Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49180 del 18/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 49180 Anno 2015
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 18/11/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Colucci Vito, n. a Ceglie
Messapico il 16.09.1988, rappresentato e assistito dall’avv. Vito
Donato Epifani e dall’avv. Luca Oronzo Marzio, di fiducia, avverso la
sentenza della Corte d’appello di Lecce, seconda sezione penale, n.
79/2009, in data 02.12.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
preso atto della ritualità delle notifiche e degli avvisi;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Massimo
Galli che ha concluso chiedendo una declaratoria di inammissibilità
del ricorso;
sentita la discussione della difesa del ricorrente, avv. Vito Donato
Epifani, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 02.12.2013, la Corte d’appello di Lecce
confermava nei confronti di Colucci Vito la pronuncia di primo grado
resa, in esito a giudizio abbreviato incondizionato, dal giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Brindisi in data 10.06.2008,

mesi quattro di reclusione ed euro 2.000,00 di multa, con il beneficio
della sospensione condizionale, per i reati di rapina aggravata in
concorso (capo A) e di tentata rapina aggravata in concorso (capo B).
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di Colucci Vito, viene
proposto ricorso per cassazione, lamentandosi:
– violazione dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen., per inosservanza
dell’art. 195, comma 7 cod. proc. pen. (primo motivo);
-violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per manifesta
illogicità e/o contraddittorietà e/o mancanza della motivazione
(secondo motivo).
2.1. In relazione al primo motivo, si evidenzia come la Corte
territoriale, per giungere all’affermazione della penale responsabilità
dell’imputato, abbia valorizzato la dichiarazione de relato resa dal
notaio Del Genio in merito a quanto dallo stesso appreso da persona
mai identificata. La Corte, in particolare, ha disatteso il principio
fissato in sede cautelare dal Tribunale del riesame di Lecce, secondo
cui “… le indicazioni fornite dal Del Genio, circa le caratteristiche del
giovane che gli ha fornito le informazioni sul tipo e sulla targa della
vettura usata dai rapinatori (l’apparente età, il buon abbigliamento, il
corretto eloquio in italiano), sono così generiche da potere essere
riferite ad un numero indeterminato e comunque consistente di
soggetti maschili e dunque da rendere alquanto improbabile, se non
da escludere, la possibilità di una reale identificazione di quel
giovane. In altre parole, trattasi di un caso di testimonianza di chi …
non è in grado di indicare la persona … da cui ha appreso la notizia
dei fatti …, che, per effetto … della previsione normativa contenuta
nel comma 1 bis dell’art. 273 cod. proc. pen., comporta
l’inutilizzabilità di quel dato anche nella fase cautelare”.
Per superare il principio in parola, la Corte territoriale ha invocato una

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con la quale il succitato era stato condannato alla pena di anni due,

- non condivisibile – giurisprudenza secondo la quale, in caso di
giudizio abbreviato, la norma di cui all’art. 195, comma 7 cod. proc.
pen., opererebbe soltanto nell’ipotesi in cui l’imputato abbia
subordinato l’accesso al rito ad un’integrazione probatoria costituita
dall’escussione del teste indiretto e se, nonostante l’audizione dello
stesso, sia rimasta non individuata la fonte dell’informazione:
principio per nulla condivisibile, in quanto l’art. 195, comma 7 cod.

proc. pen. sanziona i casi in cui sussiste l’impossibilità oggettiva di
individuazione della fonte diretta e, nella fattispecie, una tale
impossibilità si presentava – in maniera chiarissima – come concreta,
oggettiva ed insuperabile.
2.2. In relazione al secondo motivo, il ricorrente, dopo aver premesso
che l’illogicità della motivazione nonchè la contraddittorietà della
stessa, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono essere
evidenti, censura la sentenza impugnata la cui motivazione è
caratterizzata da numerose argomentazioni apodittiche e da ripetuti
salti logici. In particolare, si contestano le valutazioni operate con
riferimento a Cassetta Tiziana (vittima della tentata rapina aggravata
di cui al capo B) che, secondo la Corte territoriale “… non può non
aver ben impresso nella mente l’uomo che l’ha aggredita e che,
secondo le sue dichiarazioni, impugnava un coltello ed indossava una
calzamaglia a rete con cucitura centrale … ; … inoltre, è assai
comprensibile, e prima di ogni cosa logico, che l’attenzione della
donna, in quel lasso di tempo, sia stata catturata dal volto del
malvivente e dal coltello, i due elementi per lei rilevanti nella
concitazione del momento”: illogicità del ragionamento che è resa
manifesta da due dati oggettivi, rappresentati dall’orario
dell’avvenuta aggressione (ore 17,00 del 03.01.2008) e dal
travisamento del volto dell’aggressore (circostanza che rendeva
infotografabile l’effigie del volto e del capo dell’individuo e che invece
la teste descrive come con capelli corti scuri, occhi scuri e carnagione
scura).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, almeno in parte contenente censure in fatto non
consentite in sede di legittimità, è manifestamente infondato e, come

