Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49120 del 07/10/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 49120 Anno 2015
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BUFFA DORIS N. IL 01/09/1972
avverso la sentenza n. 3926/2012 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 13/05/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/10/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ?a,09,_
che ha concluso per,F .
s.,
„ble

Data Udienza: 07/10/2015

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 13/05/2014 la Corte d’appello di Palermo, per quanto ancora
rileva, ha confermato l’affermazione di responsabilità di Doris Buffa, in relazione
ai reati di cui: 1) agli artt. 61, n. 2, 110 e 476 cod. pen., per avere, in data
anteriore o prossima al 07/02/2005, concorso nella falsificazione di un verbale di
visita medica collegiale della Commissione per l’accertamento degli stati di
invalidità (capo a); 2) agli artt. 110, 640, comma secondo, n. 1, cod. pen., per
avere concorso ad indurre in errore il funzionario prefettizio incaricato di
decreto di concessione delle provvidenze previdenziali,

conseguendone l’erogazione (capo c).
Sui punti oggetto di ricorso per cassazione, la Corte territoriale ha rilevato: 1)
che il reato di cui al capo a) non si era estinto per prescrizione, dal momento che
la falsità materiale aveva riguardato un atto pubblico destinato a fare fede sino a
querela di falso; 2) che non poteva essere riconosciuta la circostanza attenuante
di cui all’art. 62, n. 6, cod. pen. dal momento che l’INPS aveva proceduto al
recupero forzoso delle somme indebitamente erogate in favore dell’imputata.
2. Nell’interesse dell’imputata è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai
seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta violazione di legge, rilevando che il decreto
di citazione a giudizio, in seguito all’opposizione a decreto penale di condanna, e
il decreto di citazione relativo al giudizio di appello erano stati notificati presso
un domicilio che era stato eletto dal difensore, anziché dalla parte.
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione di legge, per non avere la Corte
territoriale rilevato l’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo a).
Sottolinea il ricorrente: a) che, né in fatto né attraverso il richiamo normativo,
era stata contestata la circostanza aggravante di cui all’art. 476, comma
secondo, cod. pen., che, coerentemente, non era stata ritenuta dal giudice di
primo grado; b) che, pertanto, la qualificazione operata dalla Corte territoriale
contrastava con il divieto della reformatio in peius, dal momento che la decisione
di primo grado non era stata impugnata dal P.M.
2.3. Con il terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in
relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art.
62, n. 6, cod. pen., dal momento che, a fronte della richiesta da parte dell’INPS,
l’imputata aveva provveduto alla restituzione delle somme indebitamente
percepite senza frapporre alcun ostacolo.

Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Anche a non voler considerare che l’elezione di domicilio è contenuta in atti„
ropposizione al decreto penale di condanna e l’appello) che recano una finale

emettere il

sottoscrizione dell’imputata indicante l’evidente volontà di fare proprio il
contenuto dei documenti, è assorbente il rilievo che il regime delle nullità riguardanti le notificazioni all’imputato – è diverso a seconda della gravità del
vizio e delle conseguenze che da esso sono derivate. Questa Corte, con riguardo
alla citazione in giudizio, ha già precisato (si veda, ad es., di recente, Sez. 2, n.
19290 del 15/01/2015, Hosu, Rv. 263829) che solo la mancanza della
notificazione da luogo ad una nullità assoluta e insanabile, rilevabile in ogni stato
e grado del procedimento. In tutti gli altri casi il vizio che inficia la notificazione

eccepita tempestivamente, proprio come avvenuto nel caso di specie.
È ben vero che si ritiene “mancante” non solo la notificazione totalmente
omessa, ma anche quella che, oltre a discostarsi dal modello legale, non
raggiunga comunque il suo scopo, perché alla nullità della notificazione si
accompagna la mancata conoscenza della citazione da parte dell’imputato. Ma è
stato altresì precisato che, quando, nonostante la sua idoneità in astratto, la
notificazione effettuata in una forma diversa da quella prescritta non ha
conseguito lo scopo di portare l’atto di citazione a conoscenza dell’imputato,
questi, se vuoi far valere la nullità assoluta stabilita dall’art. 179, comma 1, cod.
proc. pen., non può limitarsi a denunciare l’inosservanza della norma
processuale, ma deve anche rappresentare al giudice di non avere avuto
conoscenza dell’atto e deve eventualmente avvalorare l’affermazione con
elementi che la rendano credibile (si veda, anche, Sez. U, n. 119 del 27/10/2004
– dep. 07/01/2005, Palurnbo, Rv. 229541), laddove, nel caso di specie, appunto,
il ricorrente si limita a dedurre semplicemente la violazione di legge.
Tale conclusione si giustifica, in quanto, in un processo basato sull’iniziativa delle
parti, e dominato dal principio della concentrazione e della buona fede
processuale, è normale che anche l’esercizio dei poteri officiosi del giudice sia
mediato dall’attività delle parti, o perché dagli atti non risultano gli elementi
necessari per l’esercizio di quei poteri e solo le parti sono in grado di
rappresentarli al giudice e di procurarne l’acquisizione, o perché la parte può non
avere interesse a far risultare l’anomalia della notificazione (ancora Sez. 2, n.
19290 del 15/01/2015 cit.).
2. Il secondo motivo di ricorso è, del pari, manifestamente infondato.
La ricostruzione della Corte territoriale, quanto al reato ritenuto in sentenza dal
giudice di primo grado, è ancorata al dato che il carattere pacificamente
fidefacente del verbale della Commissione per l’accertamento degli stati di
invalidità civile risulta dalla puntuale enunciazione del fatto all’interno del capo di
imputazione.

