Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4957 del 08/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4957 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: FOTI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
NAPOLI
BRASIELLO CARMELA N. IL 28/04/1955
FERRO CLAUDIA N. IL 21/01/1987
FERRO EMILIA N. IL 31/08/1984
nei confronti di:
LIOTTI AGOSTINO N. IL 09/09/1956
avverso la sentenza n. 4169/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
12/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO FOTI
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. $215.4411
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv

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Data Udienza: 08/10/2013

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Uditi difensor Avv.

Ritenuto in fatto.

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-2- Il tribunale, in composizione monocratica, ha affermato la responsabilità dell’imputato
in ordine al delitto di omicidio colposo e lo ha condannato, riconosciute le circostanze
attenuanti generiche, alla pena di quattro mesi di reclusione, nonché al risarcimento dei
danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separato giudizio. Lo ha invece
assolto dal reato di falso, ritenuto insussistente essendo emerso che il Liotti non aveva
contraffatto la decisione del paziente, che aveva effettivamente rifiutato il ricovero, sia pure
sulla base di un’informazione sbagliata, ma l’aveva solo erroneamente orientata.
Il giudice di primo grado ha anzitutto osservato come dall’istruttoria dibattimentale -al di
là del contrasto emerso tra le parti in ordine al quadro clinico che presentava il Ferro al suo
arrivo al pronto soccorso dell’ospedale e delle considerazioni mediche che se ne sarebbero
potuto trarre- fosse emersa una circostanza da tutti ammessa, e cioè, l’opportunità che il
paziente fosse trattenuto in osservazione per essere sottoposto al dosaggio dei marcatori.
In particolare, ha precisato lo stesso giudice, il teste a difesa, dott. Aruta, collega del Liotti,
ciò aveva consigliato, dopo avere appreso i sintomi denunciati dal paziente; lo stesso
imputato aveva dichiarato di avere suggerito al Ferro l’osservazione per verificare l’efficacia
del prodotto prescritto e, quindi, la bontà della sua diagnosi, mentre il teste d’accusa, Iodice
Raffaele, aveva ricordato che la prospettiva di una ulteriore osservazione era stata avanzata
dallo stesso Liotti. Secondo il tribunale, quindi, poiché la mancata diagnosi della patologia
cardiaca era dipesa dal rifiuto opposto dal paziente all’indicazione del sanitario di fermarsi
in ospedale per sottoporsi ad osservazione, l’indagine, ai fini della decisione, avrebbe dovuto
solo riguardare detto rifiuto, più specificamente, le ragioni dello stesso, con riferimento al
tipo di informazione che al paziente era stata fornita dal Liotti.

-1- Liotti Agostino è stato tratto a giudizio davanti al Tribunale di Napoli per rispondere
del decesso di Ferro Antonio, sopraggiunto intorno alle ore 12.40 del 28 ottobre 2008 per
arresto cardiaco.
Secondo l’accusa, il dott. Liotti, medico presso il pronto soccorso dell’ospedale “S.
Giovanni Di Dio” di Napoli, ove il Ferro si era portato per un insistente dolore al torace, ne
ha cagionato la morte per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia. In
particolare, per avere omesso di valutare adeguatamente i sintomi di una sindrome
coronarica acuta di tipo ischemico già in atto, nonché di consigliare al paziente di sottoporsi
ad osservazione clinica al fine di effettuare elettrocardiogrammi, dosaggi dei marcatori
cardiaci e tutti i controlli ed esami di laboratorio necessari per chiarire la natura e le cause
del dolore lamentato.
Lo stesso Liotti è stato chiamato a rispondere, oltre che del delitto di omicidio colposo,
anche del reato di cui all’art. 479 cod. pen., per avere, nella qualità sopra indicata, redatto e
rilasciato il referto medico n. 75149, nel quale era stato falsamente attestato che il Ferro
aveva rifiutato l’osservazione che era stata consigliata dal sanitario.
I passaggi temporali che hanno caratterizzato la vicenda in esame sono stati ricostruiti nei
seguenti termini.
Nella mattinata del 28 ottobre 2005, Ferro Antonio, avendo accusato un persistente dolore
al torace, si era portato, accompagnato da Iodice Raffaele, presso il predetto ospedale.
Poiché i controlli eseguiti non avevano rivelato alcuna significativa alterazione fisiologica in
atto, egli aveva deciso di lasciare l’ospedale e ritornare alle proprie occupazioni, avendo
rifiutato di sottoporsi ad ulteriori accertamenti. La visita presso detto ospedale si era svolta
tra le ore 10,40 e le ore 10,50. Circa un’ora dopo, intorno alle 11,55, il Ferro si era sentito
ancora male e, allertato il “118”, era ritornato in ospedale ove era deceduto alle ore 12,40, 1- 4
dopo vane manovre rianimatorie.