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tale, risulta inammissibile.
2. Va osservato in premessa come, secondo il costante insegnamento
di questa Corte Suprema (per tutte, Sez. U, sent. n. 6402 del
30/04/1997, dep. 02/07/1997, Dessimone e altri), l’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, perché il sindacato demandato alla Suprema Corte è
limitato a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo

sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare
l’intrinseca adeguatezza e congruità delle argomentazioni di cui il
giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento.
Dai poteri del giudice di legittimità esula quindi ogni “rilettura” degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito. In
particolare, non può integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali perché, appunto, la Suprema
Corte non può sovrapporre una propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma invece può, e
deve, saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua
cognizione. Ciò, in quanto nel momento del controllo della
motivazione la Suprema Corte non deve stabilire se la decisione di
merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ne’ deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se la
giustificazione contenuta nella sentenza impugnata sia compatibile
con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento (Sez. 4, sent. n. 4842 del 02/12/2003, dep.
06/02/2004). Né la novella codicistica introdotta con la I. n. 46 del
2006, ammettendo l’indagine extratestuale per la rilevazione
dell’illogicità manifesta e della contraddittorietà della motivazione, ha
modificato la natura del sindacato del giudice di legittimità, il cui
controllo rimane limitato alla struttura del discorso giustificativo del
provvedimento impugnato e non può comportare una diversa lettura
del materiale probatorio, anche se astrattamente plausibile, sicché
anche dopo la legge 46/2006 occorre invece che gli elementi
probatori indicati in ricorso (ignorati, inesistenti o travisati, non solo
diversamente valutati) siano per sé decisivi in quanto dotati di una
intrinseca forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento del

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giudice del merito (Sez. 3, sent. n. 37006 del 27/09/2006, dep.
09/11/2006, Piras, Rv. 235508): decisività che deve essere oggetto
di specifica e non assertiva deduzione della parte, in esito al
confronto con tutta la motivazione della decisione impugnata, pena
l’immediata ‘contaminazione’ del rilievo in termini di preclusa censura
di merito. Il controllo di logicità della motivazione che sorregge la
decisione di merito può, in secondo luogo, essere eseguito solo, come

rilevano in questo giudizio: la assenza di motivazione (anche nella
forma della mera apparenza grafica), la ‘manifesta’ illogicità e la
contraddittorietà, così come previsto dalla lettera e) del primo comma
dell’art. 606 cod. proc. pen.. Questo significa, ad esempio, che la
mera ‘illogicità’ della motivazione è irrilevante, perché
strutturalmente diversa dalla ‘manifesta illogicità’, vizio distinto dal
precedente e unico rilevante. Infatti, l’illogicità della motivazione
censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è
solo quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile
“ictu ocu/i” (Sez. U, sent. n. 47289 del 24/09/2003, dep. 10/12/2003,
Petrella). Altrettanto irrilevanti, perché diverse da quelle
tassativamente e solo previste dalla lettera e) sono, a titolo
esemplificativo, le censure che attribuiscono alla motivazione di
essere incongrua, non plausibile, non persuasiva, non esaustiva,
insufficiente o insoddisfacente. Si tratta infatti di ‘difetti’ e vizi che,
ancorché in ipotesi effettivamente presenti nella motivazione del
provvedimento impugnato, sono irrilevanti nel giudizio di legittimità,
che non possono pertanto efficacemente introdurre, perché propri
dell’apprezzamento di stretto merito.
Alla luce di tali principi va esaminato l’odierno ricorso.
3. Manifestamente infondato è il primo motivo di doglianza.
La censura, che reitera pedissequamente un motivo di appello, è
inammissibile.
3.1. Invero, per consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte,
è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si
risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello
e motivatamente disattesi dal giudice di merito (v. pagg. 9-14 della
sentenza d’appello), dovendosi gli stessi considerare non specifici ma
soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di

