Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49190 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 49190 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 17/11/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Occhipinti Angelo, n. a Licata il
13.05.1954, rappresentato e assistito dall’avv. Antonino Gaziano e
dall’avv. Giovanni Castronovo, di fiducia, avverso l’ordinanza emessa
dal Tribunale di Palermo, n. 811/2015, in data 10.07.2015;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
sentite le conclusioni assunte dal Sostituto procuratore generale dott.
Ciro Angelillis che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 10.12.2012, il giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Palermo disponeva l’applicazione
della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di

1

Occhipinti Angelo in relazione a due ipotesi di tentata estorsione
aggravata e continuata (capi E ed F: artt. 81 cpv., 56, 629, comma 2
cod. pen. in relazione all’art. 628, comma 3, n. 1 cod. pen., 7 d.l. n.
152/1991): condotte consistite nell’aver tentato di imporre ad Urso
Francesco forniture di inerti e servizi di trasporti senza che la vittima
fosse libera di scegliere il quantitativo da acquistare o i trasportatori
da utilizzare nonché nell’imporre alla medesima persona offesa il

pagamento di euro 40.000,00 quale “pizzo” pari al 2% di una
fornitura di calcestruzzo effettuata dallo stesso Urso nei territori di
Riesi e Ravanusa.
1.1. All’esito del giudizio di primo grado, con sentenza in data
22.04.2015, Occhipinti Angelo veniva condannato alla pena di anni
sei, mesi sei di reclusione ed euro 6.500,00 di multa, riconosciuta
altresì la contestata recidiva, reiterata, specifica ed
infraquinquennale.
1.2. Con successiva ordinanza in data 01.06.2015, il Tribunale di
Agrigento rigettava l’istanza difensiva di sostituzione della misura
cautelare della custodia. ihv cat ,evu-.
1.3. Avverso detta ordinanza, veniva proposto appello ex art. 310
cod. proc. pen.; con ordinanza in data 10.07.2015, il Tribunale di
Palermo rigettava il gravame.
1.4. Nei confronti di detta ordinanza, viene proposto, nell’interesse di
Occhipinti Angelo, ricorso per cassazione denunciando, quale motivo
unico, violazione dell’art. 606 lett. c) ed e) cod. proc. pen. in
riferimento agli artt. 274, 275, comma 3 cod. proc. pen., 81, comma
2, 629, commi 1 e 2 cod. pen., in relazione all’art. 628, comma 3 n. 1
e 7 d.l. n. 152/1991.
In particolare, si contesta come i giudici dell’appello cautelare,
facendo malgoverno dei principi contenuti nella sentenza n. 57/2013
della Corte costituzionale, abbiano illegittimamente individuato dalle
risultanze dibattimentali elementi dai quali inferire la presunzione di
esclusiva adeguatezza della custodia carceraria, ritenendo addirittura
sussistenti tutte le esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc.
pen., pur avendo il Tribunale di Agrigento paventato la perduranza
della sola esigenza di cui alla lettera c) del citato articolo.
Invero, la conclusione del giudizio di primo grado ed il periodo di
carcerazione già sofferto dall’Occhipinti (corrispondente a quasi metà

2

della pena inflitta dal primo giudice) costituiscono elementi nuovi,
idonei a consentire una rivisitazione della vicenda cautelare. Inoltre,
le risultanze probatorie (conclusione del giudizio di primo grado,
insussistenza di pregresse condotte di fuga e puntuale osservanza
delle prescrizioni imposte con la misura di prevenzione,
estemporaneità delle condotte dettate solo da esigenze di carattere
economico e lavorativo) e le condizioni di salute del ricorrente

eccezionale rilevanza. Da qui l’idoneità della misura degli arresti
domiciliari con il c.d. braccialetto elettronico, in osservanza al
principio di proporzionalità e di adeguatezza. Si evidenzia infine come
la norma attualmente in vigore imponga una valutazione dell’attualità
e della concretezza del pericolo, non desumibili in via esclusiva della
gravità del reato per cui si procede.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso appare manifestamente infondato e, come tale, va
dichiarato inammissibile.
2. È anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di
sindacabilità da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti
adottati dal giudice del riesame e dell’appello sulla libertà personale.
2.1. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide
e reputa attuale anche all’esito delle modifiche normative che hanno
interessato l’art. 606 cod. proc. pen. (cui l’art. 311 cod. proc. pen.
implicitamente rinvia), in tema di misure cautelari personali, allorché
sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta
il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio
di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito
abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad
affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato,
controllando la congruenza della motivazione riguardante la
valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai
principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze
probatorie. Si è anche precisato che la richiesta di riesame – mezzo di

