Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49119 del 19/11/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 49119 Anno 2013
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCINARDO GIUSEPPE N. IL 07/05/1945
IRACI FERRUZZA MARIA N. IL 30/06/1947
avverso la sentenza n. 717/2012 CORTE APPELLO di CATANIA, del
24/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

n

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 19/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Catania, con sentenza del 24.1.2013 ha confermato
la decisione con la quale, in data 28.3.2011, il Tribunale di quella città aveva
riconosciuto Giuseppe SCINARDO e Maria IRACI FERRUZZA responsabili dei
reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 44 lett. b), 64, 65, 71, 93, 94 e 95 d.P.R.

realizzato, sulla terrazza di preesistente immobile, una copertura con tetto a
falde inclinate con pilastri e travi in cemento armato, ricavando una superficie
complessiva abitabile di circa 90 mq ed inoltre, per aver realizzato dette opere in
cemento armato ed in zona dichiarata sismica senza titolo abilitativo, senza un
progetto esecutivo e senza la direzione di un tecnico abilitato (in Catania, in data
antecedente e prossima al 15.3.2008).
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per
cassazione.

2. Con un primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge ed il vizio
di motivazione, osservando che per le opere realizzate doveva essere applicata la
normativa regionale, la quale, derogando a quella nazionale, non richiederebbe il
permesso di costruire bensì la semplice denuncia di inizio attività.

3. Con un secondo motivo di ricorso eccepiscono, in via subordinata, la
prescrizione dei reati, considerato che il calcolo dei termini di sospensione del
periodo di prescrizione effettuato dai giudici del merito sarebbe errato in quanto
le sospensioni non avrebbero dovuto superare i 60 giorni, trattandosi di legittimo
impedimento del difensore.
Insistono, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile.
Occorre, in primo luogo considerare, con riferimento al primo motivo di
ricorso, che i ricorrenti effettuano un generico richiamo a più disposizioni
normative regionali ed a diverse tipologie di interventi (manutenzione
straordinaria, restauro, risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia) che,

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380\01 per avere, in concorso tra loro ed in assenza del permesso di costruire,

per quanto è dato rilevare sulla base del limitato accesso agli atti consentito a
questo giudice di legittimità, non hanno alcuna attinenza con quelle oggetto di
imputazione, che riguardano la realizzazione di una copertura con tetto a falde su
immobile preesistente.
Peraltro, il richiamo alla disciplina regionale non risulta dalla sentenza di
primo grado, dove viene invece dato atto che la tesi difensiva, motivatamente
disattesa, è stata incentrata sulla necessità ed urgenza dell’intervento al fine di

5. In ogni caso, tra le diverse disposizioni regionali richiamate dai ricorrenti,
quella maggiormente pertinente al caso in esame sembra essere la Legge
Regionale 16 aprile 2003 n. 4.
Tale disposizione, come è noto, stabilisce, con l’articolo 20, che, in deroga ad
ogni altra disposizione normativa, non sono soggette a concessione o
autorizzazione né sono considerate aumento di superficie utile o di volume né
modifica della sagoma della costruzione, la chiusura di terrazze di collegamento
e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, ferma restando
l’acquisizione preventiva del nulla osta da parte della Soprintendenza dei beni
culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincolo.
In tali casi, contestualmente all’inizio dei

lavori, il proprietario dell’unità

immobiliare deve limitarsi a presentare al sindaco una relazione a firma di un
professionista abilitato alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi ed
il rispetto delle norme di sicurezza e delle norme urbanistiche, nonché di quelle
igienico-sanitarie vigenti ed a versare a favore del comune un determinato
importo per ogni metro quadro di superficie sottoposta a chiusura con struttura
precaria.
Tali disposizioni sono applicabili anche alla chiusura di verande o balconi con
strutture precarie, come previsto dall’articolo 9 della legge regionale 10 agosto
1985, n. 37.
Ai fini dell’applicazione delle richiamate disposizioni il medesimo articolo
precisa, al comma 4, che sono da considerare strutture precarie tutte quelle
realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione, mentre si
definiscono verande tutte le chiusure o strutture precarie come sopra realizzate,
relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra
fabbricati. Alle verande sono assimilate le altre strutture, aperte almeno da un
lato, quali tettoie, pensiline, gazebo ed altre ancora, comunque denominate, la
cui chiusura sia realizzata con strutture precarie, sempreché ricadenti su aree
private.
La disposizione in esame consente anche, a determinate condizioni, la

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evitare infiltrazioni d’acqua.

regolarizzazione delle opere della stessa tipologia già realizzate.

