Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49297 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 49297 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 17/11/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto personalmente da Marotta Pasquale, n. a Napoli
il 26.01.1984, rappresentato e assistito dall’avv. Gennaro Maria
Amoruso, d’ufficio, avverso la sentenza della Corte d’appello di
Milano, quarta sezione penale, n. 5878/2013, in data 14.01.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
preso atto della ritualità delle notifiche e degli avvisi;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Ciro
Angelillis che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 14.01.2014, la Corte d’appello di Milano

1

confermava, nei confronti di Marotta Pasquale, la pronuncia di primo
grado emessa in data 28.11.2012, all’esito di giudizio abbreviato, dal
giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Lodi, che
aveva condannato lo stesso alla pena di anni tre di reclusione ed euro
2.200,00 di multa per i reati, avvinti dal vincolo della continuazione,
di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più reati
di truffa e falso in concorso, ricettazione aggravata continuata,

continuati, truffa aggravata continuata.
Le risultanze processuali consentivano di accertare come, nel periodo
tra giugno e settembre 2011, erano state denunciate una serie di
truffe portate a compimento con lo stesso modus operandi ai danni di
numerosi clienti di istituti di credito delle province di Lodi, Cremona,
Bergamo, Pavia e Milano: un soggetto si presentava in banca,
sostituendosi al titolare di un conto corrente mediante l’esibizione di
una falsa carta d’identità contenente i dati anagrafici della vittima e la
foto del presentatore, si faceva consegnare dagli impiegati – di una
filiale diversa del medesimo istituto di credito del correntista somme in contanti di importi variabili tra i 500,00 ed i 9.000,00 euro,
che venivano successivamente addebitate ai conti correnti degli ignari
correntisti.
2. Avverso detta sentenza, Marotta Pasquale propone ricorso per
cassazione lamentando la nullità della sentenza per violazione dell’art.
606 lett. b) ed e) cod. proc. pen., per erronea applicazione della
legge penale e per contraddittorietà, manifesta illogicità e/o assenza
(in quanto solo apparente) della motivazione.
In particolare, si contesta in relazione al capo A, la configurabilità del
reato associativo, ritenendo la ricorrenza di un mero concorso di
persone in presenza di una determinatezza dei reati da compiere e
dell’assenza della consapevolezza da parte dei concorrenti di essere
associati indipendentemente dalla commissione dei singoli fatti di
reato.
In relazione a tutti i capi d’imputazione, si contesta l’eccessività del
trattamento sanzionatorio e l’inopinato diniego della concessione delle
circostanze attenuanti generiche in presenza di un comportamento
processuale giudicato “negativo” solo perché l’imputato, nell’esercizio
di un proprio diritto, si era avvalso della facoltà di non rispondere

possesso e fabbricazione di documenti d’identità falsi aggravati

nell’interrogatorio di garanzia avanti al giudice per le indagini
preliminari successivamente all’arresto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, risulta
inammissibile.

2. Va osservato in premessa come, secondo il costante insegnamento
di questa Corte Suprema (per tutte, Sez. U, sent. n. 6402 del
30/04/1997, dep. 02/07/1997, Dessimone e altri), l’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, perché il sindacato demandato al giudice di legittimità è
limitato a riscontrare l’esistenza,di un logico apparato argomentativo
sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare
l’intrinseca adeguatezza e congruità delle argomentazioni di cui il
giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento.
Dai poteri della Suprema Corte esula quindi ogni “rilettura” degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito. In
particolare, non può integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali perché, appunto, la Suprema
Corte non può sovrapporre una propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma invece può, e
deve, saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua
cognizione. Ciò, in quanto nel momento del controllo della
motivazione la Suprema Corte non deve stabilire se la decisione di
merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ne’ deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se la
giustificazione contenuta nella sentenza impugnata sia compatibile
con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento (Sez. 4, Sent. n. 4842 del 02/12/2003, dep.
06/02/2004). Né la novella codicistica introdotta con la I. n. 46 del
2006, ammettendo l’indagine extratestuale per la rilevazione
dell’illogicità manifesta e della contraddittorietà della motivazione, ha
modificato la natura del sindacato del giudice di legittimità, il cui
controllo rimane limitato alla struttura del discorso giustificativo del

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provvedimento impugnato e non può comportare una diversa lettura
del materiale probatorio, anche se astrattamente plausibile, sicché
anche dopo la legge 46/2006 occorre invece che gli elementi
probatori indicati in ricorso (ignorati, inesistenti o travisati, non solo
diversamente valutati) siano per sé decisivi in quanto dotati di una
intrinseca forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento del
giudice del merito (Sez. 3, sent. n. 37006 del 27/09/2006, dep.

