Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4942 del 11/12/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 4942 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Disabato Simone, nato a Verbania il 19/8/1990

avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Torino in data
20/11/2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Umberto De Augustinis, che ha chiesto dichiararsi
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale e rigettarsi,
nel resto, il ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20/11/2013, la Corte di appello di Torino confermava
la pronuncia emessa il 18/3/2013 dal Giudice per l’udienza preliminare presso il
Tribunale di Verbania, con la quale Simone Disabato era stato condannato alla
pena di due mesi, venti giorni di reclusione e 600,00 euro di multa in ordine al

Data Udienza: 11/12/2014

delitto di cui all’art. 6-bis, I. 13 dicembre 1989, n. 401; allo stesso, infatti, era
contestato di aver lanciato un petardo nel parterre circostante l’area di gioco,
durante la partita di calcio del campionato “eccellenza” tra A.s.d. Verbania e
Settimo. All’imputato era anche fatto divieto di accedere ai luoghi di svolgimento
delle partite giocate dal Verbania, in casa e trasferta, con obbligo di presentarsi
– nell’orario di svolgimento degli incontri – presso la Questura per due anni.
2. Propone ricorso per cassazione il Disabato, a mezzo del proprio
difensore, deducendo un unico, articolato motivo:

illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 7, I. n. 401 del 1989. La Corte di
appello avrebbe ritenuto le prescrizioni di cui alla norma (divieto di accesso ed
obbligo di presentazione) quali misura di prevenzione atipica, la cui adozione
sarebbe obbligatoria e non richiederebbe motivazione, tanto da poter esser
disposta anche nel caso di sospensione condizionale della pena, come accaduto
al Disabato; in tal modo, però, la norma si porrebbe in contrasto con la
previsione del successivo art. 8, I. n. 401 del 1989, che, per i casi di arresto in
flagranza per i medesimi reati, consente al Giudice di valutare l’opportunità della
misura in oggetto a fronte della riconosciuta sospensione condizionale della
pena. Ne deriverebbe una disparità di trattamento evidente, atteso che l’obbligo
o meno di adottare queste misure seguirebbe ad una mera scelta processuale; a
meno di considerare che le stesse siano sempre facoltative, con obbligo del
Giudice di valutazione e motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato
Occorre premettere che l’art. 6, comma 7, I. n. 401 del 1989 – come
sostituito, nel suo primo periodo, dal d.l. 17 agosto 2005, n. 162, convertito con
modificazioni nella I. 17 ottobre 2005, n. 210 – recita: “Con la sentenza di
condanna per i reati di cui al comma 6 e per quelli commessi in occasione o a
causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in
cui si svolgono dette manifestazioni il Giudice dispone il divieto di accesso nei
luoghi di cui al comma 1 e l’obbligo di presentarsi in un ufficio o comando di
polizia durante lo svolgimento di manifestazioni sportive specificamente indicate
per un periodo da due ad otto anni “; ciò, a fronte di una formulazione originaria
che, invece, lasciava al Giudice la facoltà di applicazione delle misure (“può
disporre”) e prevedeva un divieto assai più limitato nel tempo. La seconda parte
del medesimo comma, inoltre, stabilisce l’immediata esecutività del capo della
sentenza non definitiva che dispone il divieto, affermando che questo e l’obbligo

2

– violazione di legge, contraddittorietà della motivazione o, in subordine,

predetti “non sono esclusi nei casi di sospensione condizionale della pena e di
applicazione della pena su richiesta”. L’ambito di applicabilità del DASPO
giudiziario è, pertanto più ampio rispetto a quella del DASPO emesso dal
Questore, e ciò deriva dal fatto che l’applicazione di tale misura ad opera del
Giudice penale presuppone, per l’appunto, un accertamento giurisdizionale della
responsabilità penale dell’imputato.
Peraltro, come già affermato da questa Corte (Sez 3, n. 17712 del
10/10/2012, Miozzi, Rv. 255586), i poteri dell’autorità giudiziaria e del Questore

prima della riforma introdotta dal citato d.l. n. 162 del 2005, «ma naturalmente
gli stessi concorrono, in quanto l’art. 6, comma 1, attribuisce al Questore
l’imposizione delle medesime tipologie di misure, seppure con l’indicazione di una
diversa durata, nei confronti dei tifosi che abbiano preso parte attiva ad episodi
di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive (e
l’obbligo di presentazione alla P.S., incidendo sulla libertà personale, deve essere
convalidato dall’autorità giudiziaria con l’apposito procedimento regolato dalla
medesima disposizione di legge), misure che, del pari, vengono applicate dal
Giudice penale a seguito di condanna (o sentenza di applicazione della pena
concordata) per i reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni
sportive o durante i trasferimenti da o verso luoghi in cui si svolgono dette
manifestazioni, con la possibilità di una durata più estesa dell’obbligo e del
divieto imposto».
Prima della modifica alla disciplina operata con il menzionato intervento
normativo, essendo l’applicazione della misura rimessa all’apprezzamento del
Giudice, risultava necessaria una seppur sintetica motivazione in ordine
all’esercizio di tale potere (e così Sez. 6, n. 433 del 20/9/2002, dep. 9/1/2003,
Melillo e altro, Rv. 223593); a seguito dell’ultima novella, per contro,
l’applicazione del DASPO giudiziario è divenuta obbligatoria e stringente, per cui
la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto del tutto superata la problematica
sulla natura del provvedimento medesimo, ribadendone il carattere di misura
atipica ed affermando che «il divieto di accesso ai luoghi di svolgimento di
competizioni agonistiche e l’obbligo di presentazione, in loro concomitanza, ad
un ufficio o comando di polizia, devono essere obbligatoriamente irrogate dal
Giudice, tanto nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti, quanto
nel caso di riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della
pena» (così, Sez. 3, n. 32553 del 15/6/2010, dep. 1/9/2010, Giacomelli, Rv.
248325).
In altri termini, è stata affermata l’obbligatorietà ope legis dell’applicazione
del DASPO giudiziario, per effetto dell’eliminazione del potere discrezionale del

3

in relazione ai due diversi tipi di DASPO sono del tutto autonomi, e già lo erano

Giudice sul punto, con conseguente venir meno dell’obbligo di motivare
specificamente il presupposto della stessa.
Orbene, ritiene il Collegio che debba essere qui ribadito tale orientamento,
la cui fondatezza deriva dall’evoluzione normativa come sopra riportata e dalla
evidente ratio ad essa sottesa.
Tutto ciò premesso in generale, osserva la Corte che dello stesso indirizzo
mostra di aver fatto buon governo la sentenza impugnata, la quale ha ribadito con motivazione congrua ed immune da vizi logici – l’obbligatoria applicazione

motivarne il presupposto»; ciò, peraltro, anche nell’ipotesi di sospensione
condizionale della pena, come accaduto al Disabato, attesi i diversi presupposti
che concernono le misure medesime ed il beneficio di cui all’art. 163 cod. pen..
Quanto poi alla questione di legittimità costituzionale, osserva la Corte che
la stessa – come già affermato dal Giudice di appello – risulta oltremodo
generica e priva di esplicitazione circa gli effettivi profili di contrasto con il
precetto costituzionale indicato (art. 3 Cost.); per tacer, poi, del fatto che la
stessa non è sollevata in modo esplicito, ma meramente ipotizzata quale
possibile conseguenza di una determinata opzione interpretativa.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, 1’11/12/2014

*gliere estensore

Il Pr

ente

delle misure di prevenzione atipiche in esame, tale, quindi, da non richiedere «di

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA