Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49322 del 09/10/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 49322 Anno 2013
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: FOTI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PAPPALARDO ALFIO N. IL 23/02/1993
avverso la sentenza n. 425/2013 TRIBUNALE di CATANIA, del
04/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;

Data Udienza: 09/10/2013

Con sentenza del 4 febbraio 2013, il giudice monocratico del Tribunale di Catania,
sull’accordo delle parti, ha applicato, ex art. 444 cod. proc. pen., a Pappalardo Alfio imputato del delitto di cui agli artt. 110, 624 bis co. 1 e 625 n. 2 cod. pen. – riconosciute le
circostanze attenuanti generiche e quella di cui all’art. 62 n. 6 c.p. con giudizio di
equivalenza sulle aggravanti e sulla recidiva contestate ed applicata la diminuente del rito, la
pena di un anno di reclusione ed euro 400,00 di multa.
Avverso detta sentenza, propone ricorso per cassazione l’imputato che denuncia la nullità
della sentenza impugnata per avere il decidente dichiarato l’equivalenza delle concesse
attenuanti rispetto alle aggravanti ed alla contestata recidiva reiterata, laddove la recidiva in
questione avrebbe dovuto esser ritenuta specifica, non anche reiterata. Si duole, altresì, della
sostanziale assenza della motivazione della sentenza impugnata.

Considerato in diritto.
Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi proposti.
Quanto alla pena applicata, osserva la Corte che essa corrisponde pienamente a quanto
concordato tra le parte con riguardo, sia al riconoscimento delle attenuanti, sia al giudizio di
comparazione delle stesse con le circostanze aggravanti, compresa la recidiva, sia alla
quantificazione finale della pena, la cui congruità e legittimità è stata verificata ed attestata
dal giudice.
In tale situazione, il contenuto del patto è divenuto inattaccabile, non essendo più
consentito alle parti, una volta che sia intervenuta la ratifica dello stesso da parte del giudice,
rimetterlo in discussione, salvo che la pena applicata sia stata illegittimamente quantificata.
Situazione certo non ricorrente nel caso di specie e, peraltro, neanche denunciata.
Generica, peraltro, oltre che irrilevante sotto il profilo della legittimità dell’accordo, ed in
ogni caso estranea al patto, è la mancata specificazione, da parte del giudice, in relazione al
giudizio di comparazione tra circostanze, che l’equivalenza doveva ritenersi intesa rispetto
alla recidiva specifica, non a quella reiterata, pur indicata nel capo d’imputazione ma ritenuta
insussistente dal ricorrente.
Legittimamente il giudice non ha dichiarato sospese le pene applicate, ove si consideri che
la concessione di tale beneficio non risulta abbia formato oggetto della pattuizione
intervenuta tra le parti. La doglianza, peraltro, si presenta del tutto generica atteso che il
ricorrente non indica alla stregua di quali elementi tale beneficio avrebbe potuto esser
concesso, specie in vista della condizione di recidivo riconosciuta all’imputato.
Deve infine rilevarsi, con riferimento al vizio di motivazione in proposito dedotto dal
ricorrente, che, secondo il condiviso principio affermato da questa Corte, il presupposto
pattizio della sentenza emessa a richiesta delle parti esime il giudice dal motivare le
statuizioni, positive o negative, non concordate, nel caso di specie rappresentate dalla
sospensione condizionale della pena.
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrenti al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della cassa delle
ammende, di una somma che si ritiene equo determinare in euro 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma.i1 9 attahre-201-1—-9

Ritenuto in fatto.

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