Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49111 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 49111 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MADONIA CLEMENZA N. IL 18/03/1937
TUSA LUCIO N. IL 18/11/1963
TUSA FRANCESCO N. IL 08/02/1965
TUSA ANTONIO N. IL 05/05/1968
avverso l’ordinanza n. 36/2009 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 14/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
lette/se,t-ife le conclusioni del PG Dott. (k13‘4″)-7″) D 41)2(j>
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Data Udienza: 21/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Gli eredi di Tusa Salvatore, Tusa Lucio, Madonia Clemenza, Tusa Francesco e
Tusa Antonio, a mezzo del difensore, hanno proposto ricorso per cassazione
avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata la istanza
di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal congiunto de cuius dal
6.7.2004 al 16.11.2007, in relazione al delitto di concorso in omicidio volontario
in danno di Iannì Francesco, per il quale era stato mandato assolto per non aver

La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla
riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il
comportamento di Tusa Salvatore aveva dato corso all’ordinanza di custodia
cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al
riconoscimento dell’indennizzo richiesto. E ciò in quanto, premesso che l’omicidio
era stato indicato da collaboratori di giustizia come disposto da Madonia
Giuseppe, cognato del Tusa, nell’ambito di vicende di natura mafiosa, il Tusa era
appunto legato da rapporti di affinità con il Madonia, era stato sottoposto alla
misura di prevenzione della sorveglianza speciale, gli istanti risultano, salva la
Madonia, condannati in via definitiva per associazione per delinquere di stampo
mafioso e per altro. Ne conseguiva, per il Collegio distrettuale, che il rapporto
con il Madonia non si era limitato ad avere natura familiare ma invece era stato
“connotato anche da uno spirito solidaristico derivante dalla comune adesione
al medesimo factum sceleris”. In ciò la colpa grave del Tusa; e peraltro quella
condotta si configura “come circostanza idonea a supportare il giudizio di
verosimiglianza delle dichiarazioni in correità rese da altri collaboratori, al
momento delle indagini preliminari”. Infine, la Corte di Appello riteneva aver
natura concausale il fatto di essersi avvalso della facoltà di non rispondere in
sede di interrogatorio di convalida dell’arresto.

2. I ricorrenti hanno chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per
violazione dell’art. 314 cod. proc. pen., censurando l’interpretazione data dal
giudice di merito e affermando che il semplice rapporto di parentela non può di
per sé concretare colpa grave perché è una condizione e non un comportamento;
la misura di prevenzione era risalente nel tempo rispetto al fatto considerato
dall’ordinanza cautelare e non possono integrare colpa grave comportamenti
meramente sospetti; non è stata valutata la condotta del Tusa anteriore e
posteriore alla emissione del provvedimento cautelare; l’ordinanza impugnata
tace in ordine alle ragioni per le quali si verserebbe in ipotesi di colpa grave e

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commesso il fatto (sentenza irrevocabile il 28.5.2009).

non, ad esempio, di colpa lieve; le condanne concernenti i ricorrenti non possono
dar luogo ad un giudizio di colpa grave del Tusa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati.
3.1. In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per
valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa
grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi
probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che

regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se
adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. U, n. 34559 del
26/06/2002 – dep. 15/10/2002, Min. Tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222263).
In particolare, quanto al compendio degli elementi valutabili, il S.C. ha
ripetutamente puntualizzato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno
della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per
ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa
grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia
cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che
successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento
della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. U,
n. 32383 del 27/05/2010 – dep. 30/08/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664; nel
medesimo senso già Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro
ed altri, Rv. 203636).
Una risalente pronuncia ha sostenuto che “la condizione ostativa al
riconoscimento del diritto all’indennizzo per l’ingiusta detenzione rappresentata
dall’aver dato causa, da parte del richiedente, all’ingiusta carcerazione, non può
consistere in circostanze relative alla condotta già oggetto della pronuncia
assolutoria, ma deve concretarsi in comportamenti esterni ai temi
dell’incolpazione, di tipo processuale, come un’autoincolpazione, un silenzio
cosciente su di un alibi, una fraudolenta creazione di tracce o prove a proprio
danno” (Sez. 6, n. 1401 del 28/04/1992 – dep. 22/05/1992, Zenatti, Rv.
190488). Essa però è stata presto disattesa dalla successiva giurisprudenza, che
si è attestata sul principio per il quale “in tema di riparazione per l’ingiusta
detenzione, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo,
rappresentata dall’avere il richiedente dato causa, all’ingiusta carcerazione, deve
concretarsi in comportamenti che non siano stati esclusi dal giudice della
cognizione e che possano essere di tipo extra-processuale (grave leggerezza o
macroscopica trascuratezza tali da aver determinato l’imputazione), o di tipo
processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi); il

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rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o

giudice è peraltro tenuto a motivare specificamente sia in ordine all’addebitabilità
all’interessato di tali comportamenti, sia in ordine all’incidenza di essi sulla
determinazione della detenzione. (Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001 – dep.
28/02/2002, Pavone, Rv. 220984).
Vale anche precisare che idonea ad escludere la sussistenza del diritto
all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – è non solo
la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi
termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma

procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidit”
secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una
situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a
tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche
ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve
ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del
predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur
tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza,
imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme
disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile,
ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un
provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno
già emesso” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed
altri, Rv. 203637).

3.2. Nella prospettiva del sindacato di legittimità è decisivo rimarcare che esso è
limitato alla correttezza del ragionamento logico giuridico con cui il giudice è
pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio,
mentre resta nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a
motivare adeguatamente e logicamente il proprio convincimento, la valutazione
sull’esistenza e la gravità della colpa o del dolo (Sez. 4, n. 21896 del
11/04/2012 – dep. 06/06/2012, Hilario Santana, Rv. 253325).
Dovendosi tener conto del fatto che va tenuta distinta l’operazione logica propria
del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un
reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del
giudice della riparazione. Questi, pur dovendo operare, eventualmente, sullo
stesso materiale, deve seguire un “iter” logico-motivazionale del tutto autonomo,
perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno
reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel
concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione”; ed in

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anche “la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del

relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare
il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di
controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica),
sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa
di esclusione del diritto alla riparazione (in tal senso, espressamente, Sez. U, n.
43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed altri, Rv. 203638).

4. Ribadito che in questa sede occorre stabilire se la Corte di merito abbia

essere dall’istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento
restrittivo della libertà personale il convincimento di un probabile coinvolgimento
dell’odierno ricorrente nell’attività illecita che gli è stata attribuita, va rilevato,
nella specie, che coglie nel segno il rilievo del P.G. requirente: la Corte
territoriale ha dedotto dal rapporto di affinità del Tusa con Madonia Giuseppe,
concorrente nell’omicidio, e nella sottoposizione del primo alla misura di
prevenzione della sorveglianza speciale, nonché dai precedenti penali
(partecipazione ad associazione mafiosa ed altri reati) degli eredi di Tusa
Salvatore, la natura illecita del rapporto di questi con Madonia Giuseppe,
rapporto che per la Corte di Appello era “connotato anche da uno spirito
solidaristico derivante dalla comune adesione al medesimo pactum sceleris”. A
tanto il giudice distrettuale aggiunge il silenzio serbato dal Tusa in sede di
interrogatorio di convalida.
Senonchè, l’elemento da ultimo citato è erroneamente valutato, poichè la
condotta dell’indagato che, in sede di interrogatorio, si avvalga della facoltà di
non rispondere può assumere rilievo ai fini dell’accertamento della sussistenza
della condizione ostativa del dolo o della colpa grave solo qualora l’interessato
non abbia riferito circostanze, ignote agli inquirenti, utili ad attribuire un diverso
significato agli elementi posti a fondamento del provvedimento cautelare (Sez. 3,
n. 44090 del 09/11/2011 – dep. 29/11/2011, Messina e altro, Rv. 251325).
Pertanto, non il silenzio in quanto tale può essere evocato, quanto il fatto che
l’imputato, pur in grado di fornire una logica spiegazione, al fine di eliminare il
valore indiziante di elementi acquisiti nel corso delle indagini, ha optato per il
mancato esercizio di una facoltà difensiva, quanto meno sul piano
dell’allegazione di fatti favorevoli, dando così luogo ad un comportamento
omissivo causalmente efficiente nel permanere della misura cautelare, del quale
può tenersi conto nella valutazione globale della condotta, in presenza di altri
elementi di colpa (Sez. 4, n. 7296 del 17/11/2011 – dep. 23/02/2012,
Berdicchia, Rv. 251928). Sul piano motivazionale ciò implica che il giudice sia in
grado di indicare quali elementi l’imputato avrebbe potuto utilmente riferire ed

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motivato in modo congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in

ha deliberatamente taciuto. Su tale punto l’ordinanza impugnata è del tutto
silente, ritenendosi appagata dalla valorizzazione del mero silenzio.
Gli ulteriori dati richiamati dalla Corte di Appello risultano addirittura
inconferenti: il rapporto di affinità non concreta un comportamento né tanto
meno un comportamento gravemente negligente o imprudente; altrettanto deve
dirsi di quanto è riferibile ai congiunti di Tusa Salvatore (precedenti penali). Né si
comprende in che modo la risalente sottoposizione a misura di prevenzione sia in
grado di dare dimostrazione dell’adesione, con il Madonia, al medesimo factum

Tanto impone l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio alla
Corte di Appello di Caltanisetta, per nuovo esame, perché valuti la richiesta
avanzata dagli eredi di Tusa Salvatore secondo le linee interpretative indicate ai
superiori paragrafi 3.1. e 3.2.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di
Appello di Caltanisetta.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21/11/2013.

sceleris.

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