09/11/2006, Piras, Rv. 235508). Decisività che deve essere oggetto
di specifica e non assertiva deduzione della parte, in esito al
confronto con tutta la motivazione della decisione impugnata, pena
l’immediata ‘contaminazione’ del rilievo in termini di preclusa censura
di merito. Il controllo di logicità della motivazione che sorregge la
decisione di merito può, in secondo luogo, essere eseguito solo, come
prima accennato, in riferimento ai tassativi vizi che esclusivamente
rilevano in questo giudizio: la assenza di motivazione (anche nella
forma della mera apparenza grafica), la ‘manifesta’ illogicità e la
contraddittorietà, così come previsto dalla lettera e) del primo comma
dell’art. 606 cod. proc. pen.. Questo significa, ad esempio, che la
mera ‘illogicità’ della motivazione è irrilevante, perché
strutturalmente diversa dalla ‘manifesta illogicità’, vizio distinto dal
precedente e unico rilevante. Infatti, l’illogicità della motivazione
censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è
solo quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile
“ictu ocu/i” (Sez. U, sent. n. 47289 del 24/09/2003, dep. 10/12/2003,
Petrella). Altrettanto irrilevanti, perché diverse da quelle
tassativamente e solo previste dalla lettera e) sono, a titolo
esemplificativo, le censure che attribuiscono alla motivazione di
essere incongrua, non plausibile, non persuasiva, non esaustiva,
insufficiente o insoddisfacente. Si tratta infatti di ‘difetti’ e vizi che,
ancorché in ipotesi effettivamente presenti nella motivazione del
provvedimento impugnato, sono irrilevanti nel giudizio di legittimità,
che non possono pertanto efficacemente introdurre, perché propri
dell’apprezzamento di stretto merito.
3. Ampia e del tutto esente dai lamentati vizi logico-giuridici
lamentati è, nella fattispecie, la motivazione in ordine al contestato
reato associativo (e alla differenze con il concorso di persone nel
reato) nonchè al ruolo rivestito dal Marotta nei diversi episodi

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criminosi.
Invero, si legge in sentenza: “sulla scorta di tutti gli elementi raccolti
… non vi sono dubbi che tra Latrate, Marotta e Barile si fosse creato
uno stabile vincolo associativo, con precisa distribuzione dei compiti a
ciascuno assegnati, con i partecipanti legati dalla comune intenzione
di realizzare una serie indefinita e imprecisata di truffe, per la cui
realizzazione avevano speso energie e competenze volte a

organizzare tutta la serie di reati utili e funzionali alla commissione
delle truffe. Le indagini hanno palesato la seguente suddivisione di
ruoli e funzioni: Marotta compilava le carte di identità in bianco …
Barile forniva i dati personali e i numeri identificativi dei conti correnti
delle vittime designate … e latrate era l’esecutore materiale delle
truffe. Si ritiene che, per le modalità organizzative e complessa
ideazione del programma criminoso, palesato chiaramente da latrate
nelle dichiarazioni rese, non possa dubitarsi della piena
consapevolezza di ciascun partecipe di fornire un apprezzabile e
decisivo contributo alla consumazione delle truffe in serie, con la
consapevolezza ulteriore che la perpetrazione era finalizzata al
raggiungimento dello scopo sociale; gli elementi esposti configurano
tutti gli elementi essenziali del reato associativo contestato. Proprio
nel rispetto della formale distinzione del reato associativo
dall’occasionale concorso di persone nel reato, il pubblico ministero
ha correttamente contestato il solo vincolo occasionale ed accidentale
per la commissione dei reati al capo E) ed F), che erano i primi
episodi delittuosi realizzati dal connubio criminale, quando ancora il
sodalizio tra Marotta e latrate era agli esordi e occasionalmente
realizzato per la commissione dei singoli reati. Poi, i risultati positivi
raggiunti* avevano innescato il proposito criminoso che aveva dato
vita all’associazione a delinquere, con vincolo tendenzialmente stabile
tra le persone e con la distribuzione delle mansioni che ciascun
partecipe (nella consapevolezza e forza del contributo di ognuno)
doveva svolgere nel singolo atto delittuoso da compiere
nell’attuazione del programma criminoso. Insomma, non vi sono
dubbi sulla ricorrenza del reato di cui all’art. 416 cod. pen., anche
quando l’associazione sia stata costituita successivamente ad
un’attività delittuosa iniziata con fatti isolati e di semplice concorso,
ed al fine di continuare e rendere durevole tale attività dimostratasi