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prima accennato, in riferimento ai tassativi vizi che esclusivamente

critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (v., tra le
tante, Sez. 5, sent. n. 25559 del 15/06/2012, Pierantoni; Sez. 6,
sent. n. 22445 del 08/05/2009, P.M. in proc. Candita, Rv. 244181;
Sez. 5, sent. n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708).
In altri termini, è del tutto evidente che, a fronte di una sentenza di
appello che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la
pedissequa riproduzione di essi come motivi dì ricorso per cassazione

non può essere considerata come critica argomentata rispetto a
quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i
motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581 cod.
proc. pen., comma 1, lett. c), che impone la esposizione delle ragioni
di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta (cfr., Sez. 6, sent. n.
20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838).
3.2. Nello specifico, la sentenza impugnata ha applicato in modo
puntuale ed ampiamente condivisibile un consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo cui, in tema di testimonianza indiretta,
l’inutilizzabilità della deposizione di chi si rifiuta o non è in grado di
indicare la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti
oggetto dell’esame (art. 195, comma 7, cod. proc. pen.) opera, in
caso di giudizio abbreviato, solo nell’ipotesi in cui la parte abbia
subordinato l’accesso al rito ad un’integrazione probatoria costituita
dall’assunzione del teste indiretto e se, nonostante l’audizione, sia
rimasta non individuata la fonte dell’informazione (Sez. 3, sent. n.
11100 del 29/01/2008, dep. 12/03/2008, G., Rv. 239080).
Si legge nel precedente giurisprudenziale testè citato come “…
secondo la dottrina, tale inutilizzabilita’ opera solo dopo l’assunzione
della testimonianza indiretta: questa infatti e’ ammissibile anche se
viene proposta sin dall’origine come tale. Di conseguenza, il giudice
non potrebbe respingere la richiesta di ammissione di una
testimonianza indiretta solo perche’ davanti alla polizia la persona
informata dei fatti non ha voluto o non e’ stata in grado di indicare il
nome del soggetto dal quale aveva appreso l’informazione oggetto
della prova. Le parti quindi hanno diritto ad ottenere l’ammissione
della testimonianza indiretta anche se esse stesse non indicano la
fonte dell’informazione. Solo quando, anche dopo l’escussione
dibattimentale, la fonte dovesse risultare ancora non individuata
diverrebbe applicabile la regola di cui all’art. 195 cod. proc. pen.,

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comma 7. In definitiva, siffatta inutilizzabilita’, ancorche’ logicamente
riconducibile ad un momento anteriore, viene diagnosticata
successivamente ed opera al momento della valutazione della prova.
Da cio’ consegue che nel giudizio abbreviato tale inutilizzabilita’
diventa operante solo se la parte ha condizionato la scelta del rito
all’audizione del testimone indiretto e se, nonostante l’escussione, sia
rimasta non individuata la fonte dell’informazione. Inoltre,

