Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49299 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 49299 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: PARDO IGNAZIO

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 30 aprile 2014 la Corte di Cassazione, sesta sezione, annullava la
decisione della Corte di Appello di Reggio Calabria del 12-2-2013 con la quale era stata
affermata la responsabilità di Romeo Nicola e Modafferi Santo in ordine al delitto di cui agli
artt. 73 e 80 DPR 309/90, limitatamente alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dell’ingente
quantità.
1.2. Riteneva la Corte di legittimità non essere stata data adeguata spiegazione in ordine agli
elementi di fatto concreti ed al metodo di calcolo seguito per stabilire che la piantagione di
canapa indiana degli imputati contenesse n. 1087 piante, così come contestato nel capo di
imputazione elevato a carico del Romeo e del Modafferi, e rimetteva ad altra sezione del
giudice di appello per valutare tale circostanza aggravante in sede di giudizio di rinvio.

Data Udienza: 24/11/2015

1.3. La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 26 maggio 2015, confermava la
condanna degli imputati all’esito del rito abbreviato in ordine al delitto di cui all’art. 73
aggravato dall’ingente quantità, e ciò a seguito della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale
compiuta nel giudizio di rinvio mediante l’escussione testimoniale del M.Ilo Sperlinga il quale
aveva proceduto, unitamente ad altri militari, al rinvenimento ed al sequestro della
piantagione.
1.4.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore degli imputati

deducendo la violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione alla violazione

annullamento ed alla carenza ed illogicità della motivazione della sentenza che aveva fondato
il riconoscimento della circostanza aggravante dell’art. 80 D.P.R. 309/90 su dati generici ed
affatto rilevanti, non corroborati da elementi concreti e comunque sconfessati dalla consulenza
di parte.
1.3 All’udienza del 24 novembre 2014, le parti concludevano come in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.

Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

2.1

La Corte di Appello di Reggio Calabria, in seguito alla rinnovazione dell’istruzione

dibattimentale adottata in sede di giudizio di rinvio seguendo il dictum della sentenza di
annullamento che imponeva procedere ad un più preciso calcolo circa il numero delle piante,
ha dato atto come dalla deposizione del verbalizzante M.Ilo Sperlinga che aveva proceduto al
sequestro, fossero emersi plurimi elementi di fatto per confermare quel dato numerico (n.
1087 piante di canapa indiana) oggetto di contestazione, costituiti dal dato riferito dal teste
(“un migliaio di piante circa”), dalla estensione della piantagione (“circa 500 mq.”), dal
numero di carabinieri impiegati nelle operazioni di sequestro e conteggio (“almeno 12 militari”)
e dalla circostanza che i militari “hanno materialmente contato le piante”. Tali elementi, a
giudizio della Corte, sconfessavano gli esiti della consulenza tecnica della difesa che era giunta
ad un conteggio finale differente sulla base di un mero criterio deduttivo fondato sull’analisi dei
luoghi dopo l’avvenuta estirpazione della piantagione.
2.3 A fronte di tali deduzioni deve replicarsi che le censure riproposte con il presente ricorso,
vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità,
una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di
merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati
elementi probatori, frutto dell’eseguita attività di rinnovazione istruttoria, ha puntualmente
disatteso la tesi difensiva. Pertanto, non essendo evidenziabile alcuna delle pretese
incongruità, carenze o contraddittorietà motivazionali dedotte dal ricorrente, la censura,
essendo incentrata tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero
merito, va dichiarata inammissibile avendo la Corte di Reggio Calabria indicato elementi precisi
e concreti sulla base dei quali addiveniva alla soluzione della sussistenza della contestata
aggravante e ciò in preciso adempimento all’onere assegnatole dalla sentenza di annullarr\ent
2
V

compiuta dal giudice di rinvio che non si era attenuto ai principi stabiliti dalla pronuncia di

con rinvio, il che deve fare ritenere palesemente infondato anche il relativo motivo di ricorso.
In altri termini, le censure devono ritenersi manifestamente infondate in quanto la
ricostruzione effettuata dalla Corte e la decisione alla quale è pervenuta deve ritenersi
compatibile con il senso comune e con «i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento»:
infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la
decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia

2.4

In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606/3

c.p.p, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art.
616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili
di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C 1.000,00 ciascuno.
P.Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno al versamento di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Roma 24 novembre 2015

IL 4ONSIGLIERE E T.
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compatibile con il senso comune (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 Rv 215745).

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