Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49177 del 17/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 49177 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 17/11/2015

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di Mele Alfonso, n. a Quarto (NA) il
16.10.1968, rappresentato e assistito dall’avv. Diego Di Bonito, di
fiducia, avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli, sesta
sezione penale, n. 4017/2013, in data 18.11.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
preso atto della ritualità delle notifiche e degli avvisi;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale dott. Ciro
Angelillis che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della
sentenza impugnata per prescrizione con rideterminazione della pena
e rigetto nel resto;
sentita la discussione del difensore del ricorrente, avv. Diego Di
Bonito, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 18.11.2013, la Corte d’appello di Napoli, in
riforma della sentenza di primo grado pronunciata in data 24.11.2011
dal Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, dichiarava non
doversi procedere nei confronti di Mele Alfonso in relazione al reato di

cui al capo A) per essere lo stesso estinto per prescrizione;
rideterminava la pena nei confronti del medesimo in relazione al capo
B) d’imputazione (delitti di cui agli artt. 632, 633, 639 bis cod. pen.:
reati accertati in Pozzuoli fino al 3.11.2003), nella misura di mesi tre
di reclusione ed euro 120,00 di multa.
Dalle risultanze processuali era emerso che l’imputato, in data
11.09.2003, nel mentre erano in corso lavori di tramezzatura interna,
veniva trovato all’interno dell’immobile sito in Pozzuoli via Reginelle,
di proprietà dello IACP ed assegnato ad un’associazione culturale. In
data 03.11.2003, gli agenti facevano un nuovo sopralluogo e
trovavano l’immobile completato ed occupato dal nucleo familiare
dell’imputato, immobile che veniva lasciato in uso agli occupanti.
2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di Mele Alfonso, viene
proposto ricorso per cassazione, lamentandosi:
-violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione
all’art. 632 cod. pen. (primo motivo);
– violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione
all’art. 157 cod. pen. (secondo motivo).
2.1. In relazione al primo motivo, si contesta la sentenza impugnata
per illogicità e contraddittorietà della motivazione, non potendosi
ravvisare nella condotta in contestazione un’apprezzabile lesione del
bene giuridico protetto dalla norma ovvero l’integrità dell’altrui
proprietà immobiliare e del possesso contro ogni arbitraria
modificazione dello stato dei luoghi che possa renderne incerta la
posizione giuridica.
2.2. In relazione al secondo motivo, si contesta la sentenza
impugnata che non ha riconosciuto la maturazione del termine di
prescrizione in relazione al capo B), pur in presenza di una
contestazione fino al 03.11.2003 e non essendo emersa
dall’istruttoria la prova della permanenza della condotta di invasione

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successivamente a tale data.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La decisività ed assorbenza del secondo motivo di doglianza in
merito alla maturata prescrizione dei reati in contestazione impone
raccoglimento del ricorso.
La contestazione dei fatti di reato, di natura sicuramente

permanente con riferimento al delitto di cui agli artt. 633, 639 bis
cod. pen. di cui al capo B), quali accertati “fino al 3.11.2003”, deve
intendersi chiusa alla data indicata e dalla stessa devono iniziare a
decorrere i termini di prescrizione.
3. Invero, il risalente contrasto profilatosi nella giurisprudenza di
legittimità in ordine al quesito se, qualora nell’atto originario di
imputazione sia stata indicata soltanto la data dell’accertamento di un
reato permanente, il giudice possa in ogni caso tener conto, ai fini
dell’applicazione di una causa estintiva del reato, del protrarsi della
permanenza nel periodo posteriore a quella data, ovvero se a tal fine
sia necessario procedere ad una contestazione suppletiva, risulta da
tempo essere stato risolto (Sez. U, sent. n. 11930 del 11/11/1994,
dep. 26/11/1994, PM in proc. Polizzi, Rv. 199171).
3.1. Si è al riguardo affermato che, qualora il capo di imputazione
non menzioni la data della cessazione della permanenza del reato, ma
soltanto la data di accertamento, ovvero quella della denunzia o
dell’inizio della permanenza, il giudice del dibattimento debba
accertare e, in caso di esito positivo dell’indagine, valorizzare ad ogni
effetto penale, il perdurare della condotta criminosa nel periodo
compreso fra tali ultime date e quella della decisione di primo grado.
Si è, infatti, ritenuto che, nell’ipotesi considerata, la contestazione di
un reato permanente, la cui consumazione tende a durare, è di per sé
aperta al successivo protrarsi della condotta criminosa, il cui ulteriore
sviluppo temporale è, pertanto, compreso nell’originaria formulazione
del capo di accusa (cfr., Sez. 3, sent. n. 630 del 12/05/1993, Sotira,
Rv. 195021).
Ne deriva che, il quesito in ordine alla presenza di una contestazione
“aperta” ovvero “chiusa”, deve essere risolto sulla base
dell’interpretazione del singolo capo di accusa avendo, inoltre,