l’espressione non e’ in grado di indicare la persona o la fonte
contenuta nella norma viene interpretata da questa Corte nel senso
che l’inutilizzabilita’ non operi allorche’ il testimone indiretto abbia
fatto quanto poteva per fare identificare la fonte diretta, ma questa
sia rimasta ignota (Sez. 5, seni-. 03/05/1996, Nocchiero) …”.
3.3. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come nella fattispecie,
non ricorra la dedotta inutilizzabilità innanzitutto perchè l’imputato come riconosciuto dai giudici di merito – non ha chiesto il rito
abbreviato subordinatamente all’assunzione del teste Del Genio, le cui
dichiarazioni avrebbero anche potuto fornire utili indicazioni (o altri
contributi probatori) per l’individuazione del giovane che ebbe a
riferire allo stesso di aver visto i due rapinatori fuggire sulla descritta
autovettura.
3.4. Ma non solo. Anche a voler prescindere da tale decisivo
elemento, facendo applicazione dell’insegnamento della medesima
giurisprudenza di legittimità, va riaffermata in questa sede
l’insostenibilità nel nostro ordinamento di un principio che, in
contrasto con quello del libero convincimento del giudice, preveda un
meccanismo di preclusione di utilizzabilità della testimonianza
indiretta, nonostante l’accertata impossibilità di esame del teste
diretto, per sua irreperibilità o, a maggior ragione, per impossibilità
della sua identificazione, non riferibile a rifiuto o reticenza del teste
indiretto: nè può ritenersi che la testimonianza indiretta sarebbe,
comunque, inutilizzabile per il divieto contenuto nell’art. 195, comma
7, cod. proc. pen., qualora il teste indiretto non sia in grado di
indicare la persona da cui abbia appreso la notizia dei fatti illeciti,
poiché tale “indicazione” non va, invero, intesa come informazione
completa sui dati anagrafici e sull’indirizzo della persona, dalla quale
la notizia proviene, bensì come dato oggettivo, in forza del quale
risulti indubitabile la sua reale esistenza quale soggetto costituente

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fonte originaria e diretta della notizia (Sez. 3, sent. n. 8674 del
13/06/1997, dep. 27/09/1997, Cannavò e altri, Rv. 209355).
4. Manifestamente infondato è il secondo motivo di doglianza.
Ferme le valutazioni operate nel precedente paragrafo 2. del
considerato in diritto, evidenzia il Collegio che, rilevare il vizio di
motivazione per erronea valutazione delle prove, significa prospettare
una diversa analisi del merito della causa e tanto è inammissibile in

sede di legittimità: in tale modo il ricorrente contrasterebbe infatti il
risultato dell’attività svolta dal giudice di appello in ordine alla
valutazione ed all’apprezzamento dei fatti e delle risultanze
probatorie, attività il cui espletamento costituisce prerogativa del
giudice del merito. Spetta infatti solo a quest’ultimo individuare la
fonte del proprio convincimento e valutare le prove, controllarne
l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar
prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova.
Come si è già evidenziato, il sindacato di legittimità è limitato, invece,
al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esauriente
motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e
l’iter argomentativo seguito nel provvedimento impugnato.
Le doglianze avanzate nel presente motivo di ricorso avverso la
decisione di merito non meritano dunque accoglimento, poiché le
stesse si risolvono sostanzialmente nella richiesta di una lettura delle
risultanze probatorie diversa da quella data dal giudice del gravame e
in un complessivo riesame di merito del materiale probatorio,
inammissibile in sede di legittimità. Il tutto è perfettamente in linea
con la costante giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui la
deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione
della sentenza impugnata non conferisce al giudice di legittimità il
potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale
sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il
profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale,
delle argomentazioni svolte dal giudice di merito; risulta infatti del
tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per
la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito
attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa.
Si ricordi che la Suprema Corte, a più riprese, ha confermato tale

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principio stabilendo che, le censure concernenti vizi di motivazione,
per meritare accoglimento, devono indicare quali siano i vizi logici che
rendono del tutto irrazionale il ragionamento decisorio e non possono
risolversi in una lettura delle risultanze processuali diversa da quella
operata dal giudice di merito.
Il preteso vizio di motivazione, può legittimamente dirsi sussistente
solo quando, nel ragionamento del giudice di merito sia rinvenibile

della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero
quando esiste insanabile contrasto tra

le argomentazioni

complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione
del procedimento logico giuridico posto a base della decisione.
Nel caso in questione, le valutazioni che il giudice di appello ha
operato delle risultanze istruttorie risultano congruamente motivate
in relazione a tutte le evidenze processuali emerse e sono immuni da
contraddizioni e vizi logici: dette valutazioni, in sostanza, si risolvono
in una opzione interpretativa del materiale probatorio che si presenta
del tutto ragionevole e, come tale, assolutamente incensurabile in
questa sede.
5. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si
determina equitativamente in euro 1.000,00

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 18.11.2015

traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi

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