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agevole e proficua”.
4. Pienamente congrue e giustificate sono anche le statuizioni in
merito al trattamento sanzionatorio e al diniego delle circostanze
attenuanti generiche.
4.1. Sulla pena, la Corte territoriale ne riconosce la mitezza in
presenza di un “pregiudicato per altri gravi fatti (che) ha ricavato
somme ingenti dalla commissione dei delitti contestati, senza mai

neppure tentare di elidere o attenuare le conseguenze del suo
operato o di risarcire í danni. Gli aumenti per la continuazione sono
estremamente contenuti e la pena base si discosta solo lievemente
dal minimo … Nulli sono gli argomenti positivi offerti alla valutazione
del giudice, a fronte degli indici di gravità evidenziati in sentenza (di
tal che) ritiene la Corte che il primo giudice, nel quantificare la pena
da irrogare abbia fatto buon governo dei propri poteri discrezionali,
pervenendo all’irrogazione di una pena del tutto adeguata …”.
4.2. Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di questa
Suprema Corte (cfr., Sez. 6, sent. n. 9120 del 02/07/1998, dep.
04/08/1998, Urrata S. e altri, Rv. 211582), deve ritenersi adempiuto
l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in
concreto della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza
gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della
complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133
cod. pen..
4.3. La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed
alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti,
rientra infatti nella discrezionalità del giudice di merito, che la
esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi
enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è
inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una
nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione
non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5,
sent. n. 5582 del 30/09/2013, dep. 04/02/2014, Ferrarlo, Rv.
259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre. Invero, una
specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena
irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per
circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga
superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti

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essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133
cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o
“congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla
capacità a delinquere (Sez. 2, sent. n. 36245 del 26/06/2009, dep.
18/09/2009, Denaro, Rv. 245596).
5. Medesime conclusioni di manifesta infondatezza vanno tratte con
riferimento alle proposte censure in punto diniego di concessione

delle circostanze attenuanti generiche.
5.1. Anche questa statuizione – come detto, ampiamente motivata appare del tutto esente da manifesta illogicità e, come tale, risulta
insindacabile in cassazione (cfr., ex multis, Sez. 6, sent. n. 42688 del
24/9/2008, dep. 14/11/2008, Caridi e altri, Rv. 242419).
Scrive la Corte territoriale:

“nessun elemento consente di poter

concedere le attenuanti generiche; l’atteggiamento processuale non
consente una diversa valutazione né ha apportato elementi positivi, e
la scelta del rito abbreviato non può essere presa in considerazione di per sé – per la concessione delle attenuanti. Immune da rilievi la
decisione di non applicazione delle attenuanti generiche, anche sotto
il profilo che dette attenuanti non possono essere intese come
oggetto di una benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma
come il riconoscimento di situazioni, non contemplate specificamente,
che non sono comprese fra le circostanze da valutare ai sensi dell’art.
133 cod. pen., ovvero che presentano connotazioni tanto rilevanti e
speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione;
situazioni e circostanze che effettivamente incidano
sull’apprezzamento della “quantità del reato” e della capacità di
delinquere dell’imputato, sicchè il loro riconoscimento consenta di
pervenire ad una più valida e perspicace valutazione degli elementi
che segnano i parametri per la determinazione della pena da irrogare
in concreto. Esse vanno riferite a quanto in concreto il legislatore non
ha potuto prevedere, ai fini della individuazione e della
personalizzazione della pena, stante la impossibilità di ricom prendere
in una formula di portata generale e astratta l’immensa varietà delle
vicende umane …”.
5.2. Invero, secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di
legittimità, non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il
diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in

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considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle
parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento
a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o
superati tutti gli altri (Sez. 2, sent. n. 3609 del 18/01/2011, dep.
01/02/2011, Sermone e altri, Rv. 249163; Sez. 6, sent. n. 34364 del
16/6/2010, dep. 23/09/2010, Giovane e altri, Rv. 248244).
5.3. Del tutto giustificato è, infine, il richiamo al richiesto giudizio

insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’applicazione delle
circostanze attenuanti generiche non può fondarsi sulla scelta da
parte dell’imputato di definire il processo nelle forme del rito
abbreviato, che implica “ex lege” l’applicazione di una predeterminata
riduzione della pena, poiché, in caso contrario, la stessa circostanza
comporterebbe due distinte determinazioni favorevoli all’imputato
(Sez. 2, sent. n. 24312 del 25/03/2014, dep. 10/06/2014, Diana e
altri, Rv. 260012).
6. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si
determina equitativamente in euro 1.000,00

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 17.11.2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Dott.= Pellegrino

Dott.ssa Matilde Cammino

abbreviato atteso che – anche in questo caso – per consolidato

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