Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4919 del 18/11/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 4919 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sul ricorso proposto da Cavallini Carlo, nato a Pontedera il 27.9.1939;
avverso la sentenza emessa il 30 gennaio 2014 dalla corte d’appello di Firenze;
udita nella pubblica udienza del 18 novembre 2014 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Svolgimento del processo
Con sentenza 10 ottobre 2012 il tribunale di Pisa dichiarò Cavallini Carlo
colpevole del reato di cui all’art. 4 D.Lvo 74/2000 per aver indicato, in qualità
di legale rappresentante della società Cavallini Immobiliare srl, al fine di evadere le imposte IRES, nella dichiarazione annuale relativa al periodo d’imposta
2004, elementi attivi per un ammontare di €. 1.553.666,00 e per il periodo d’imposta 2005 elementi attivi per un ammontare di €. 957.741,00, inferiore a quello
effettivo ed in misura superiore ad €. 103.291,38, evadendo detta imposta per
un importo di €. 512.709,00 per il 2004 e di €. 316.065,00 per il 2005, e lo aveva condannato, con la attenuanti generiche, alla pena di un anno e mesi 4 di reclusione, con a sospensione condizionale della pena.
La corte d’appello di Firenze, con la sentenza in epigrafe, dichiarò estinto
per prescrizione il reato relativo al periodo di imposta 2004 e rideterminò la pena in un anno di reclusione. Osservò, tra l’altro, la corte d’appello: che era infondata l’eccezione di inutilizzabilità dell’accertamento fiscale compiuto dalla
GdF per violazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. e ciò perché il reato
contestato presuppone il superamento della soglia di punibilità, il che può ricavarsi solo a seguito della valutazione finale di tutti gli elementi acquisiti in for-

Data Udienza: 18/11/2014

za delle indagini compiute e quindi l’indizio di reato può discendere solo a seguito della valutazione complessiva dell’accertamento fiscale da compiersi alla
fine delle indagini, non potendo collegarsi l’individuazione del superamento
della soglia di punibilità all’accertamento delle singole sottofatturazioni di vendita; che quindi il verbale di constatazione in questione era stato acquisito nel
rispetto del disposto di cui all’art. 220 disp. att. cod. proc. pen.; che il fatto che
l’imputato non abbia prestato il consenso alla acquisizione del detto verbale di
constatazione non impedisce che il giudice possa valutarne il contenuto in “relazione alla utilizzazione dei dati storici in esso contenuti”, per cui esso ben poteva sostituire “in blocco” l’istruttoria dibattimentale, una volta che le parti non
hanno chiesto alcun ulteriore approfondimento istruttorio,oltre l’esame dei predetti testi e in specie del maresciallo Imparato, il quale ha reso specifica testimonianza su tutti i punti del verbale, così confermandone integralmente il contenuto; che invero l’approfondimento dibattimentale è mancato per scelta della
difesa in quanto, a fronte della testimonianza de relato resa dal maresciallo circa le dichiarazioni rilasciate dagli stessi acquirenti gli immobili oggetto della
sottofatturazione, era onere della difesa richiederne il loro esame dibattimentale
ai sensi dell’art. 195 cod. proc. pen.; che d’altra parte la documentazione oggettiva acquisita col verbale di constatazione (contratti preliminari di vendita a
prezzi di gran lunga superiori a quelli poi riportati nei corrispondenti rogiti di
vendita, mutui ipotecari per importi superiori a quelli risultanti dai rogiti, prelievi in contante da parte degli acquirenti contestuali ai pagamenti, corrispondenti alla differenza fra il pattuito e il dichiarato) è prova oggettiva delle sottofatturazioni operate; che erano irrilevanti le osservazioni del CT della difesa,
perché l’accertamento della sottofatturazione non si basava su calcoli presuntivi
ma su dati oggettivi e sulle dichiarazioni degli acquirenti circa i maggiori importi pagati alla Cavallini rispetto a quelli riportati sul rogito formale di vendita.
L’imputato, a mezzo dell’avv. Anna Francini, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione degli artt. 191 cod. proc. pen. e 220 disp. att. cod. proc. pen.
Osserva che dalla stessa sentenza impugnata emerge che l’accertamento della
sottofatturazione è frutto della mera ‘trasfusione’ nella contestazione delle risultanze del processo verbale di constatazione redatto dalla GdF. Tale atto, oltre ad
essere di natura induttiva, è stato annullato dalla commissione tributaria e comunque non può essere ritenuto sufficiente a fondare la prova della responsabilità dell’imputato in sede penale. Ciò in quanto nessuno degli elementi di prova
su cui tale accertamento appare essere fondato è passato al vaglio del dibattimento. L’accertamento contenuto nel processo verbale è fondato su un’attività
ispettiva eseguita in sede amministrativa, e quindi extra-processuale, e le sue risultanze non possono assurgere al rango di prova in quanto non sottoposte al
vaglio del contraddittorio in sede dibattimentale. Nel momento in cui gli agenti
ebbero a riscontrare indizi di reato avrebbero dovuto proseguire l’indagine secondo le modalità dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., secondo cui quando nel
corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere
quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con