-3- Impugnata tale decisione dal Liotti, la Corte d’Appello di Napoli, disposta la
rinnovazione dell’istruttoria per sottoporre ad ulteriori esami i testi Aruta e Iodice, con
sentenza del 12 giugno 2012, ha assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato.
Il giudice del gravame, richiamando anche quanto emerso in esito all’esperito supplemento
istruttorio, ha sostenuto che gli accertamenti clinici, necessari a verificare la reale origine del
dolore toracico accusato dal Ferro, non erano stati eseguiti a causa della decisione di
quest’ultimo di non sottoporvisi, per cui nessun addebito poteva muoversi all’operato del
medico, che aveva consigliato il paziente di fermarsi in ospedale, in osservazione, e che
aveva apertamente dissentito da tale decisione, come visivamente attestato dalla doppia
sottolineatura presente sul referto medico, ove risultava annotato il rifiuto, da parte del
Ferro, sia della terapia farmacologica sia dell’ulteriore osservazione.
-4- Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione il Procuratore Generale
della Repubblica presso la Corte d’Appello di Napoli e le parti civili Brasiello Carmela,
Ferro Claudia e Ferro Emilia.
4.A) Il PG, con unico motivo, denuncia l’insufficienza della motivazione e la mancata
valutazione di prove decisive esistenti in atti ed espressamente richiamate nella sentenza di
primo grado. Il riferimento è al referto di pronto soccorso stilato dall’imputato al momento
delle dimissioni del Ferro ed alle annotazioni riportate in detto documento in ordine alla
diagnosi (“toracoalgia”) ed a quanto era stato consigliato al paziente (recarsi dal medico
curante). Sul punto, si era a lungo soffermato il primo giudice che aveva evidenziato come
tali elementi consentissero di ricostruire la responsabilità dell’imputato, in quanto indicativi
di un’inadeguata informazione al paziente, circa la presenza di possibili patologie cardiache,
e di un’errata percezione, da parte dello stesso, del rischio che correva sottraendosi agli
approfondimenti diagnostici. E’ probabile, sostiene il ricorrente, che la corte territoriale
abbia superato la questione richiamando le dichiarazioni rese, in sede di rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale, dai testi escussi circa le raccomandazioni fatte al Ferro dal suo
accompagnatore di fermarsi in ospedale e le spiegazioni fornite dall’imputato in ordine
all’impossibilità di articolare una diagnosi senza ulteriori approfondimenti diagnostici. E
tuttavia, si soggiunge nel ricorso, la corte territoriale, non solo non ha argomentato in alcun
modo in ordine all’attendibilità dei testi, né ha proceduto alla comparazione delle loro
dichiarazioni con quelle rese in precedenza, ma non si è in alcun modo espressa circa

4

A tale proposito, il giudicante ha affermato che il rifiuto non aveva alcuna efficacia
scriminante, posto che la decisione del paziente doveva ritenersi niente più che una
manifestazione di adesione dello stesso all’indicazione proveniente dal medico, essendo essa
intervenuta dopo le rassicurazioni circa le sue condizioni di salute. Rassicurazioni che, però,
erano il frutto di non corrette informazioni fornite dal sanitario, posto che la molteplicità
degli elementi sintomatici rilevati sul Ferro, e cioè, la presenza di un dolore al petto,
puntoreo prolungato nel tempo, e di sudorazione algida, nonché gli esiti di un ECG valutato
dalla strumentazione “anormale” e comunque ai limiti dell’alterazione, avrebbero dovuto
indurre il sanitario a sospettare la possibilità di un coinvolgimento dell’apparato cardiocircolatorio e a completare tutto il ciclo di indagini prima di stilare una diagnosi di
“toracoalgia”, trattenendo il paziente ed evitando di orientarlo erroneamente.
In definitiva, sarebbe bastato, a giudizio del tribunale, che il medico non avesse fornito le
rassicurazioni richieste dal Ferro sul suo stato di salute, che escludevano a priori la sindrome
coronarica in atto, per paura della quale egli si era recato in ospedale.
In punto di nesso causale, il primo giudice, richiamando la sentenza delle SU di questa
Corte, n. 30328/2002, ne ha rilevato la sussistenza, avendo ritenuto che la permanenza in
reparto ospedaliero avrebbe scongiurato il decesso.
Di qui l’affermazione di responsabilità dell’imputato.

