Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49360 del 04/12/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 49360 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Santoro Vincenzo n. il 20/11/1967
avverso la sentenza n. 1518/2013 pronunciata dalla Corte d’appello di
Bari il 15/5/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 4/12/2015 la relazione fatta dal Cons.
dott. Marco Dell’Utri;
udito il Procuratore Generale, in persona del dott. C. Angelillis, che ha
concluso per la dichiarazione il rigetto del ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv.to M. A. Mascaro del foro di Roma che ha
concluso per l’accoglimento del relativo ricorso.

Data Udienza: 04/12/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 13/12/2012, il tribunale di Foggia, sezione
distaccata di Trinitapoli, ha condannato Vincenzo Santoro alla pena di giustizia in
relazione ai reati di furto in abitazione, truffa e tentata truffa, dallo stesso
commessi in Trinitapoli e San Ferdinando, tra il 28/12/2006 e il 12/1/2007.
Con sentenza in data 15/05/2014, la corte d’appello di Bari, riconosciuta in
favore dell’imputato la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6, c.p., ha

2. Avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per cassazione
l’imputato sulla base di due motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per
violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale
erroneamente confermato la qualificazione del furto in abitazione allo stesso
contestato, trascurando la corretta valutazione delle circostanze del fatto così
come attestate dagli elementi di prova acquisiti (nella specie totalmente travisati
dal giudice d’appello), essendo emersa la pacifica configurabilità dell’episodio allo
stesso addebitato alla stregua di una truffa.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge e
del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel confermare
la sussistenza della circostanza aggravante della minorata difesa della persona
offesa (art. 61 n. 5, c.p.), in contrasto con le risultanze probatorie acquisite
(anch’esse travisate dalla corte territoriale) dalle quali era emersa l’assoluta
insussistenza dei presupposti di fatto integrativi di detta circostanza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
Dev’essere preliminarmente sottolineato il mancato decorso del periodo di
prescrizione relativo ai reati addebitati all’odierno imputato, attesa l’incidenza, ai
fini della determinazione del termine complessivo di prescrizione, della recidiva
reiterata qualificata, contestata e riconosciuta a carico dell’imputato, ai sensi
dell’art. 161 c.p..

4.

Con riguardo alla doglianza concernente la qualificazione del fatto

contestato al Santoro, osserva il collegio come, secondo il consolidato
insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai fini della distinzione tra il
reato di furto (eventualmente aggravato dal ricorso a mezzi fraudolenti) e quello
di truffa, occorra verificare se l’atto di disposizione della persona offesa avvenga
con il consenso di quest’ultima ovvero invito domino (cfr., ex plurimís, Sez. 2,

2

confermato, nel resto, la sentenza del primo giudice.

,

Sentenza n. 3710 del 21/01/2009, Rv. 242678), potendo, solo in tale ultimo
caso, ravvisarsi un’ipotesi di furto.
Nel caso di specie, la corte territoriale, con motivazione immune da vizi
d’indole logica o giuridica, ha correttamente sottolineato come nel caso di specie
fosse certamente ravvisabile uno spossessamento

invito domino,

essendo

risultato evidente come la persona offesa – come dalla stessa espressamente
dichiarato – mise i propri denari sul tavolo, privandosene materialmente, non già
perché avesse la volontà di spossessarsene, ma solo perché intimorita

Osserva al riguardo il collegio, come le censure sollevate dalla difesa,
rispetto alle argomentazioni dipanate nella sentenza, valgono ad esprimere
unicamente un generico dissenso rispetto alla ricostruzione dei fatti e alla
valutazione delle fonti di prova operata dal giudice

a quo, invitando a una

rilettura nel merito della vicenda, non consentita nel giudizio di legittimità, a
fronte di una motivazione della sentenza impugnata logicamente coerente e
argomentata con linearità, non apprezzandosi, nelle argomentazioni proposte dal
ricorrente, quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero assumere
rilevanza in questa sede.

5. Quanto alla contestazione riferita al riconoscimento della circostanza
aggravante di cui all’art. 61, n. 5, c.p., vale sottolineare, in coerenza
all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, come, ai fini della
ravvisabilità dell’aggravante, non è richiesto che la difesa sia quasi o del tutto
impossibile, ma è sufficiente che essa sia semplicemente ostacolata.
In particolare, la debolezza fisica dovuta all’età senile costituisce una
minorazione delle capacità difensive del soggetto che impedisce il tentativo di
reazione possibile a una persona giovane e di ordinaria prestanza fisica,
particolarmente quando la violenza non venga esercitata con uso di arma o altro
mezzo intimidatorio, ma solo con mezzo fisico manuale, e quando risulti che la
vittima del reato è stata scelta dall’agente in considerazione dell’avanzata età (v.
in termini Sez. 2, Sentenza n. 1790 del 21/06/1983, Rv. 162876).
Nel caso di specie, del tutto correttamente la corte territoriale ha ritenuto
che l’età senile della vittima costituisse un’effettiva e concreta minorazione delle
relative capacità difensive, avendo rilevato come tale obiettiva facilitazione
dell’azione fosse stata ricercata dallo stesso imputato il quale, nell’arco di pochi
giorni, aveva tratto in inganno, con le stesse modalità, diverse signore anziane,
sì da rendere manifesta la relativa intenzione di trarre coscientemente e
obiettivamente vantaggio, per l’esecuzione del proprio programma furtivo,
dell’età avanzata delle vittime.

dall’imputato, che aveva compreso essere un delinquente.

Si tratta di motivazione pienamente congrua, coerente e lineare sul piano
logico-giuridico, che le odierne censure del ricorrente non valgono a scalfire.

6. All’accertamento dell’infondatezza dei motivi di doglianza illustrati
dall’imputato, segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4/12/2015.

La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al

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