2

da luogo ad una nullità intermedia, che è priva di effetti se non dedotta o

Al riguardo, va osservato che il principio di correlazione tra contestazione e
sentenza è funzionale alla salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato; ne
consegue che la violazione di tale principio è ravvisabile quando il fatto ritenuto
nella decisione si trova, rispetto al fatto contestato, in rapporto di eterogeneità,
ovvero quando il capo d’imputazione non contiene l’indicazione degli elementi
costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consente di ricavarli in via induttiva.
(Sez. 6, n. 10140 del 18/02/2015, Bossi, Rv. 262802).
Ma, nella specie, appunto l’indicazione degli estremi fattuali nel capo di

all’imputato di ben intendere la portata dell’accusa anche giuridica e di
adeguatamente difendersi.
D’altra parte, si osserva che, in ambito penalistico, la nozione di atto pubblico
comprende indubbiamente un’ampia estensione tipologica di scritti, includendovi
anche gli atti di corrispondenza e quelli comunque non previsti tassativamente
dalla legge: essenziali rimangono però i presupposti della provenienza dell’atto
da un pubblico ufficiale, della formazione dell’atto per uno scopo inerente alle
funzioni svolte dal predetto e del contributo fornito dall’atto ad un procedimento
della pubblica amministrazione (Sez. 5, n. 43737 del 27/09/2012, Dalla Zeta,
Rv. 254520; Sez. 5, n. 9702 del 05/12/2008 – dep. 03/03/2009, Paolino, Rv.
242770).
In tale contesto, la puntualizzazione contenuta nella sentenza di primo grado
secondo cui il verbale in questione, oltre ad essere formato da un pubblico
ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, era anche destinato ad attestare attività
da lui compiute ed aventi attitudine ad assumere rilevanza giuridica, va
esattamente inteso come riferentesi ad un quid pluris, che appunto identifica
l’efficacia fidefacente dell’atto stesso, ossia la sua idoneità a fare piena prova
della provenienza del documento nonché dei fatti che il pubblico ufficiale attesta
essere avvenuti in sua presenza (art. 2700 cod. civ.).
D’altra parte, ulteriore, anche se non decisivo, elemento di conforto, si trae dal
fatto che, nel dispositivo della sentenza, il Tribunale ha ritenuto sussistenti i reati
così come contestati e le riconosciute circostanze generiche equivalenti alle
“aggravanti contestate” (anche se, in motivazione, evidentemente per mero
errore materiale si fa riferimento, come osserva il ricorrente, “alla contestata
aggravante”.
Ne discende che, rispetto alla contestazione, il cui significato si è sopra
ricostruito, non vi è stata alcuna decisione idonea ad escludere la circostanza
aggravante di cui al secondo comma dell’art. 476 cod. pen.
Peraltro, l’indicato giudizio di equivalenza spiega come mai il Tribunale, nella
determinazione della pena, sia appunto partito dal minimo di un anno di
3

imputazione e il generale riferimento all’art. 476, cod. pen. consentivano

reclusione previsto dal primo comma dell’art. 476 cod. pen., senza che ciò incida
sull’individuazione del termine prescrizionale.
3. Il terzo motivo è, del pari, inammissibile per assenza di specificità e manifesta
infondatezza.
Oltre al fatto che la restituzione delle “somme indebitamente elargite” integra un
comportamento restitutorio, ma non esaurisce l’obbligo risarcitorio (e sul punto il
ricorso è assolutamente generico, in quanto fa riferimento all’intera somma
richiesta senza alcun’altra specificazione), si rileva che, secondo quanto

ritenute previdenziali e assistenziali, il semplice versamento dei contributi omessi
effettuato prima del giudizio non rende configurabile l’attenuante del
risarcimento del danno, non soltanto perché non dimostra la spontaneità del
versamento, ben potendo lo stesso essere effettuato a seguito di messa in mora
del debitore da parte dell’istituto, ma anche perché l’integralità del versamento
non coincide con l’ammontare dei contributi, dovendosi computare gli interessi e
le spese eventualmente sostenute dall’istituto per il recupero del credito,
incombendo comunque sull’imputato l’onere di fornire elementi idonei a
dimostrare la spontaneità, l’effettività e l’integralità del risarcimento (Sez. 3, n.
26710 del 05/03/2015, Natalicchio, Rv. 264023).
Ne discende che esattamente la Corte territoriale ha fatto discendere
l’inconfigurabilità dell’invocata circostanza attenuante dal fatto che il versamento
è stato effettuato a seguito dell’attivazione delle procedure finalizzate alla
ripetizione dell’indebito.
4.

Il presente ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile e tale

situazione, implicando il mancato perfezionamento del rapporto processuale,
cristallizza in via definitiva la sentenza impugnata, precludendo in radice la
possibilità di rilevare di ufficio l’estinzione del reato per prescrizione intervenuta
successivamente alla pronuncia in grado di appello (cfr., tra le altre, Sez. U, n.
21 dell’11/11/1994, Cresci, Rv. 199903; Sez. 3, n. 18046 del 09/02/2011,
Morra, Rv. 250328, in motivazione).
5. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al

versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione
delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 07/10/2015
4

reiteratamente affermato, con riferimento al reato di omesso versamento delle

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