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l’osservanza delle disposizioni del codice. Il rispetto delle regole di rito sarebbe
stato necessario quantomeno una volta compiute le prime (delle numerose) audizioni degli acquirenti degli immobili, per non parlare della successiva acquisizione della documentazione concernente la compravendita (contratti preliminari, mutui ipotecari, rogiti di vendita, ecc…). Si tratta infatti indiscutibilmente
di indizi di reato che imponevano il ricorso alle disposizioni del codice di procedura penale. Nella specie gli indizi di reato sono riferiti dagli operanti come
emersi sin dalle fasi iniziali dell’indagine amministrativa allorquando, come risulta dal PVC in data 31/01/2009, “in capo alla società si ravvedevano ipotesi
penalmente rilevanti” e si procedeva ad acquisire copiosa documentazione. Del
resto, oltre all’attività amministrativa nessun altro accertamento è stato svolto in
sede penale a seguito della comunicazione della notizia di reato che, infatti,
contiene ed esaurisce tutto quanto è stato ritenuto rilevante ai fini dell’accusa. Il
PVC non poteva perciò essere utilizzato a fini probatori.
2) violazione dell’art. 526 cod. proc. pen. Ricorda che, stante il mancato
consenso della difesa, il processo verbale di constatazione è stato acquisito dal
giudice di primo grado esclusivamente “in relazione all’utilizzazione dei dati
storici” in esso contenuti. Sennonché poi lo stesso ha, di fatto, sostituito in
blocco l’istruttoria dibattimentale. Invero, il funzionario dell’Agenzia delle Entrate ha confermato che l’attività dell’Agenzia si è limitata alla mera ricezione
del verbale. Il mar.11o Imparato ha potuto solo fornire indicazioni del tutto generiche sulle risultanze dell’accertamento svolto in sede amministrativa senza
scendere nel merito di nessuna delle singole contestazioni. La carenza probatoria non può essere compensata per relationem attraverso il richiamo al PVC, atteso che si tratta di un’attività ispettiva compiuta in ambito amministrativo, in
assenza delle garanzie processuali assicurate dal rispetto del principio del contraddittorio che lo rende, pertanto, inutilizzabile senza il consenso della parte.
Nella specie, poi, il processo verbale di constatazione non può essere utilizzato
nemmeno al fine di verificare il superamento della soglia di punibilità perché i
dati contenuti nell’accertamento amministrativo non hanno poi trovato alcun
conforto in sede dibattimentale. In altre parole, sarebbe stato possibile utilizzare
per il calcolo del superamento della soglia le risultante del PVC solo all’esito di
una attività dibattimentale che avesse fornito in relazione ad ognuna delle vendite la prova della quantità del pagamento extracontabile ed essa fosse risultata
corrispondere a quella indicata nel processo verbale di constatazione. Inoltre,
l’istruttoria dibattimentale mai avrebbe potuto confermare i dati del conteggio
posto che l’accertamento ha natura induttiva.
3) violazione dell’art. 195, comma 4, cod. proc. pen. Osserva che è erronea
l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui l’istruttoria dibattimentale
avrebbe potuto essere sostituita “in blocco” dal contenuto del verbale di constatazione dato che le parti “non hanno chiesto alcun ulteriore approfondimento istruttorio” e, in particolare, il mancato “approfondimento dibattimentale” sarebbe dovuto ad una precisa scelta processuale della difesa che “di fronte alla testimonianza de relato resa dal Maresciallo circa le dichiarazioni rilasciate dagli
stessi acquirenti degli immobili (…) era onere della difesa richiedere il loro esame dibattimentale ai sensi dell’art. 195, comma 1 c.p.p.”. Osserva che al con-

