Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4940 del 11/12/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 4940 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da :
Chionchio Fedele, n. a Vieste il 17/03/1951;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari in data 10/06/2013;

udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;

ktati

le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale U. De Augustinis, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio per
prescrizione;

RITENUTO IN FATTO

1. Chionchio Fedele ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte
d’appello di Bari che, in riforma della sentenza del Tribunale di Trani, e
successivamente a sentenza di annullamento con rinvio della Quarta sezione
della Corte di cassazione, lo ha dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 95 del
d.P.R. n. 115 del 2002 per avere, con la richiesta di ammissione al patrocinio a
spese dello Stato, falsamente attestato di essere nelle condizioni legittimanti tale
richiesta in relazione ai limiti di reddito previsti per legge.

Data Udienza: 11/12/2014

,

2. Con un primo motivo lamenta la nullità della sentenza per inosservanza di
norme processuali stabilite a pena di nullità. Deduce in particolare, quanto al
primo profilo, che la notifica del decreto di citazione per il giudizio d’appello,
anziché essere stata effettuata con le forme di cui all’art. 157 c.p.p., così come

3.

Con un secondo motivo lamenta poi che la Corte d’Appello ha ritenuto

l’imputato colpevole prescindendo dalle reali condizioni attestanti l’ammissibilità
del beneficio svincolandosi dal richiamo operato dall’art.76 del d.P.R. n. 115 del
2002 (stante anche l’erronea valutazione dei dati in sede di indagini da parte
della Guardia di Finanza) posto che detta norma non richiede alcuna elencazione
dei beni posseduti al momento della richiesta; dalle indagini è poi emersa la
reale ed effettiva condizione economica familiare dell’imputato all’interno dei
limiti reddituali richiesti dalla norma. Inoltre l’imputato dal 1996 non era già più
proprietario di alcun bene immobile mentre il fatto che egli non abbia presentato
la dichiarazione dei redditi relativa agli anni 2004 e 2005 non significa che sia
stata superata la soglia richiesta. Né, ovviamente, può rilevare la condizione
economica o di consistenza dei beni risalente ad anni precedenti al momento,
unico rilevante, di presentazione dell’istanza di ammissione al patrocinio.
Aggiunge, a completamento, che integra il reato contestato unicamente l’avere
dolosamente indicato ovvero negato o nascosto la reale condizione economica di
percezione del reddito dell’anno precedente tale da determinare il superamento
del limite di legge mentre l’imputato, in totale buona fede e assistito da proprio
consulente fiscale, ha dichiarato di avere un reddito complessivo inferiore a
quello richiesto dalla norma.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Risulta invero dagli
atti, cui questa Corte ha libero accesso in ragione della natura processuale del
motivo sollevato, che la notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello
è stata correttamente effettuata presso lo studio dell’Avv. Gennaro Merra, quale
luogo di avvenuta elezione di domicilio da parte dello stesso imputato, tanto
essendo sufficiente ai fini del rispetto dell’art.161 c.p.p., espressamente
richiamato dall’incipit dello stesso art. 157 c.p.p.
2

disposto anche dal Presidente, è stata eseguita ai sensi dell’art. 161 c.p.p.

5. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Va ricordato che questa Corte a Sezioni Unite, componendo il contrasto che si
era venuto in precedenza a formare, ha affermato che il reato di cui all’art. 95
del d.P.R. n. 115 del 2002 è integrato dalle false indicazioni o dalle omissioni
anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di