Considerato in diritto.
I ricorsi sono infondati, inesistenti essendo i dedotti vizi di motivazione.
-1- In tema di vizio motivazionale questa Corte ha costantemente affermato che il vizio
della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, valutabile in sede di legittimità,
sussiste allorché il provvedimento giurisdizionale manchi del tutto della parte motiva, ovvero
la medesima, pur esistendo graficamente, sia tale da non evidenziare 1′ iter argomentativo
seguito dal giudice per pervenire alla decisone adottata. E’ stato, altresì, affermato che il
vizio è presente anche nell’ipotesi in cui dal testo della motivazione emergano illogicità o
contraddizioni di tale evidenza da rivelare una totale estraneità tra le argomentazioni adottate
e la soluzione decisionale prescelta.
L’indagine di legittimità sulla motivazione affidata a questa Corte è quindi volta solo ad
accertare se gli elementi probatori utilizzati dal giudice del merito siano stati compiutamente
valutati secondo le regole della logica, attraverso un iter argomentativo congruo ed adeguato,
idoneo a giustificare la decisione adottata; rimanendo estraneo ai poteri del giudice di
legittimità un intervento volto ad offrire una diversa interpretazione delle prove o una
revisione dell’analisi ricostruttiva dei fatti.
-2- Orbene, nel caso di specie i ricorrenti non prospettano vizi afferenti alla carenza di
elementi di giudizio o ad un iter argomentativo carente sul piano logico; essi propongono, in
realtà, una serie di doglianze, che essenzialmente attengono a profili di merito, non

s-

l’adeguatezza dell’informazione fornita al paziente in ordine ai rischi ai quali si esponeva
allontanandosi dall’ospedale.
4.B) Le parti civili deducono;
à) Vizio di motivazione della sentenza impugnata: inconferenza della motivazione resa
dalla corte territoriale rispetto a quella articolata nella sentenza di primo grado. Sostengono
le PC ricorrenti che, se è vero che il giudice d’appello può pervenire ad una ricostruzione dei
fatti diversa rispetto a quella effettuata dal primo giudice, è anche vero che egli ha l’onere di
tener conto delle valutazioni svolte da quest’ultimo e di indicare le ragioni per le quali ha
inteso discostarsene. A tale obbligo, la corte territoriale si sarebbe sottratta, avendo omesso
di considerare e di confutare le argomentazioni poste dal primo giudice a sostegno della
decisione di condanna dell’imputato, essendosi limitata a ricordare le dichiarazioni rese dai
testi Iodice e Aruta in sede di parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, senza
indicare se, ed in che termini, esse si discostavano da quelle rese al tribunale e senza chiarire
i motivi di dissenso rispetto a quanto da questo sostenuto;
b) Omessa motivazione in ordine alle argomentazioni difensive esposte dalle PC con
memoria depositata in sede di gravame, allegata al ricorso, laddove era stata evidenziata la
necessità di un immediato dosaggio dei marcatori, posto che il dolore al petto e la
sudorazione si presentavano quali sintomi di una possibile sofferenza coronarica, specie in
vista dei risultati non normali dell’ECG;
c) Ancora vizio di motivazione, rispetto alle risultanze probatorie in punto di ritenuta
assenza di sudorazione nel paziente e di valutazione della condotta dell’imputato;
d) Vizio di motivazione in punto di consenso informato. Si sostiene nel ricorso che il
giudice del gravame non avrebbe svolto alcuna indagine circa la presenza di una compiuta
ed esauriente informazione al paziente da parte del sanitario; non si sarebbe chiesto, cioè, lo
stesso giudice, quali informazioni il Ferro avrebbe ricevuto circa la possibilità di una
sindrome coronarica, sugli sviluppi della terapia farmacologica prescritta, sulla prescrizione
di recarsi dal medico di famiglia.
Concludono i ricorrenti, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

