l’art. 2, comma 1,
lett. a), del D.L. 23 dicembre 2013, n. 146 (convertito con modificazioni dalla L.
22 febbraio 2014, n. 10), è intervenuto sul testo della norma citata stabilendo:
“L’art. 73, comma 5 è sostituito dal seguente comma: Salvo che il fatto
costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente
articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la
qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della
reclusione da uno a cinque anni e della multa da Euro 3.000 a Euro 26.000”. In
secondo luogo, l’art. 1, comma 24 ter, del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito
con modificazioni dalla L. 16 maggio 2014, n. 79, ha sostituito detta disposizione
con la seguente previsione “Salvo che il fatto costituisca più grave reato,
chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la
modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle

marzo 2015, n. 28, ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la

sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a
quattro anni e della multa da Euro 1.032 a Euro 10.329”.
Se anche il reato ascritto al ricorrente è stato commesso prima dell’entrata in
vigore di entrambi i testi di legge citati (avvenuta rispettivamente il 24/12/2013
e il 21/5/2014), la disciplina favorevole deve essere applicata retroattivamente
in applicazione del disposto di cui all’art. 2 c.p.
Di conseguenza la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra
sezione della Corte di Appello di Genova, limitatamente alla rideterminazione

PQM

annulla la sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Genova,
per la rideterminazione della pena, rigetta i ricorsi nel resto.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2015

Il consigliere estensore

Il Presidente

della pena, mentre il ricorsi devono essere rigettati nel resto.

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