Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49110 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 49110 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MARINELLI FELICETTA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TOMASELLO DOMENICO N. IL 05/04/1987
avverso l’ordinanza n. 82/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 01/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA
MARINELLI;
lette~ le conclusioni del PG Dott. 4ì
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Data Udienza: 21/11/2013

La Corte di Appello di Reggio Calabria, con ordinanza
resa all’udienza camerale del giorno 1.06.2012, rigettava
l’istanza di riparazione presentata da Tomasello Domenico
per ingiusta detenzione in regime di custodia in carcere
dal 17.03.2007 al 6.04.2007 perché pel4eato di
danneggiamento aggravato. Il procedimento si concludeva
con richiesta di archiviazione formulata dal pubblico
ministero e accolta dal GIP con provvedimento del
15.09.2009.
Tomasello Domenico, a mezzo del suo difensore, proponeva
quindi ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della
Corte di appello di Reggio Calabria e concludeva chiedendo
di volerla annullare.
Il
ricorrente
censurava
l’ordinanza
impugnata per
violazione ed erronea applicazione degli articoli 314 e
315 cod.proc.pen. e per difetto di motivazione, in
particolare nella parte in cui la Corte di appello
rimproverava in termini di colpa grave condotte
insuscettibili di essere riguardate alla stregua di
macroscopica negligenza e trascuratezza. Pertanto, ad
avviso del ricorrente, non sussisterebbe la colpa grave,
impeditiva del riconoscimento del diritto all’equa
riparazione. Osservava infine la difesa che comunque il
giudice di appello avrebbe quanto meno dovuto indicare i
motivi per i quali le dichiarazioni del Tomasello avevano
determinato la sua carcerazione, specificando da che cosa
aveva tratto la convinzione che le stesse fossero false.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato.
Osserva la Corte che il diritto a equa riparazione per
l’ingiusta detenzione, regolato dagli artt. 314 e SS.
c.p.p., trova fondamento nella condizione soggettiva della
persona sottoposta a detenzione immeritata e in tal senso
ingiusta. Il quadro sistematico di riferimento è un quadro
di diritto civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c. che
appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa un
danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è
piuttosto quello della riparazione legata ad eventi che
producono il sorgere, quali conseguenze di principi di
solidarietà e di giustizia distributiva, di
responsabilità da atto lecito( la distinzione tra
responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043 c.c. e
responsabilità per atto lecito è ben chiarita da Cass.
SS.UU. civ. 11/6/2003 n. 9341). E’ ben fermo, in materia,

Ritenuto in fatto

l’assetto delle regole generalissime che disciplinano
l’onere della prova civile ex art. 2697 c.c. posto che il
procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta
detenzione, quantunque si riferisca ad un rapporto
obbligatorio di diritto pubblico e comporti perciò il
rafforzamento dei poteri officiosi del giudice, e’
tuttavia ispirato ai principi del processo civile, con la
conseguenza che l’istante ha l’onere di provare i
fatti costitutivi
della
domanda,
la
custodia
cautelare subita e la successiva assoluzione
Peraltro il sorgere del diritto è condizionato alla
esistenza di una condotta del richiedente che al tempo del
processo in nulla abbia dato causa o concorso a dare
causa a quella ingiusta detenzione. L’operazione intesa a
cogliere tali condizioni deve scandagliare solo
l’eventuale efficienza causale delle condotte
dell’imputato che possano aver indotto 4 (anche nel concorso
dell’altrui errore, secondo una valutazione ragionevole
e non congetturale) il giudice a stabilire la misura della
detenzione (Cass. SSUU 13/12/95 n. 43, Sez IV 10/3/2000
n. 1705) .
Il giudice, pertanto, deve fondare la sua decisione su
fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni,
esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia
dopo la perdita della libertà personale, indipendentemente
dall’eventuale conoscenza che quest’ultimo abbia avuto
dell’attività di indagine, al fine di stabilire, con
valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi
di reato, ma solo se sia stato il presupposto che ha
ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità
procedente, la falsa apparenza della sua configurazione
come illecito penale, dando luogo alla detenzione con
rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni Unite,
Sent. n.34559/2002; Cass., Sez.4, Sent. n.17552 del 2009).
Tanto premesso si osserva che, nella fattispecie che ci
occupa, il giudice della riparazione non ha chiarito quale
comportamento concreto sia stato posto in essere
dall’odierno ricorrente per indurre in errore l’autorità
giudiziaria, facendo ritenere configurabile a suo carico
un grave quadro indiziario in ordine al contestato reato
di danneggiamento aggravato. La decisione della Corte
territoriale si è infatti fondata sugli stessi elementi
indiziari alla stregua dei quali venne ammessa l’ordinanza
coercitiva ed ha posto in evidenza non condotte
effettivamente colpose dell’odierno ricorrente, ma gli
stessi elementi, circostanze e condotte che sono state
valutati nel processo principale e che non possono essere
impropriamente riqualificati in questa sede come
comportamenti colposi del richiedente, basando
essenzialmente il proprio convincimento da un lato sugli
elementi indiziari che “lo ricollegavano direttamente alla
vittima del primo incendio” (il Malavenda), ossia la

PQM
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di
appello di Reggio Calabria per nuovo esame.
Così deciso in Roma il 20.11.2013

circostanza obiettiva di essersi trovato in compagnia del
predetto nella stessa notte in cui vennero incendiate tre
autovetture (l’una del Malavenda, le altre di tale
Ranieri); dall’altro, sulla scelta del Tomasello di “non
fornire una spiegazione plausibile sul luogo ove si
trovava al momento del fatto”.
Tanto premesso si osserva che, quanto al primo elemento,
esso concretizza soltanto untítggieregpeig indizio, come
tale escluso nel giudizio di merito, ma non imputabile a
colpa del ricorrente. Quanto al secondo elemento, deve
essere tenuto presente che, per giurisprudenza costante di
questa Corte, il silenzio, la reticenza, il mendacio
possono avere ripercussioni negative sulla richiesta di
riparazione per ingiusta detenzione purchè si accerti che
essi abbiano avuto effettivo rilievo causale, contribuendo
alla formazione del quadro indiziario che ha determinato
l’adozione della restrizione ingiusta e che “è necessario
che, in siffatte ipotesi, il giudice della riparazione
accerti, innanzitutto, quali siano tali elementi taciuti o
falsamente rappresentati, che avrebbero potuto incidere a
favore dell’odierno istante sul ritenuto quadro gravemente
indiziario, non potendo questi ritenersi con inammissibile
presunzione fattuale o in via del tutto ipotetica e
congetturale e che valuti poi il nesso di relazione
causale tra tale circostanza e l’addebito formulato, dando
motivata contezza di come essa abbia in effetti influito,
concausalmente, nel mantenimento dello stato detentivo”
(cfr, Cass., Sez.4, sent. n.4154 del 28.01.2008).
quindi
in questione non appare
Il provvedimento
congruamente motivato non avendo individuato la Corte di
appello quali condotte dolose o gravemente colpose abbia
posto in essere Tomasello Domenico con riferimento
all’oggetto specifico del procedimento, alla stregua dei
principi sopra richiamati.
L’ordinanza impugnata deve essere pertanto annullata con
rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo
esame.

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