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trario nessun obbligo faceva capo alla difesa — mentre eventualmente sarebbe
stato onere dell’accusa attivarsi, ove possibile, per assolvere al proprio onere
probatorio – posto che è proprio lo stesso art. 195 c.p.p. a prevedere, al suo
comma quarto, che “gli ufficiali di polizia giudiziaria non possono deporre sul
contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli
articoli 351 e 357, comma 2, lettere a) e b)”. Tale norma, quindi, esclude espressamente la testimonianza indiretta da parte degli ufficiali di PG non consentendo, in casi di questo tipo, alle altre parti di chiamare a deporre il soggetto
indicato dal teste.
Nell’imminenza dell’udienza la difesa ha depositato memoria con cui tra
l’altro rileva l’intervenuta prescrizione del reato.
Motivi della decisione
Preliminarmente va rilevato che dall’avviso di accertamento della Agenzia
delle Entrate per l’annualità 2005 e dalla comunicazione di avvenuto ricevimento del Modello Unico per il periodo di imposta 1.1.2005 — 16.11.2005, emerge
che la dichiarazione dei redditi 2005 (sulla base della quale è stato effettuato
l’accertamento e da cui scaturisce la contestazione per il reato di cui all’art. 4 d.
lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è stata presentata dalla Cavallini Immobiliare srl in
data 12.1.2006. La dichiarazione copre tutta l’attività della società Cavallini fino al momento della sua messa in liquidazione avvenuta il 16.11.2005.
Il residuo reato di dichiarazione infedele per l’anno 2005 si è quindi consumato il 12.1.2006, al momento della presentazione della dichiarazione.
Il termine ordinario di prescrizione pertanto scadeva il 12.7.2013. Risulta
che il corso della prescrizione è stato sospeso dal 23.2.2012 al 13.3.2012 (per
astensione), dal 13.3.2012 al 31.5.2012 (per richiesta difensore) e dal 26.6.2012
al 10.10.2012 (per richiesta difensore), per un totale di mesi 6 e giorni 24.
Il residuo reato si è quindi prescritto in data 5 febbraio 2014.
Ciò posto, va anche rilevato che il ricorso non può certamente ritenersi
manifestamente infondato. E difatti, esattamente il ricorrente ricorda che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «Il processo verbale di constatazione
redatto dalla guardia di finanza o dai funzionari degli uffici finanziari è un atto
amministrativo extraprocessuale, come tale acquisibile ed utilizzabile ex art.
234 cod. proc. pen. a fini probatori. Tuttavia, qualora emergano indizi di reato,
occorre procedere secondo le modalità previste dall’art. 220 disp. att., giacché
altrimenti la parte del documento redatta successivamente a detta emersione
non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile» (Sez. III,
1.4.1998, n. 7820. Molayem. Rv. 211225; conf. Sez. III, 18.11.2008, n. 6881
del 2009, Ceragioli, Rv. 242523); «È causa di inutilizzabilità dei risultati probatori la violazione delle disposizioni del codice di procedura penale la cui osservanza, nell’ambito di attività ispettive o di vigilanza, è prevista per assicurare le fonti di prova in presenza di indizi di reato» (Sez. III, 10.2.2010, n. 15372,
Fiorillo, Rv. 246599).
La sentenza impugnata ha ritenuto irrilevante nella specie la mancata prosecuzione secondo le modalità previste dall’art. 220 disp. att., e ciò per il motivo
che «il reato contestato all’imputato presuppone il superamento della soglia di
punibilità nella misura indicata nella norma incriminatrice, il che può ricavar-