-3- A fronte di tali coerenti argomentazioni, il PG ricorrente lamenta una inadeguata
valutazione, da parte del giudice del gravame, di elementi probatori acquisiti in atti ed
oggetto di esame da parte del tribunale. Non sarebbe stato valutato, in particolare, il referto
medico del Pronto Soccorso, stilato dall’imputato al momento della volontaria dimissione
del Ferro, sul quale era stata segnalata una “toracoalgia” ed era stato prescritto al paziente
l’assunzione di un antinfiammatorio e di recarsi dal medico curante. Tali indicazioni, si
sostiene nel ricorso, sarebbero indicative della inadeguata informazione fornita dal sanitario
in ordine alle possibili patologie cardiache da cui avrebbe potuto essere affetto il Ferro, che
avrebbe determinato una inesatta percezione dello stesso -dovuta, appunto, all’errata

proponibili nella sede di legittimità, con le quali viene in sostanza chiesto a questa Corte di
accogliere una diversa interpretazione degli elementi probatori acquisiti, fino a porsi in
sovrapposizione argomentativa rispetto alle considerazioni e valutazioni poste dal giudice del
gravame a sostegno della contestata decisione.
In realtà, la corte territoriale ha compiutamente ed attentamente esaminato, sia pure
giungendo a conclusioni diverse da quelle rese dal primo giudice, le emergenze probatorie in
atti ed ha ritenuto, attraverso un tragitto argomentativo privo di incoerenze di natura logica,
che la condotta del Liotti -una volta accertato che gli esami ai quali il paziente era stato
sottoposto erano nei limiti della norma e che allo stesso era stata prospettata l’opportunità di
sottoporsi ad ulteriori controlli- non evidenziava i profili di colpa rilevati dal primo giudice,
neanche con riferimento ai punti concernenti le informazioni fornite al paziente e la
decisione dello stesso di non accogliere il consiglio del medico di fermarsi qualche ora in
ospedale in osservazione.
In particolare, la medesima corte ha rilevato come, davanti ai sintomi denunciati dal Ferro,
l’imputato, secondo quanto dallo stesso riferito, pur davanti ai risultati delle analisi già
eseguite, ritenuti entro i limini della norma, avesse consigliato il paziente di fermarsi in
ospedale per eseguire ulteriori e più approfonditi accertamenti, e come lo stesso avesse
rifiutato, adducendo anche esigenze di lavoro, ed avesse lasciato l’ospedale dopo avere
firmato la “liberatoria”.
Affermazioni, ha soggiunto la corte d’appello, richiamando anche quanto emerso in esito al
disposto supplemento istruttorio, confermate dal teste dott. Aruta, collega del Liotti, il quale,
secondo quanto sostenuto nella sentenza impugnata, ha, non solo ribadito di essere stato
interpellato dal Liotti per un parere sul caso e di avergli consigliato di invitare il paziente a
sottoporsi ad un periodo di osservazione, ma anche che l’imputato aveva accolto tale
suggerimento ed aveva invitato il paziente a fermarsi in ospedale per alcune ore per
procedere agli approfondimenti clinici che il caso richiedeva. Suggerimento, però, non
raccolto dal Ferro, allontanatosi dall’ospedale dopo avere firmato la “liberatoria”, malgrado
le esortazioni dello stesso amico che l’aveva accompagnato (Iodice Raffaele) a seguire i
consigli del medico. Dichiarazioni che poco o nulla si discostano dalla testimonianza resa
dall’Aruta nel corso del dibattimento di primo grado, come riportate nella relativa sentenza.
Lo stesso Iodice, del resto, ha confermato, secondo quanto emerge dalla sentenza di primo
grado, che il sanitario aveva effettivamente prospettato al paziente l’opportunità di eseguire
ulteriori esami clinici.
Nulla di più avrebbe potuto, quindi, pretendersi dal medico, che aveva correttamente
consigliato al paziente di fermarsi in ospedale in osservazione, che aveva dissentito dalla
decisione dello stesso di non sottoporvisi -come visivamente evidenziato, secondo il giudice
del gravame, dalla doppia sottolineatura presente sul referto medico, ove risultava annotato
il rifiuto, sia della terapia farmacologica sia dell’ulteriore osservazione- e che non poteva
certo trattenere il paziente contro la volontà dello stesso, né imporgli l’assunzione di
farmaci.

