Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49467 del 10/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 49467 Anno 2015
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: GIORDANO EMILIA ANNA

SENTENZA
Sui ricorsi proposto da.
Albanese Davide, n. a Verona il 15 settembre 1966
Vitali Giordano Pietro, n. a Bellano, il 29 aprile 1972
avverso la sentenza del 24.2.2015 della Corte di Appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ssa Emilia Anna Giordano;
udita la richiesta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale,
Giovanni Di Leo, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso;
udito il difensore dei ricorrenti, avv. Emilio Marco Casali, che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso.
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 24 febbraio 2015 la Corte di Appello di Milano ha confermato la
sentenza del Tribunale di Pavia che il 17 maggio 2011 aveva condannato Albanese Davide e
Vitali Giordano Bruno alla pena di mesi quattro di reclusione ciascuno, riconosciute ad entrambi
le circostanze attenuanti generiche. L’Albanese e il Vitali sono stati riconosciuti responsabili del
reato di resistenza a pubblico ufficiale commesso in Binasco il 18 aprile 2009 sulla base delle
dichiarazioni rese dai verbalizzanti che hanno riferito le frasi minatorie ed i comportamenti
tenuti dai due imputati in occasione di un controllo di Polizia, finalizzato ad accertare il tasso
alcolemico dell’Albanese, che si trovava alla guida dell’autovettura e che mostrava segni tipici
dello stato di ebbrezza. Dalla sentenza impugnata risulta, in particolare, che, mentre uno degli
operatori era collegato alla sala radio per gli opportuni accertamenti poiché l’Albanese aveva
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Data Udienza: 10/11/2015

rifiutato di sottoporsi all’accertamento con l’etilometro in dotazione della Polizia 2sostenendo
che avrebbe accettato solo una verifica condotta presso l’Ospedale di cui era dipendente,
l’Albanese asseriva di essere stato picchiato e invitava il Vitali a chiamare un’ambulanza e poi,
distesosi nella propria autovettura, estraeva dal quadro di accensione le chiavi e iniziava a
colpirsi aggiungendo, al poliziotto che tentava di fermarlo, “adesso vi faccio vedere io”. Nel
prosieguo i due imputati inveivano contro i verbalizzanti proferendo le minacce verbali
descritte nel capo di imputazione ( adesso vi faccio vedere io; la storia non finisce qui, adesso
siete nei guai, ve ne pentirete amaramente , cominciate a chiamare 11 vostro avvocato).

l’Albanese veniva denunciato anche per il reato (poi depenalizzato) di cui all’art. 186, comma
2, lett. a), cod. strada.
2. Con i motivi di ricorso, comuni ad entrambi gli imputati, di seguito enunciati ai sensi
dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la
motivazione, il difensore deduce:
2a. Vizio di violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., per
inosservanza degli artt. 516 e 522 cod. proc. pen. poiché gli imputati sono stati condannati per
il reato di resistenza commesso anche mediante le lesioni che il dott. Albanese si sarebbe
autoinflitto con le chiavi della propria autovettura e, dunque, per un fatto diverso da quello per
il quale erano stati tratti a giudizio, ossia le minacce verbali descritte nel capo di imputazione,
in assenza di modifica del capo di imputazione e delle correlative contestazioni prescritte
dall’art. 516, comma 1, cod. proc. pen.;
2b. Mancanza di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e
conseguente erronea condanna dei ricorrenti, avendo la Corte di appello omesso qualsiasi
motivazione sulle argomentazioni difensive relative a) alla mancanza di contestualità fra le
frasi minatorie pronunciate dagli imputati ed il compimento dell’atto di ufficio poiché, secondo
le dichiarazioni dei verbalizzanti – cfr. pagg. 7 e 8 del verbale stenotipico dell’udienza del 22
marzo 2012, dichiarazioni Broggini; pagg. 10, 13 e 15, stessa udienza, dichiarazioni Paci – il
verbale di contestazione del reato di cui all’art. 186, comma 7, cod. Strada era stato redatto
prima che gli imputati iniziassero ad inveire contro gli operatori, dato, questo che si evince
anche dall’orario di redazione – 0:30 – del verbale e da quello dei verbali di identificazione ed
elezione di domicilio, che riportano le ore 0:45; b) alla idoneità eziologica, da valutare in
concreto, della condotta minatoria tenuta dagli imputati ad ostacolare il compimento delle
attività degli operanti, per come desumibile dalle stesse dichiarazioni del verbalizzante;
2c. Mancanza della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e/o e), cod. proc. pen. sul
punto della richiesta di riconoscimento della sospensione condizionale della pena e non
menzione della condanna nel certificato spedito a richiesta dei privati, benefici richiesti al
punto 4. dell’atto di appello del 27 giugno 2012.