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si solo a seguito della valutazione finale di tutti gli elementi acquisiti in forza
delle indagini compiute e quindi l’indizio di reato può discendere solo a seguito
della valutazione complessiva dell’accertamento fiscale da compiersi alla fine
delle indagini, non potendo collegarsi l’individuazione del superamento della
soglia dì punibilità all’accertamento delle singole sottofatturazioni di vendita».
Si tratta però di una argomentazione non condivisibile perché sembra risolversi,
in sostanza, in una interpretazione abrogatrice della norma procedurale di garanzia. Se, invero, si devono aspettare i risultati complessivi dell’accertamento
per valutare se vi sia stato o meno il superamento della soglia di punibilità, allora la conseguenza sarebbe che per i reati tributari che prevedono una tale soglia
non dovrebbero mai essere adottate le modalità previste dall’art. 220 disp. att.
durante gli accertamenti ed i processi verbali di constatazione redatti dalla
guardia di finanza o dai funzionari degli uffici finanziari: il che non pare possa
ammettersi, perché porterebbe in definitiva ad una elusione degli obblighi di
legge, con lesione del diritto di difesa e dei principi del giusto processo. Inoltre,
le dette modalità debbono essere seguite quando emergono indizi di reato e non
solo quando emerga la prova di un reato, il che significa che per rendere operante la norma di garanzia non occorre che sia stata già raggiunta la prova del
superamento della soglia di punibilità, ma è sufficiente che vi sia una concreta
probabilità che la soglia possa essere superata. In ogni caso, nella specie, la corte d’appello non ha nemmeno valutato se dopo le prime indagini (audizioni degli acquirenti degli immobili, acquisizione della documentazione concernente la
compravendita) fossero emersi indizi di reato che imponevano il ricorso alle disposizioni del codice di procedura penale, ed anzi non ha nemmeno esaminato
l’eccezione della difesa secondo cui nel verbale di constatazione si affermava
che già in data 31.1.2009 erano emerse ipotesi penalmente rilevanti.
Nemmeno è condivisibile l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui il verbale di constatazione «ben poteva sostituire “in blocco” l’istruttoria
dibattimentale, una volta che le parti non hanno chiesto alcun ulteriore approfondimento istruttorio»; e ciò perché «di fronte alla testimonianza de relato resa dal m.11o circa le dichiarazioni rilasciate dagli stessi acquirenti gli immobili
oggetto della sottofatturazione da cui risultava appunto tale circostanza, era
onere della difesa richiederne il loro esame dibattimentale ai sensi dell’art.
195, c. 1, c.p.p., il che non è stato». Sennonché, in realtà, era onere dell’accusa
presentare elementi di prova utilizzabili. Del resto, proprio l’art. 194, comma 4,
cod. proc. pen. dispone che «Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non
possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le
modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettere a) e b)». Tale divieto
opera anche quando le dichiarazioni siano state assunte non correttamente e,
comunque, non osservando le modalità di cui alle dette disposizioni (Corte costituzionale, sentenza n. 305 del 2008).
Non essendo il ricorso manifestamente infondato ed essendosi quindi ritualmente instaurato il rapporto processuale di impugnazione, questa Corte può
e deve rilevare e dichiarare la causa di estinzione del reato sopravvenuta dopo
l’emissione della sentenza impugnata.
D’altra parte, le considerazioni dianzi svolte non sono tali da far ritenere

-6 che dagli atti emerga in modo evidente una causa di proscioglimento nel merito.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata senza rinvio perché il
residuo reato si è estinto per prescrizione.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il residuo reato è estinto
per prescrizione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 18
novembre 2014.

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