Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49178 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 49178 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 17/11/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto personalmente da Quirci Davide, n. a Milano il
27.03.1965, rappresentato e assistito dall’avv. Gennaro Maria
Amoruso, d’ufficio, avverso la sentenza della Corte d’appello di
Milano, quarta sezione penale, n. 2404/2011, in data 11.12.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
preso atto della ritualità delle notifiche e degli avvisi;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Ciro
Angelillis che ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1

1. Con sentenza in data 11.12.2013, la Corte d’appello di Milano
confermava, nei confronti di Quirci Davide, la pronuncia di primo
grado emessa in data 12.07.2010 dal Tribunale di Milano, in
composizione monocratica, che aveva condannato lo stesso alla pena
di mesi quattro di reclusione ed euro 400,00 di multa per il reato di
truffa.
2.

Avverso detta sentenza, Quirci Davide propone ricorso per

cassazione lamentando la violazione dell’art. 606 lett. c) cod. proc.
pen. per motivazione meramente apparente.
Evidenzia il ricorrente come in sede di appello avesse esposto
motivate censure nei confronti della sentenza di primo grado che,
tuttavia, venivano disattese dalla Corte d’appello con argomentazioni
di stile contravvenendo al proprio obbligo motivazionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è generico e manifestamente infondato e, come tale,
risulta inammissibile.
2. Con motivazione logica e congrua – e quindi immune dai denunciati
vizi di legittimità – la Corte territoriale dà conto degli elementi che
l’hanno portata ad affermare la penale responsabilità dell’imputato in
ordine al reato a lui ascritto.
2.1. Va ricordato, in proposito, che il controllo del giudice di
legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale
della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo
logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di
nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le
varie, v. Sez. 3, sent. n. 12110 del 19/03/2009 e n. 23528 del
06/06/2006). Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità
della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile,
deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile
ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere
limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le
minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni
difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano

2

spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cfr.,
Sez. 3, sent. n. 35397 del 20/06/2007; Sez. U, sent. n. 24 del
24/11/1999, Spina, Rv. 214794). Più di recente, è stato ribadito
come ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 cod. proc. pen., comma
1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene ne’
alla ricostruzione dei fatti ne’ all’apprezzamento del giudice di merito,
ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda

ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b)
l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o dì illogicità
evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine
giustificativo del provvedimento Ssez. 2, sent. n. 21644 del
13/02/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).
2.2. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative
della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte
circoscritto. Non c’è, in altri termini, la possibilità di andare a
verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali.
E ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 cod. proc. pen.,
comma 1, lett. e) come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46. Il
giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione
dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove
acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al
giudice del merito. Il ricorrente non può limitarsi – come nella
fattispecie – a fornire una versione alternativa del fatto senza indicare
specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato
dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale
illogicità vada desunta. Il vizio della manifesta illogicità della
motivazione deve essere evincibile dal testo del provvedimento
impugnato. Com’è stato rilevato nella citata sentenza n. 21644/2013,
di questa Corte la sentenza deve essere logica “rispetto a sè stessa”,
cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso, la novellata
previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre
che dal testo del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del
processo”, purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non
ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane
giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo
giudice del fatto.

a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle

2.3. Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione
anche attraverso gli “atti del processo” costituisce invero il
riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di
legittimità il cosiddetto “travisamento della prova” che è quel vizio in
forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una
(inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove),
prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per

senza travisamenti, all’interno della decisione.
In altri termini, vi sarà stato “travisamento della prova”, qualora il
giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che
non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realtà
non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da
quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non
fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell’imputato). Oppure
dovrà essere valutato se c’erano altri elementi di prova
inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma – occorrerà
ancora ribadirlo – non spetta comunque a questa Corte Suprema
“rivalutare” il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato
apprezzato dal giudice di merito. In tal caso, però, al fine di
consentire di verificare la correttezza della motivazione, va indicato
specificamente nel ricorso per cassazione quale sia l’atto che contiene
la prova travisata o omessa. Il mezzo di prova che si assume
travisato od omesso deve inoltre avere carattere di decisività.
Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di legittimità una
rivalutazione complessiva delle prove che, come più volte detto,
sconfinerebbe nel merito.
2.4. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta
questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al
provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non
apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello
di Milano alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente
chiede sostanzialmente una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri
di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto
modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa

verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato,

Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto: da qui
l’inammissibilità del ricorso.
3. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 17.11.2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Dott. Andreq Pellegrino

Dott.ssa Matilde Cammino

,

determina equitativamente in euro 1.000,00

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