2.

riguardo all’interferenza fra la struttura del reato permanente ed il
principio della correlazione fra accusa e sentenza, enunciato negli
artt. 516 – 522 cod. proc. pen..
Secondo le citate norme, il giudice del dibattimento può decidere
soltanto su di un fatto che sia stato portato a conoscenza
dell’imputato nei modi di legge, vale a dire mediante il decreto che
dispone il giudizio, il decreto di citazione a giudizio, ovvero mediante

dibattimento, dall’art. 516 cod. proc. pen. per il caso il cui il fatto
risulti diverso da come originariamente contestato, dall’art. 517 cod.
proc. pen. per l’ipotesi in cui emerga un reato connesso o una nuova
circostanza aggravante ed infine dall’art. 518 cod. proc. pen. per il
caso in cui risulti un fatto nuovo. Ove, poi, il fatto risulti diverso da
quello contestato nei modi anzidetti deve essere disposta, con
ordinanza, a norma dell’art. 521, comma 2 cod. proc. pen., la
trasmissione degli atti al pubblico ministero e dall’inosservanza di
queste regole consegue, ex art. 522 cod. proc. pen., la nullità della
sentenza.
3.2. Sull’applicazione di tali norme, qualora all’imputato sia stato
contestato un reato permanente, non può non influire la particolare
struttura di questa ipotesi criminosa, caratterizzata dal fatto che,
secondo la descrizione della norma incriminatrice, il processo
consumativo non si esaurisce “uno actu”, ma è invece suscettibile di
protrarsi nel tempo, per la persistenza dell’offesa al bene giuridico
tutelato, quale effetto di una condotta volontaria del soggetto attivo,
perdurante anche dopo l’avverarsi degli elementi costitutivi del reato.
Invero, nell’ipotesi in cui il capo d’imputazione si limiti ad indicare
soltanto la data iniziale del reato o quella della denunzia, ma non
anche la data di cessazione della permanenza (contestazione
“aperta”), la stessa idoneità del reato in esame a durare nel tempo
comporta che l’originaria contestazione si estenda all’intero sviluppo
della fattispecie criminosa e che, pertanto, l’imputato sia chiamato a
difendersi, sin dall’origine, non soltanto in ordine alla parte già
realizzatasi di tale fattispecie, ma anche con riguardo a quella
successiva, perdurante sino alla cessazione della condotta o
dell’offesa e comunque non oltre la sentenza di primo grado. In tal
caso, pertanto, il giudice del dibattimento deve valorizzare, ai fini

,

gli ulteriori atti di contestazione, consentiti, nel corso del

della condanna o comunque ad ogni effetto penale, anche la
persistenza della condotta, emersa dall’istruttoria dibattimentale,
dopo quelle date, senza che sia necessaria un’ulteriore specifica
contestazione (cfr., da ultimo, Sez. 3, sent. n. 68 del 25/11/2014,
dep. 07/01/2015, Patti, Rv. 261792, secondo cui, nel caso di
contestazione di un reato effettuata nella forma cosiddetta “aperta”,
qualora in sede di giudizio di legittimità debba farsi dipendere un

qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione della permanenza,
è necessario verificare in concreto se, nella motivazione del
provvedimento impugnato, il giudice della cognizione abbia o meno
ritenuto provato il protrarsi della condotta criminosa fino alla data
della sentenza di primo grado).
3.3. A diversa conclusione deve invece pervenirsi nel caso in cui l’atto
di accusa indichi, oltre all’eventuale data iniziale, anche quella di
interruzione della permanenza, ancorchè operando riferimento alla
data di accertamento del fatto ed implicita – ma univoca – cessazione
della condotta a quella data. In tal caso, essendo stata contestata
una durata della permanenza precisamente individuata nel tempo,
quanto meno nel suo momento terminale, il giudice può tener conto
del successivo protrarsi dell’offesa soltanto qualora questo sia stato
oggetto di un’ulteriore contestazione a cura del pubblico ministero.
Infatti, la posticipazione della data finale della permanenza incide
sull’individuazione del fatto, così come inizialmente contestato,
comportandone una diversità, sotto il profilo temporale, certamente
non secondaria o accessoria, in quanto essa influisce sulla gravità del
reato e sulla misura della pena e può inoltre condizionare l’operatività
di eventuali cause estintive.
Ne consegue che, nell’ipotesi da ultimo considerata, il protrarsi della
permanenza oltre la data anzidetta, deve essere contestato
all’imputato a norma dell’art. 516 cod. proc. pen., che regola appunto
la modifica della contestazione per fatto diverso.
3.4. Qualora, poi, l’originario capo d’accusa indichi soltanto la data in
cui il reato sia stato accertato, è necessario appurare, attraverso
l’interpretazione di detto capo, considerato nel suo complesso, se
l’accertamento riguardi una fattispecie concreta, la quale, così come
descritta, sia già esaurita prima o contestualmente all’accertamento
medesimo, ovvero una condotta ancora in atto o comunque

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protrattasi anche dopo l’accertamento. In quest’ultimo caso, vale
quanto già rilevato per l’ipotesi in cui il capo d’imputazione si limiti a
menzionare la sola data iniziale della permanenza. Invero, poiché tale
atto ascrive all’imputato una condotta che, lungi dall’essersi già
esaurita, è invece ancora perdurante alla data in esso indicata, deve
ritenersi che la contestazione comprenda anche l’ulteriore eventuale
protrazione della permanenza, la quale pertanto può essere

valorizzata dal giudice del dibattimento ad ogni effetto penale, senza
che sia richiesta a tal fine un’ulteriore contestazione.
4. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come, nella fattispecie, la
presenza di una contestazione chiusa (e mai modificata) che “limita”
temporalmente le condotte sino al 3.11.2003, non lasci alcuno spazio
all’accertamento di un’eventuale protrazione delle stesse oltre detta
data: questo vale certamente per il delitto permanente di cui agli artt.
633, 639 bis cod. pen. ma , ancor di più, per il delitto istantaneo (ma
che, in taluni casi, può anche assumere carattere permanente qualora
necessiti, perché perdurino gli effetti della modifica, un’attività
continua o ininterrotta dell’agente: cfr., Sez. 2, sent. n. 37671 del
20/05/2014, dep. 15/09/2014, Buonsante, Rv. 260783) di cui all’art.
632 cod. pen., la cui consumazione non può che coincidere, al più,
con la data – sempre del 3.11.2003 – dell’accertamento.
5. I delitti di cui al capo B), pertanto, risultano entrambi prescritti alla
data del 3.11.2012, antecedente alla pronuncia della sentenza
d’appello: invero, al termine ordinario di prescrizione (decorrente,
come detto, per entrambi dal 3.11.2003) di anni sette e mesi sei
considerati gli eventi interruttivi nel massimo temporale consentito,
va aggiunto l’ulteriore termine di anni uno e mesi sei di sospensione
del dibattimento di primo grado per astensione dalle udienze da parte
del difensore: da qui l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata per essere i reati ascritti al ricorrente Mele Alfonso estinti
per intervenuta prescrizione

PQM

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati ascritti
al ricorrente Mele Alfonso estinti per intervenuta prescrizione.
Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 17.11.2015

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Il Consigliere estensore

Il Presidente
e

Dott.ssa Matilde Cammino

Dott. Andrea Pellegrino

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