Considerato in diritto

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2))

Risulta, infine, che all’esito del controllo ematico eseguito presso l’Ospedale Humanitas,

L Il ricorso è fondato e deve trovare accoglimento limitatamente al motivo di cui al punto

2c.Sono, invece, infondate le censure sintetizzate ai punti 2a. e 2b.
2. Con riguardo alla dedotta nullità della sentenza ex art. 521 cod. proc. pen., per
violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza si intende, come noto, per fatto
diverso, non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando il fatto invariato, ma
anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione
originaria, rendendo necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi

violato non da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui
la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato: la nozione
strutturale di fatto va coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo
le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra
accusa contestata ( oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (
oggetto del potere del giudice), risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato
per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto
difendersi

I

(Sez. 1, Sentenza n. 35574 del 18/6/2013, Crescioli, Rv 257015). Ne

consegue che l’immutazione del fatto di rilievo ai fini della eventuale applicabilità della norma
dell’art. 521 cod. proc. pen., è solo quella che modifica radicalmente la struttura della
contestazione, in quanto sostituisce il fatto tipico, il nesso di causalità e l’elemento psicologico
del reato, e, per conseguenza di essa, l’azione realizzata risulta completamente diversa da
quella contestata, al punto da essere incompatibile con le difese apprestate dall’imputato per
discolparsene. Non può parlarsi di immutazione del fatto, anche sotto il profilo della diversità,
quando il fatto tipico rimane identico a quello contestato nei suoi elementi essenziali e
cambiano solo, in taluni dettagli, le modalità di realizzazione della condotta.
3. Così precisata la nozione di fatto diverso, ritiene il Collegio infondata la censura
difensiva alla luce della ricostruzione compiuta dalla Corte di merito che ha avuto cura di
precisare che il comportamento autolesionistico del Vitale era stato preparatorio e prodromico
alla pronuncia delle frasi minatorie esplicitate nel capo di imputazione essendo diretto a creare
le condizioni per far ricadere sull’agente la responsabilità delle lesioni e funzionale a conferire
spessore reale ed effettività alle minacce pronunciate dall’Albanese e dal Vitali. Non si è,
dunque, in presenza di un atto fine a se stesso/ ma di un comportamento strumentale che ha
integrato la modalità di esecuzione del reato di resistenza, come contestato, e rispetto al quale
sono rimasti immutati i tratti essenziali, condotta, evento ed elemento psicologico, sui quali si
era esercitato il diritto di difesa degli imputati.
4. Sono parimenti infondate le censure dei ricorrenti con riguardo alla ricostruzione della
condotta di reato, tenuto conto che, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del
giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale
della decisione, di cui saggia l’oggettiva “tenuta”, sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi

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essenziali del reato. Si è puntualizzato che l’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza è

l’accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione
e valutazione dei fatti ( fra le altre v. Sez. 6, sentenza n. 23528 del 6/6/2006, Bonifazi, Rv
234155). A fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione
delle sequenze motivazionali dell’impugnata decisione, infatti, i motivi di ricorso non sono volti
a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu ()cui/ percepibili, bensì ad ottenere un non
consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che