informazione- del rischio che correva sottraendosi agli approfondimenti diagnostici
consigliati.
Orbene, osserva la Corte, anzitutto, che i giudici del gravame non hanno certo trascurato di
esaminare e valutare il contenuto del referto in questione. Al contrario, essi lo hanno
attentamente esaminato ed hanno segnalato che la registrazione e la doppia sottolineatura del
rifiuto opposto dal paziente all’approfondimento diagnostico ed alla terapia consigliati,
confermavano la versione dei fatti fornita dall’imputato e dallo stesso teste, dott. Aruta.
Non la mancata valutazione del referto, quindi, può imputarsi alla corte territoriale, bensì le
valutazioni che la stessa ha tratto dall’esame del documento, come del resto lascia intendere
lo stesso ricorrente con i suoi riferimenti alla “toracoalgia” ed alla indicazione al paziente di
recarsi dal medico di famiglia.
Or dunque, rilevato che tali considerazioni non rappresentano la denuncia di un’assenza,
nella motivazione o di elementi di giudizio ovvero di una presenza nella stessa di incoerenze
logiche, bensì solo la prospettazione al giudice di legittimità di una inammissibile diversa
valutazione degli elementi probatori utilizzati dai giudici del gravame, osserva la Corte che
tali prospettazioni si presentano, esse si, scarsamente coerenti sul piano logico, ove si
consideri:
A) Che l’indicazione della diagnosi, rivelatasi errata alla luce del successivo evolversi
della vicenda, oltre che essere giustificata dall’esito negativo dei controlli immediatamente
eseguiti, era comunque provvisoria, tanto che il Liotti aveva ritenuto necessario -in tal senso
anche consigliato dal collega Aruta- verificarne l’esattezza attraverso l’esecuzione di
ulteriori accertamenti diagnostici, rifiutati dal Ferro. Davanti al rifiuto ed alla decisione del
paziente di allontanarsi dall’ospedale, il Liotti altro non ha potuto fare che registrare sul
referto l’unica diagnosi accertata, cioè la “toracoalgia”. Mentre la prescrizione di un
semplice farmaco ad azione antinfiammatoria si presenta del tutto coerente, se rapportata
all’unica diagnosi che al momento poteva essere formulata.
Non si può, cioè, trarre da quella registrazione diagnostica la prova di una scorretta o
inadeguata informazione al paziente, posto che in detto documento certo non potevano che
essere riportati i dati diagnostici sicuramente accertati e le conseguenti terapie che al
momento si ritenevano opportune, non anche i teorici e possibili sviluppi diagnostici, tutti da
accertare. Sul punto, d’altra parte, ha riferito il teste Aruta il quale, come sopra ricordato, ha
interamente confermato le dichiarazioni dell’imputato.
Deve, peraltro, aggiungersi che, se è vero che non risulta agli atti che l’imputato abbia
segnalato il rischio di una crisi coronarica, è anche vero che l’invito a fermarsi in ospedale
per ulteriori accertamenti, dopo l’esito di un elettrocardiogramma ai limiti della norma, non
poteva che implicare l’esigenza di approfondire il quadro clinico proprio sotto il profilo
cardiologico. E non è pensabile che il medico, ove anche non avesse apertamente indicato il
rischio di una crisi coronarica -comunque non prevedibile nell’intensità con la quale si è poi
manifestata- non abbia almeno spiegato che gli accertamenti da eseguire erano proprio
diretti ad escludere ipotizzabili patologie di natura cardiaca.
B) Che il consiglio dell’imputato al Ferro di recarsi dal medico curante non attesta il
disimpegno del sanitario rispetto alle esigenze di cura del paziente né la conferma di
un’errata informazione allo stesso fornita. Al contrario, tale indicazione ben può spiegarsi
con la consapevolezza del sanitario che il paziente andava seguito, per cui, avendo lo stesso
rifiutato l’osservazione ospedaliera, ha ritenuto di consigliargli di farsi seguire almeno dal
suo medico di famiglia.
E dunque, per concludere sui punti posti dal PG ricorrente all’esame di questa Corte, si
deve concludere che le censure proposte, pur a tacere dei profili di inammissibilità che li
caratterizzano, sono in ogni caso infondate, avendo la corte territoriale espresso i propri
giudizi in piena sintonia con gli elementi probatori acquisiti, con motivazione che non
presenta vizi di sorta.

