Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4930 del 27/11/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 4930 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Barone Emanuela, nata a Palermo il 14/10/1985

avverso la sentenza l’ordinanza pronunciata dalla Corte dì appello di Palermo
in data 7/2/2014
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Fulvio Baldi, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio per
prescrizione

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 7/2/2014, la Corte di appello di Palermo confermava la
pronuncia emessa dal Tribunale della stessa città il 19/6/2012 nei confronti di
Emanuela Barone, con la quale la stessa era stata condannata alla pena tre mesi
di arresto e 30 mila euro di ammenda in ordine ai reati di cui agli artt. 44, lett.

Data Udienza: 27/11/2014

b), 93, 94 e 95, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per aver abusivamente realizzato
una costruzione in zona sismica.
2. Propone ricorso per cassazione la Barone, a mezzo del proprio difensore,
deducendo due motivi:
– inosservanza o erronea applicazione di legge e mancanza di motivazione.
La Corte di appello non avrebbe speso alcun argomento in ordine ad uno dei
motivi di gravame, quale quello relativo all’esatta individuazione del momento
consumativo del reato; inoltre, il giudice di prime cure (alla cui motivazione

all’effettivo completamento dell’opera al momento del sopralluogo degli operanti,
ora affermandolo ora negandolo;
– inosservanza o erronea applicazione di legge, illogicità e contraddittorietà
della motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche e
della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione
del manufatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
Con riguardo al primo motivo, rileva la Corte che lo stesso si limita ad
affermare che la sentenza non avrebbe individuato in modo certo l’epoca di
realizzazione dell’abuso; orbene, la censura risulta del tutto generica, nella
misura in cui non individua affatto quale dovrebbe essere – nell’ottica difensiva il diverso e più favorevole tempus commissi delicti, né offre alcun elemento in tal
senso. Né, peraltro, è lecito comprendere quale sia la finalità stessa della
doglianza, mai esplicitata, salvo a ritenere che – come in sede di appello – questa
sia stata presentata soltanto per contestare l’entità della pena, nel senso che – si
assume – il giudice, nel dubbio sull’individuazione di tale elemento, avrebbe
dovuto irrogare la sanzione in misura più contenuta; considerazione del tutto
generica, come tale insuscettibile di costituire motivo di impugnazione ex art.
606, comma 1, cod. proc. pen.
Parimenti infondato è, poi, il secondo profilo dello stesso motivo, con
riguardo allo stato dell’immobile al momento dell’accertamento; osserva la
Corte, infatti, che la sentenza di prime cure – cui quella di appello rimanda
integralmente – afferma con chiarezza che, alla data del 3/12/2009, le opere in
oggetto non erano ancora ultimate, senza contraddirsi sul punto in alcun passo
della motivazione.
4. Anche il secondo motivo è infondato.

2

rinvia la Corte di merito) avrebbe steso una motivazione contraddittoria in ordine

Ed invero, rileva il Collegio che la Corte di merito ha steso una motivazione
congrua, sufficientemente argomentata ed immune da vizi logico-giuridici in
ordine sia al diniego delle circostanze attenuanti generiche, sia alla
subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione del
manufatto. Quanto al primo, in particolare, la Corte ha evidenziato l’assenza di
elementi tali da giustificare ogni riferimento all’art.

62-bis cod. pen., con

riguardo a profili tanto soggettivi (considerando, cioè, irrilevante la mera assenza
di precedenti penali) che oggettivi (la mancanza di elementi favorevoli al

Con riferimento, poi, all’istituto ex art. 163 cod. pen., la Corte – dopo aver
ribadito l’obbligo della demolizione, attesa l’illiceità dell’opera – ha aderito al
costante indirizzo di legittimità in ragione del quale, in tema di violazioni
urbanistiche, il giudice può subordinare la sospensione condizionale della pena
inflitta alla demolizione dell’opera eseguita, avendo tale ordine, alla stregua di
quanto previsto dall’art. 165 cod. pen., la funzione di eliminare le conseguenze
dannose del reato (Sez. 3, n. 3685 dell’11/12/2013, dep. 28/1/2014, Russo, Rv.
258517; Sez. 3, n. 28356 del 21/5/2013, Farina, Rv. 255466).
Non si ravvisa, pertanto, alcun difetto di motivazione, come invece
contestato.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 27/11/2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

riguardo).

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