legittimano un giudizio di insussistenza delle esigenze cautelari di

impugnazione, sia pure atipico – ha la specifica funzione di sottoporre
a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti
formali indicati nell’art. 292 cod. proc. pen., ed ai presupposti ai quali
è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo: ciò
premesso, si è evidenziato che la motivazione della decisione del
Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere
conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo

dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su
prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della
responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza
(Sez. U, sent. n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828; conforme,
dopo la novella dell’art. 606 cod. proc. pen., Sez. 4, sent. n. 22500
del 03/05/2007, Terranova, Rv. 237012).
2.2. Si è successivamente osservato, sempre in tema di
impugnazione delle misure cautelari personali, che il ricorso per
cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di
specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della
motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i
principi di diritto, ma non anche quando propone censure che
riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 5,
sent. n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997; Sez. 6, sent. n.
11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178).
2.3. L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 cod.
proc. pen.) e delle esigenze cautelari (art. 274 cod. proc. pen.) è,
quindi, rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione
di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della
motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo
“all’interno” del provvedimento impugnato, dovendosi in sede di
legittimità accertare unicamente se gli elementi di fatto siano
corrispondenti alla previsione della norma incriminatrice e se le
statuizioni siano assistite da motivazione non manifestamente
illogica.
3. Manifestamente infondato, come detto, è l’unico motivo di
doglianza proposto.
Invero, ampiamente giustificata ed esente da qualsivoglia vizio

di cui all’art. 546 cod. proc. pen., con gli adattamenti resi necessari

logico-giuridico è la motivazione del Tribunale che ha ritenuto come
“non constino … né tra quelli dedotti in atto d’appello né da altro
elemento desumibile dagli atti del procedimento “elementi specifici”
che consentano di reputare superata la presunzione (ndr., relativa di
legge) e, soprattutto, la valutazione di ricorrenza, in concreto, di
esigenze cautelari già compiuta da questo Tribunale con ordinanza del
15 ottobre 2013 …”. Ed ancora: “… le modalità dei fatti descritti dalla

persona offesa e, soprattutto, la continuità con cui ha agito l’indagato
appena finita di espiare una precedente condanna sono sintomatici di
una speciale propensione … a porre in essere reati della stessa specie
ed un sicuro inserimento nelle organizzazioni criminali locali.
Circostanze, queste, che fanno ritenere altamente concreto il pericolo
che l’indagato, qualora fosse rimesso in libertà, possa reiterare il
compimento di ulteriori fatti di usura, non solo nei confronti della
vittima già individuata, ma altresì, nei confronti di altre persone. E’
inoltre concreto il pericolo di commissione di reati con violenza sulla
persona … ; … a ciò si aggiunge la valutazione dei gravi precedenti
penali … che danno conto di una pericolosa continuità nel delinquere
…”. Riconosce inoltre il Tribunale:
– la permanenza dell’esigenza cautelare connessa al concreto pericolo
di fuga, in ragione degli accertati collegamenti con la consorteria cosa
nostra ed a fronte dell’elevata pena irrogata;
– la permanenza dell’esigenza cautelare connessa al concreto pericolo
di inquinamento probatorio, stante il rischio di poter usufruire dei
poteri di intimidazione tipici dell’associazione mafiosa di riferimento
(“… nel caso di specie … elementi probatori di fondamentale
importanza a carico dell’imputato si traggono dalle dichiarazioni della
persona offesa che ben potrebbe subire, nelle ulteriori fasi del
giudizio, condizionamenti o intimidazioni finalizzati a costringerla ad
una ritrattazione”);
– la totale assenza di pregio delle ulteriori argomentazioni svolte dalla
difesa con riferimento sia al mero dato temporale, di per sé
insufficiente a far rimeditare una rivalutazione delle esigenze
cautelari, che alla generica censura in ordine alle condizioni di salute
del ricorrente, già valutate in occasione di precedenti analoghe
richieste sulla libertà ed in assenza di dimostrazione di un
sopravvenuto peggioramento ovvero dell’esistenza di elementi nuovi

5

e diversi non precedentemente valutati.
Da qui l’ineludibilità del giustificato mantenimento della misura
cautelare massima.
4. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si

Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc.
pen.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc.
pen..
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del
17.11.2015

determina equitativamente in euro 1.000,00.

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