Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4916 del 13/11/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 4916 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Agostini Augusto, n. a Urbania il 13/10/1966;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona in data 15/10/2013;

udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale M. Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv. E. Alessandria in sostituzione del Difensore di
fiducia, Avv. A. Paoli, che si è riportato ai motivi;

RITENUTO IN FATTO

1. Agostini Augusto ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello
di Ancona di conferma della sentenza del Tribunale di Ancona di condanna per i
reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo a) e
146 e 181, comma 1 bis, del d. Igs. n. 42 del 2004 (capo b) in relazione alla
realizzazione di un piazzale mediante sbancamento a monte e riporto a valle del
terreno in area sottoposta a vincolo paesaggistico.

Data Udienza: 13/11/2014

2. Con un primo motivo lamenta l’inosservanza dell’art. 525 c.p.p. e la violazione
del principio di immutabilità del giudice, non avendo il nuovo giudice di primo
grado, subentrato all’originario dopo la dichiarazione di apertura del
dibattimento, rinnovato, come richiesto anche dalle Sezioni Unite della Corte di

3. Con un secondo motivo lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione della sentenza in relazione al reato di cui al capo a)
avendo la Corte semplicemente affermato che le opere della dimensione e
consistenza in esame finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli sono
assoggettate a titolo abilitativo edilizio; tanto più, avendo poi affermato che
l’opera era espressione di attività di coltivazione. Sotto tale profilo lamenta
l’omessa considerazione da parte della Corte dell’ordinanza del Comune di
Urbania secondo cui, per lo sbancamento, era necessaria una mera richiesta di
inizio di attività.

4.

Con un terzo motivo, deducendo mancanza, contraddittorietà, e manifesta

illogicità della motivazione, contesta la ritenuta propedeuticità dello sbancamento
rispetto all’annesso agricolo per il quale era stato richiesto permesso a costruire,
ma mai realizzato, non comprendendosi perché l’imputato avrebbe dovuto
realizzare un piazzale senza autorizzazione se propedeutico alla costruzione di

/

annesso agricolo per il quale invece veniva richiesto il titolo abilitativo. In realtà
lo sbancamento era preesistente rispetto alle opere oggetto della richiesta.

5. Con un quarto motivo, lamenta la mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione in relazione al reato paesaggistico di cui al capo b);
deduce che la Corte, pur avendo riconosciuto che il provvedimento
amministrativo qualifica l’opera in oggetto come espressione di attività di
coltivazione senza alterazione dello stato dei luoghi e compatibile con l’ambiente
ed il paesaggio (come confermato anche dal teste Storoni), con la conseguente
non necessità della previa autorizzazione, e, quindi, con la conseguente non
rilevanza penale del fatto ex art. 149, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 42 del
2004, è poi giunta ad opposte conclusioni valutando non correttamente come
irrilevanti, ai fini penali, le determinazioni della p.a.
Infine chiede l’annullamento della sentenza laddove viene ordinata la riduzione in
pristino di opere mai realizzate, non avendo la stessa ragion d’essere.

Uu

Cassazione, la dichiarazione di apertura del dibattimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Risulta dalla sentenza impugnata che l’intera istruzione dibattimentale si è svolta

dell’originario dopo un primo rinvio dall’udienza in cui si era disposta
l’ammissione delle prove, alle quali si è poi dato corso in assenza di richieste
diverse da parte della difesa. In altri termini, deve ritenersi incontroverso che il
secondo giudice è “entrato in scena” dopo il provvedimento di ammissione
adottato dal primo, provvedendo ad assumere le prove e, successivamente, a
deliberare .
Ora, come già chiarito da questa Corte, il principio di immutabilità del giudice
deve necessariamente essere letto alla luce del profilo funzionale del
dibattimento rispetto alla decisione posto che la ratio dello stesso è quella di
assicurare l’unitarietà e l’omogeneità del processo di formazione della volontà
decisoria del giudice, sulla base del materiale probatorio raccolto dal medesimo e
caduto sotto la sua diretta percezione (Sez. 6, n. 2928 del 21/10/2009, P.G. in
proc. Picozzi e altro, Rv. 245768); di qui, dunque, la conclusione, già affermata
in precedenza sempre da questa Corte (Sez.6, n. 43005 del 03/04/2012, P., Rv.
253789), secondo cui, nella specie, il principio di immutabilità è stato rispettato
posto che il giudice, assumendo la prova ammessa in precedenza da altro
giudice, ha contestualmente proceduto, implicitamente (in difetto di vincolanti
forme e modi previsti dall’ordinamento processuale) a nuova valutazione sulla
ammissione della stessa in assenza di alcuna opposizione da parte della Difesa,
che mai ha sollevato alcuna opposizione in proposito; ne consegue come
nessuna nullità si sia, nella specie, prodotta laddove il secondo giudice, che ha
escusso i testi nel contraddittorio delle parti, ha sicuramente partecipato al
dibattimento.
Né tale conclusione si pone in contrasto con quanto affermato da Sez. U, n. 2
del 15/01/1999, Iannasso, Rv.212395 : seppure è vero che tale decisione ha
affermato che, in caso di mutamento della persona del giudice monocratico o
della composizione del giudice collegiale, il principio di immutabilità impone la
rinnovazione integrale del dibattimento, con la ripetizione della relativa sequenza
procedimentale, è anche vero che nella fattispecie giudicata dalle Sezioni Unite il
mutamento del giudice era intervenuto quando già vi era stata l’assunzione di
alcune delle prove, sicché la rinnovazione formale del dibattimento in tutte le sue
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innanzi al giudice che ha emesso la sentenza, intervenuto in sostituzione

scansioni finiva con l’assumere una più pregnante valenza, proprio per garantire
la necessaria unitarietà del percorso formativo della valutazione decisoria.