d’accusa facendosi carico di esaminare puntualmente i rilievi difensivi, oggi nuovamente
rimessi alla verifica della Corte di legittimità. La Corte territoriale, ha evidenziato richiamando le dichiarazioni rese dal verbalizzante sul momento nel quale erano state
pronunciate le frasi minatorie rispetto alla dinamica del controllo di polizia e alla conseguente
redazione degli atti – che i nel momento in cui venivano pronunciate le frasi minatorie nei
confronti degli agent>il verbale di rifiuto di sottoporsi all’alcoltest non era stato ancora redatto
e che uno degli operatori stava svolgendo accertamenti in collegamento con la sala radio al
fine di redigere il relativo verbale,non completato perché gli agenti avevano dovuto fare fronte
al comportamento, non collaborativo ed agitato, dei due fermati. Tali chiarimenti hanno risolto
le solo apparenti contraddizioni relative alla ricostruzione del controllo di polizia e della
redazione dei relativi atti, operazione che, attraverso le descritte minacce, venne ostacolata e
intralciata e che culminò nel verbale di contestazione della violazione di cui all’art. 186, comma
2, lett. a), cod. strada, redatto alle ore 03:45 presso l’Ospedale Humanitas ove l’Albanese
veniva accompagnato dopo essere stato fermato alle ore 0:30 presso la barriera autostradale
di Binasco, violazione per la quale è intervenuta sentenza di assoluzione dell’Albanese a
seguito di depenalizzazione della relativa condotta.
5. Con riguardo alla dedotta inidoneità delle minacce proferite ad integrare la condotta di
resistenza, la Corte di merito ha evidenziato che la condotta tenuta dagli imputati aveva
creato intralcio e ostacolo alle attività dei verbalizzanti rilevando, in conformità al costante
orientamento della giurisprudenza di legittimità, che la minaccia o la violenza possono
consistere in qualunque mezzo di coazione fisica o psichica idoneo e univocamente diretto a
raggiungere lo scopo di impedire, turbare o ostacolare l’atto di ufficio o di servizio intrapreso
da chi ne aveva facoltà. A tanto deve aggiungersi che l’integrazione del reato di resistenza a
pubblico ufficiale non richiede certo che sia impedita, in concreto, la libertà di azione dello
stesso, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto
di ufficio o di servizio, indipendentemente dall’esito positivo o negativo di tale azione e
dall’effettivo verificarsi di un impedimento che ostacoli il compimento degli atti predetti (Sez.
6, n. 3970 del 13/01/2010, Oliva, Rv. 245855). E’, pertanto irrilevante ai fini della integrazione
della condotta di reato che l’Albanese, accompagnato presso l’Ospedale Humanitas si sia infine
s’ottoposto al prelievo ematico, eseguito, per come evincibile dall’atto richiamato dalla difesa,
alle ore 03:45.
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ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema

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6.Come anticipato, deve trovare accoglimento il motivo di ricorso sub 3. poiché
effettivamente la sentenza impugnata non reca traccia né del motivo di appello relativo alle
richieste, formulate in termini non generici e meramente assertivi, di concessione dei benefici
della sospensione condizionale della pena e della non menzione ( richieste illustrate a pag. 24
dei motivi di appello) né delle ragioni per le quali gli imputati siano stati ritenuti immeritevoli
della concessione dei benefici richiesti. Il silenzio della decisione sul tema vizia parzialmente
l’atto decisorio sebbene l’omissione (con connesso diniego del beneficio) investa un ambito
della decisione, quello del trattamento punitivo, rimesso all’esclusivo apprezzamento

autonomia e facoltatività, avulsi da predeterminati automatismi applicativi. Nondimeno i giudici
di secondo grado, a fronte di una esplicita richiesta di verifica sollecitata dagli appellanti
sull’applicabilità della sospensione condizionale e della non menzione, richiesta idonea a
focalizzare – per la loro specificità – un “punto” della decisione di primo grado attinto da
impugnazione e meritevole di una puntuale seppur sintetica risposta, avevano obbligo di
pronunciarsi, tanto più quando si osservi che la misura della pena inflitta ai ricorrenti (ai quali
sono state riconosciute le circostanze attenuanti generiche e che risultavano incensurati)
ricadeva entro il limite della sanzione detentiva per la concessione dei benefici previsti dagli
artt. 163 e 175 cod. pen.. Dagli enunciati rilievi consegue che gli atti vanno rimessi, previo
annullamento in parte qua della sentenza impugnata, ai giudici di appello affinché valutino, con
giudizio anche di fatto non surrogabile in questa sede, la concedibilità o meno ad entrambi gli
imputati della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel
certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati.
7. Trattandosi di annullamento parziale della sentenza afferente a statuizioni diverse da
quelle sottese al già avvenuto accertamento del reato e della responsabilità dei ricorrenti, la
decisione sulla condanna diviene irrevocabile con la presente sentenza di legittimità con effetti
preclusivi per il giudice del rinvio della declaratoria di eventuali sopravvenienti cause estintive
del reato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena e
non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta dei
privati per entrambi i ricorrenti e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Milano per
nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto ricorso,
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2015
Il Consigliere estensore

Il rsidente

discrezionale del giudice di merito in rapporto a istituti scanditi da massima latitudine di

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