-4- Analoghe conclusioni valgono quanto al ricorso proposto dalle parti civili, che pure
hanno diffusamente svolto osservazioni critiche alla motivazione della sentenza impugnata.
Occorre, anzitutto, in proposito rilevare che parte delle questioni sottoposte all’esame della
Corte sono ormai estranee al tema centrale della causa.
In realtà, lo stesso giudice di primo grado, preso atto del fatto che, dopo essersi consultato
con il collega, il Liotti aveva realmente suggerito al Ferro di fermarsi in ospedale in
osservazione, ha ritenuto di delimitare l’oggetto dell’indagine e di concentrarlo sul tipo di
informazioni fornite al paziente dal sanitario, essendo infine giunto alla conclusione secondo
cui la decisione del Ferro era stata erroneamente orientata dall’imputato, che non aveva
adeguatamente informato il paziente dei rischi che correva rifiutando di sottoporsi ad
ulteriori esami clinici. Ne consegue, che i riferimenti delle PC ricorrenti ai sintomi che
quello presentava (dolore puntoreo, sudorazione algida) e ad un presunto errore diagnostico
commesso dall’imputato si presentano ormai superati e privi di rilievo rispetto all’indagine,
come ormai definitivamente delineata dal giudice di primo grado, diretta a valutare la bontà
e congruenza delle informazioni fornite dal sanitario al paziente. D’altra parte, proprio la
presenza di quei sintomi ed il risultato dell’ECG ai limiti, aveva indotto il medico a
consigliare al Ferro, dopo essersi consultato con il collega, di fermarsi in ospedale per
ulteriori approfondimenti diagnostici.
Tanto chiarito, osserva ancora la Corte che le censure dedotte in proposito nel ricorso,
concernenti asseriti vizi motivazionali, si presentano infondate sotto tutti i profili articolati,
in gran parte ripetitivi delle censure svolte dal PG territoriale, in ordine ai quali si rimanda a
quanto già osservato, e per il resto unitariamente esaminabili..
Non sembra, anzitutto, alla Corte che il giudice del gravame non abbia sottoposto a critica
la decisione del tribunale, come erroneamente sostengono le PC ricorrenti. In realtà, lo
stesso giudice ha elaborato una propria visione della vicenda in esame ed ha indicato, con
coerenza argomentativa, come già sopra rilevato, le ragioni per le quali ha ritenuto di non
condividere la decisione del primo giudice.
Nell’argomentare della corte territoriale, in realtà, si coglie ampiamente la complessiva
critica rivolta alla decisione appellata, peraltro, come già osservato, solo incentrata sulla
valutazione del tipo di informazione fornita al paziente dall’imputato. Valutazione per la
quale non era certamente necessario richiamare i pareri dei vari consulenti intervenuti, né le
diverse testimonianze acquisite, bensì essenzialmente solo interpretare il senso della
“liberatoria” sottoscritta dal Ferro prima di lasciare l’ospedale e la testimonianza resa dal
dott. Aruta, principale teste di riferimento sul punto, avendo egli direttamente seguito
l’intera vicenda per esserne stato informato dal Liotti.
Interpretazione che -nel rispetto dei principi di diritto affermati da questa Corte in punto di
motivazione della sentenza di gravame che riformi la sentenza di primo grado- la corte
territoriale ha operato, dopo attento esame degli atti, in termini di assoluta coerenza logica,
come si è già avuto modo di segnalare.
L’indagine, peraltro, non si presentava per nulla complessa e gli elementi di prova
utilizzati non richiedevano all’interprete particolari sforzi interpretativi, chiaro essendo il
tema centrale della causa, incentrato sull’unico profilo di colpa rilevato dal primo giudice.
Legittimamente e motivatamente ritenuto dalla stessa corte insussistente, alla stregua degli
elementi probatori acquisiti che hanno consentito di accertare, secondo il coerente
argomentare della medesima corte, che l’informazione fornita al Ferro era stata corretta e
che il paziente, malgrado le indicazioni del medico, aveva autonomamente deciso di non
seguirne i consigli.
Conclusione che definitivamente rende infondata qualsiasi censura che concerna il tema
del “consenso informato”, in relazione al quale, peraltro, le PC ricorrenti svolgono
considerazioni prive di rilievo (quelle concernenti la prescrizione di un antidolorifico e la

prescrizione di recarsi dal medico di famiglia), ovvero in fatto, non deducibili nella sede di
legittimità.
-4- In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati e le parti civili ricorrenti devono essere
condannate al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Così deciso in Roma, l’ 8 ottobre 2013.

Rigetta i ricorsi del PG e delle parti civili. Condanna le parti civili ricorrenti al pagamento
delle spese processuali.

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