6. Dei rapporti tra la summenzionata disciplina regionale e la normativa
statale contenuta nel D.p.r. 380\01 si è ripetutamente occupata la giurisprudenza
di questa Corte.
Si è così avuto modo di chiarire che, in ogni caso, le disposizioni introdotte
da leggi regionali devono rispettare i principi generali fissati dalla legislazione
nazionale e, conseguentemente, devono essere interpretate in modo da non
collidere con i detti principi (Sez. III n.2017, 15 gennaio 2008; Sez. III n.33039, 4
ottobre 2006. Conf., ma con riferimento ad altre disposizioni normative della

2002).
Con specifico riferimento alla individuazione in via di eccezione, ad opera
della Legge regionale 4\2003, di opere precarie non soggette a permesso di
costruire, si è osservato che il legislatore regionale ha privilegiato il

“criterio

strutturale”, considerando la circostanza che le parti di cui la costruzione si
compone siano facilmente rimovibili, in luogo di quello

“funzionale”, relativo

all’uso realmente precario e temporaneo cui la costruzione è destinata e che
dette disposizioni non possono trovare applicazione al di fuori dei casi in esse
espressamente previsti (Sez. III n.16492, 28 aprile 2010; Sez. III n.35011, 18
settembre 2007).
Si è infine specificato che la legislazione regionale in disamina è applicabile
con riferimento alla sola disciplina urbanistica, restando quindi sottratta quella
relativa alla disciplina edilizia antisismica e quella per le costruzioni in
conglomerato cementizio armato, le quali attengono alla sicurezza statica degli
edifici, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo
117, comma secondo, Cost., con la conseguenza che dette opere continuano ad
essere soggette ai controlli preventivi previsti dalla legislazione nazionale (Sez. III
n. 16182, 9 aprile 2013; Sez. III n.38405, 9 ottobre 2008).

7. Date tali premesse, appare evidente che le opere realizzate, come emerge
dalla loro semplice descrizione nel capo di imputazione, esulano dall’ambito di
operatività della legislazione regionale appena richiamata, difettando dei requisiti
di precarietà “strutturale” che la norma richiede e non possono diversamente
qualificarsi se non come intervento di nuova costruzione, soggetto pertanto a
permesso di costruire.
Invero, la creazione di nuovi volumi su un preesistente fabbricato con
realizzazione di una superficie abitabile di circa 90 mq che comporta, di fatto, la
sopraelevazione dell’edifico, non può certo consentire la collocazione

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Regione siciliana, Sez. III n.4861, 10 febbraio 2005; Sez. III n.6814, 20 febbraio

dell’intervento tra quelli, diversi dalla nuova costruzione, menzionati in ricorso.
Non va poi sottaciuto che i ricorrenti hanno incentrato il motivo di ricorso
con esclusivo riferimento alla necessità o meno del permesso di costruire, senza
considerare che oggetto di contestazione era anche la normativa sulle costruzioni
in zona sismica e con uso di cemento armato, rispetto alle quali non viene
formulata alcuna deduzione.
Ne consegue che la Corte territoriale, peraltro legittimamente richiamando
per relationem

la decisione del primo giudice, è pervenuta ad una pronuncia

valutazione di un dato fattuale e, segnatamente, sulla natura e consistenza
dell’intervento.

8.

Quanto al

secondo motivo di

ricorso deve rilevarsi che,

indipendentemente dal periodo di sospensione considerato dai giudici del merito,
tenuto conto della data dell’accertamento dei reati (15 marzo 2008) alla data
della pronuncia della sentenza impugnata (24 gennaio 2013) il termine massimo
quinquennale di prescrizione non risultava ancora spirato.

9. Ciò posto, deve osservarsi che, nella fattispecie, deve trovare applicazione
il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. IV n. 18641, 22
aprile 2004) in base al quale, in presenza di un ricorso inammissibile per
manifesta infondatezza dei motivi, non viene a formarsi un valido rapporto di
impugnazione ed è pertanto preclusa la possibilità di rilevare e dichiarare le
cause di non punibilità ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen, quale, nella
fattispecie, la prescrizione del reato
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese del procedimento nonché al versamento, in favore della
Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in euro 1000,00
tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte
abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità»(Corte Cost. 186/2000).

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giuridicamente corretta ed adeguatamente motivata, che si fonda sulla obiettiva

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.

Così deciso in data 19.11.2013

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