7. Il secondo ed il quarto motivo, tra loro sostanzialmente collegati perché basati
sul medesimo presupposto, sono infondati.
Va ribadito che, come già più volte affermato da questa Corte, le opere di scavo,

agricoli, in quanto incidono sul tessuto urbanistico del territorio, sono
assoggettate a titolo abilitativo edilizio (cfr., Sez.3, n. 8064 del 2/12/2008, P.G.
in proc. Dominelli ed altro, Rv.242741). Nella specie, la sentenza ha
correttamente argomentato, traendone logica conferma dall’avvenuta
presentazione, con esito negativo, di richiesta di permesso a costruire un
manufatto, come si versi in presenza di lavori di scavo e di sbancamento
finalizzati ad edificazione di annesso agricolo e dunque, appunto, di manufatto, e
non, invece, ad attività di coltivazione (la cui natura non è stata neppure
specificata dal ricorrente), stante anche la conformazione del terreno.
Correttamente, inoltre, la sentenza impugnata ha richiamato, con riguardo alla
pretesa mancata considerazione dell’ordinanza comunale secondo cui, come
affermato in ricorso, sarebbe stata necessaria una mera richiesta di inizio
attività, il principio di autonomia delle valutazioni adottate in sede giurisdizionale
rispetto a quelle dell’autorità amministrativa con le sole previsioni derogatorie
tassativamente previste dalla legge (cfr., Sez.3, n. 22823 del 26/02/2003,
Barbieri, Rv. 225293). Va aggiunto che, proprio in ragione della finalizzazione
dello scavo ad usi diversi da quelli agricoli, deve ritenersi che la Corte abbia poi
correttamente escluso, con riguardo a quanto lamentato con il quarto motivo di
ricorso, l’applicabilità del disposto dell’art. 149, comma 1, lett. b), del d. Igs. n.
42 del 2004 che proprio l’essenziale presupposto di attività agro-silvo-pastorale
implica. Va considerato, per di più, che anche gli interventi inerenti l’esercizio
dell’attività agro-silvo-pastorale, laddove comportano un’alterazione permanente
dell’assetto territoriale, richiedono la preventiva autorizzazione di legge, atteso
che gli stessi assumono, in forza di ciò, la natura di opera civile (cfr., Sez. 3, n.
2950 del 12/11/2003, Pizzolato ed altro, Rv. 227395).

8. Il terzo motivo è inammissibile, risolvendosi, in realtà, con il sostenere che lo
sbancamento non sarebbe stato propedeutico rispetto alla edificazione del
manufatto, e al di là, quindi, della formale dedotta mancanza e contraddittorietà
della motivazione, nella pretesa di una diversa lettura dei dati fattuali non
illogicamente interpretati, in senso opposto, dalla Corte territoriale. Va infatti
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di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli

ribadito che resta esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606 lett. e) c.p.p., la
possibilità di una nuova valutazione delle risultanze da contrapporre a quella
effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure
anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti
o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (cfr., tra le

9.

Quanto all’ultima richiesta, la stessa formulazione di essa, laddove si

pretende, nella sostanza, l’inutilità dell’ordine di demolizione impartito con la
sentenza di primo grado a fronte di opere abusive in realtà mai realizzate, ne
denuncia la mancanza di interesse; ove infatti non si voglia ritenere, che, con
l’espressione “demolizione delle opere abusive”, il giudice abbia in realtà inteso
fare correttamente e legittimamente riferimento all’ordine di restituzione in
pristino dello stato dei luoghi, evidentemente più appropriato in relazione al
risultato di opere di sbancamento e riporto, la statuizione resa dal Tribunale
sarebbe, al più, inutiliter data e, dunque, proprio per l’assenza di opere edilizie
da demolire, non eseguibile in concreto, con conseguente mancanza di interesse
al ricorso sul punto. Ciò, va aggiunto, in conformità al costante indirizzo di
questa Corte secondo cui l’interesse a fondamento del ricorso deve atteggiarsi
concretamente nel senso di evitare che dal provvedimento del giudice derivi, o
possa derivare, la lesione di un diritto o di altro interesse giuridico
dell’impugnante, in rapporto ad un pregiudizio sia pur potenzialmente derivante
dalla pronuncia; sicché non è tale l’interesse diretto solamente alla pretesa
teorica dell’esattezza giuridica della decisione (cfr. Sez.1, n. 1711 del
15/03/1996, Cascio, Rv. 204605).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2014.

altre, Sez. 2, n. 7380 dell’ 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).

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