a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle
condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio (Sez. U., n. 6591/09 del
27/11/2008, Infanti, Rv. 242152); si è infatti precisato, in particolare, che l’
incriminazione del reato di pura condotta, commissivo od omissivo che sia, ha
funzione di sbarramento dell’evento di danno ulteriore; tale funzione è
accentuata dal collegamento del dovere di attestazione nell’istanza alla
dichiarazione Irpef dell’anno precedente, che può non essere stata rilasciata, e
quindi dalla possibilità di respingere la stessa istanza allo stato per le attività, le
condizioni di vita personali e familiari, ed il tenore di vita di chi chiede
l’ammissione al beneficio. Sicché l’incriminazione si correla, da un lato, al
generale “principio antielusivo” che s’incardina sulla capacità contributiva ai sensi
dell’ art. 53 Cost., e perciò dell’art. 3, e, dall’altro, all’art. 24, comma 3, Cost., in
osservanza del quale l’art. 98 c.p.p. prevede la disciplina del patrocinio dei non
abbienti a spese dello Stato. Dal che è evidente che la punibilità del reato di pura
condotta si rapporta, ben oltre il pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà
del singolo verso le istituzioni.
E’ stato dunque, dalle Sezioni Unite, in tal modo, ricusato quell’orientamento
delle sezioni semplici secondo cui il reato di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 del 2002
– sarebbe stato integrato non già da qualsivoglia infedele attestazione ma dalle
dichiarazioni con cui l’istante affermi, contrariamente al vero, di avere un reddito
inferiore a quello fissato dal legislatore come soglia di ammissibilità, ovvero
neghi o nasconda mutamenti significativi del reddito dell’anno precedente, tali
cioè da determinare il superamento di detta soglia (tra le altre, in tal senso, Sez.
5, n. 12019 del 19/02/2008, Gallo, Rv. 239126; Sez. 5, n. 15139 del
22/01/2007, Scalera, Rv. 236143).

6. Ciò posto, l’accusa formulata nei confronti dell’imputato appare fondarsi sul
presupposto che, contrariamente a quanto dichiarato dal ricorrente, ovvero che
egli non aveva raggiunto redditi dichiarabili, erano invece stati accertati redditi a
lui riconducibili, nonché, in capo alla moglie convivente, beni immobili nonché
un’autovettura.

certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio

Ora, se è ben vero che questa Corte non può trascurare di osservare che la
sentenza impugnata trascura completamente di motivare sull’esistenza o meno
di tali redditi, ed in particolare proprio sugli esiti degli accertamenti esperiti,
essenziali, in astratto, per ritenere configurato l’elemento oggettivo del reato,
per concentrarsi invece unicamente sull’aspetto formale della ritenuta idoneità
probatoria della dichiarazione, in precedenza negata dal Tribunale e su cui è

altresì innegabile che tale lacuna motivazionale non è stata in alcun modo
censurata dal ricorso la cui impostazione, anzi, appare presupporre logicamente
che tali redditi, pur effettivamente sussistiti, non siano appunto mai stati
dichiarati.
Infatti la censura sollevata, trascurando che l’addebito mosso è consistito nella
dichiarazione della mancanza di redditi valutabili, si è incentrata essenzialmente
sulla circostanza di non avere mai Chionchio dichiarato il falso, avendo egli
unicamente attestato di essere nelle condizioni reddituali effettivamente inferiori
ai limiti di legge previsti; si è però così trascurato di considerare la irrilevanza,
ai fini della esclusione del reato, proprio alla luce della sentenza delle Sezioni
Unite sopra ricordata, di un tale elemento; non è un caso, del resto, che lo
stesso ricorso richiami, a conforto della propria impostazione, decisioni di questa
Corte (tra cui Sez.5, n. 12019 del 19/02/2008, Gallo, Rv. 239126 sopra citata)
chiaramente sconfessate, come già detto, dal pronunciamento delle Sezioni
Unite.
In definitiva, il motivo di doglianza, logicamente implicante la sussistenza dei
redditi non dichiarati, eccentrico rispetto al contenuto della sentenza e fondato
su un presupposto interpretativo errato alla luce della esegesi di questa Corte
circa la latitudine applicativa dell’art. 95 cit., appare appunto inammissibile.
L’inammissibilità del ricorso preclude l’apprezzamento della prescrizione
maturata successivamente alla sentenza impugnata, stante il non istauratosi
rapporto processuale (Sez. U., n.32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266);
segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di denaro di euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di denaro di euro 1.000 in favore della Cassa
delle ammende.

4

intervenuto l’annullamento con rinvio della Quarta Sezione di questa Corte, è

Così deciso in Roma, 1’11 dicembre 2014.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA