Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4911 del 12/06/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 4911 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALIFANO SIMONE N. IL 17/09/1989
avverso la sentenza n. 459/2010 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 26/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. C cutivú efit ree, Ì—t-ot( e,
che ha concluso per

e.

Udito, per la parte civile, l’A v
Udit i difensor Avv. _A ej,:,,jaju., 0 “=”1–,0uLt_cbc. co 0C, kpot.,„ ee

Data Udienza: 12/06/2014

Considerato in fatto
Califano Simone veniva rinviato a giudizio per il reato di cui all’art. 73 dpr 309/90 perché,
senza l’autorizzazione di cui all’art. 17 cit dpr, deteneva gr. 43,669 di stupefacente di tipo
marijuana, sostanza che, per la quantità di principio attivo contenuto, pari a mg 3.468, 46, e
per le altre modalità dell’azione, segnatamente per il tentativo di fuga intrapreso alla vista

custodita in mare, era evidentemente destinata ad uso non esclusivamente personale.
Assolto dal Tribunale di Paola per insussistenza del fatto, con sentenza in data 6.11.09
impugnata dal Procuratore Generale, la Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza in
data 26.6.013, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava il predetto imputato
colpevole del reato ascrittogli e , riconosciuta l’ipotesi di cui all’art. 73 co V dpr 309/90,
concesse le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi cinque giorni dieci di
reclusione ed euro 1.400 di multa, pena sospesa e non menzione.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il Califano, a mezzo del
difensore, deducendo, col primo motivo, violazione dell’art. 597, 581, 606 lett B) c.p.p….
Assume la difesa del ricorrente che la Corte di Appello ha violato il principio devolutivo
secondo il quale il giudice di appello può conoscere solo dei punti della decisione censurati
con i motivi di appello, essendosi pronunciata anche su punti della sentenza non oggetto di
gravame da parte dell’appellante. Infatti il PG di Catanzaro aveva impugnato la sentenza di
assoluzione solo in punto di diritto sostanziale sostenendo che, contrariamente a quanto
ritenuto dal primo giudice, il comma 1 bis lett A dell’art. 73 d.p.r. 309/90 avrebbe introdotto
una sorta di presunzione relativa in ordine alla destinazione non personale dello stupefacente,
quando la quantità superi i limiti di cui alle tabelle ministeriali allegate al TU stupefacenti,
presunzione che, comportando l’inversione dell’onere della prova, può essere superata solo
in presenza di una allegazione probatoria di tenore contrario da parte dell’imputato, nel caso
in esame mancante, e non da una valutazione delle emergenze del fatto da parte dell’organo
giudicante. Pur in assenza di censure da parte del PG appellante, la Corte di appello è
intervenuta sulla ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice ed è pervenuta, partendo
dal dato ponderale, e censurando la valutazione fatta delle risultanze istruttorie, alla diversa
conclusione in termini di responsabilità dell’imputato.

degli operanti e di disfarsi della sostanza medesima, lanciando l’involucro in cui era

2- violazione dell’art. 73 dpr 309/90 vizio di motivazione.
Censura la difesa ricorrente le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di seconde cure nel
ritenere, così recependo la doglianza del PG appellante, che la sostanza stupefacente
rinvenuta in possesso dell’imputato fosse incompatibile con un uso esclusivamente
personale.
La Corte di Appello, evidenzia la difesa, recependo le deduzioni del PG ricorrente, ha

presunzione relativa in ordine alla destinazione non personale dello stupefacente, quando la
quantità superi i limiti di cui alle tabelle ministeriali allegate al TU stupefacenti, presunzione
che, comportando l’inversione dell’onere della prova, può essere superata solo in presenza di
una allegazione probatoria di tenore contrario da parte dell’imputato
Muovendo da tale rilievo, i giudici di seconde cure hanno posto a fondamento della
responsabilità il solo dato ponderale, indicato come elemento presuntivo dell’uso non
personale sul quale costruire l’accertamento di responsabilità. Invece, secondo la difesa del
ricorrente, l’art. 73 co 1 bis lett a), come rinnovellato dalla legge 49/2006, indica una serie
di parametri dai quali desumere la destinazione ad uso non esclusivamente personale da parte
del detentore, ragione per cui il dato ponderale, diversamente da quanto argomentato dalla
Corte distrettuale, rappresenta uno dei parametri per stabilire la destinazione illecita della
droga, ma non il solo, e l’apprezzamento dell’illiceità della condotta deve avvenire
considerando tutti gli altri criteri indicati nella citata norma, fra le quali i quali le modalità di
presentazione dello stupefacente, il suo confezionamento, il peso lordo complessivo, il
possesso di strumenti di peso e di confezionamento delle dosi, il luogo in cui l’imputato è
stato fermato, se utilizzato per lo spaccio, il possesso ingiustificato di somme di denaro
etc….
Lamenta la difesa ricorrente che la Corte distrettuale, non solo ha omesso nella sua
valutazione di considerare l’eventuale sussistenza degli altri indici presuntivi indicati dalle
norma incriminatrice nella sua attuale formulazione, così incorrendo in violazione di legge,
ma è anche incorsa in un vizio di motivazione, laddove, di fronte ad una pronuncia
assolutoria congruamente ed esaustivamente motivata proprio sulla base della ritenuta
insussistenza di quegli indici ignorati dai secondi giudici, ha determinato il ribaltamento della

2

ritenuto che il comma 1 bis lett A dell’art. 73 d.p.r. 309/90 abbia introdotto una sorta di

posizione dell’imputato, condannandolo, sulla base di una scarna motivazione, priva di
qualsiasi confutazione critica in ordine alla ricorrenza o meno di detti parametri.

Considerato in diritto

Il presente procedimento pone la problematica della motivazione della sentenza di condanna

Come è noto, nel nostro ordinamento vige il principio del doppio grado di giurisdizione, in
virtù del quale l’imputato può ottenere una seconda pronuncia di merito, che, attraverso un
nuovo esame del materiale probatorio, ed una nuova valutazione delle deduzioni difensive e
degli assunti accusatori, pervenga ad una pronuncia confermativa o riformatrice di quella
precedente, sulla quale è destinata a prevalere. Tale sistema è ispirato all’esigenza di
consentire un vaglio ulteriore del processo, stante la portata pienamente devolutiva del
giudizio di appello sia pure delimitata dai motivi di impugnazione dedotti dalle parti, ciò a
garanzia di una decisione che sia il più possibile approfondita, ponderata e rispondente alle
emergenze istruttorie, alla stregua della dialettica processuale delle parti. Tale rivisitazione
del processo è caratterizzata da un controllo di tipo cartolare delle risultanze processuali salvi
i casi disciplinati dalla legge, di un rinnovazione del dibattimento.
E’ evidente che le esigenze sottese al sistema del doppio grado di giurisdizione di merito, si
riannodano al principio dell’ “oltre ragionevole dubbio”, introdotto dall’art 133 c.p., nuova
formulazione, nel senso che convergono entrambi ad assicurare un decisione che sia il più
possibile scevra da dubbi.
Nei casi in cui, nel giudizio di secondo grado si pervenga, sulla base dello stesso materiale
probatorio raccolto ed esaminato nel giudizio di primo grado, ad una sentenza di condanna in
riforma della precedente assoluzione, l’imputato, condannato per la prima volta in appello,
viene ad essere di fatto privato di un grado di merito. Né l’unico rimedio esperibile, il ricorso
per Cassazione, è idoneo a compensare la perdita del riesame nel merito della condanna
inflittagli, stante l’ambito proprio del giudizio di legittimità circoscritto al solo esame di
violazioni di legge e vizi di motivazione della sentenza impugnata, senza possibilità di
riproporre censure che riguardano il merito della decisione.

3

,t«

emessa in appello in riforma della pronuncia assolutoria di primo grado.

Proprio in considerazione della particolare situazione in cui viene e trovarsi l’imputato che
non può contare su una riconsiderazione nel merito della condanna, si impone, in tali casi,
la necessità di una motivazione rigorosa da parte del giudice di appello che intenda riformare
una precedente assoluzione in primo grado.
La giurisprudenza di questa Corte ha elaborato i criteri cui deve rispondere tale motivazione
per essere esaustiva, rispettosa delle garanzie difensive e coerente col principio dell'”oltre

appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee
portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più
rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della
relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento e non
può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché
preferibile a quella coltivata nel provvedimento
impugnato”Sez. Unite, n. 33748 del 12/07/2005,

dep. 20/09/2005,

Rv. 231679,

Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, dep. 20/02/2013, Rv. 254638).
“La sentenza di appello di riforma totale del giudizio assolutorio di primo grado deve
confutare specificamente, pena altrimenti il vizio di motivazione, le ragioni poste dal primo
giudice a sostegno della decisione assolutoria, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul
piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, anche
avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve
quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della
decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione
accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati.
Sez. 6, Sentenza n. 6221 del 20/04/2005 Ud. (dep. 16/02/2006)

Rv. 233083.

Sez. 6, Sentenza n. 46847 del 10/07/2012 Ud. (dep. 04/12/2012 ) Rv. 253718.
In definitiva, perché la sentenza di appello riformatrice della precedente pronuncia
assolutoria risponda ai requisiti enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte, non deve
limitarsi ad una mera rivalutazione del materiale probatorio già acquisito in primo grado e
in quella sede ritenuto non idoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, ma,
ponendosi a confronto con la struttura motivazionale della sentenza di primo grado, deve
contenere una critica demolitoria di tale decisione, volta ad evidenziarne, con
4

ragionevole dubbio”, affermando che, in tema di motivazione della sentenza, “il giudice di

argomentazioni dirimenti e dotate di forza persuasiva, le carenze motivazionali, essendo
compito precipuo del giudice di seconde cure quello di indicare le ragioni per le quali ritiene
di dissentire dalla pronuncia assolutoria, sulla base di un puntuale confronto con le
argomentazioni di segno opposto del primo giudice, attraverso il riferimento specifico alle
risultanze processuali addotte a sostegno della diversa decisione ed alle deduzioni difensive.
Solo in presenza di tali caratteri, la sentenza di appello è in grado di possedere una tenuta

assoluzione; diversamente, detta sentenza, benchè adeguatamente motivata ed immune dai
vizi indicati dall’art. 606 co 1 lett e) c.p.p., limitandosi ad una alternativa valutazione del
medesimo compendio probatorio, senza alcun confronto con le diverse argomentazioni della
sentenza impugnata su circostanze ed apprezzamenti che hanno concorso in modo
determinante a fondare il diverso convincimento del primo giudice, non acquista quella
forza persuasiva idonea al superamento di ogni ragionevole dubbio.
Tali principi sono divenuti ancora più pregnanti a seguito dei recenti interventi della Corte
Costituzionale e della CEDU volti a rimarcare che, pur dovendosi ritenere esente da
censure di incostituzionalità e non in contrasto con norme e principi di diritto europeo la
prima condanna in appello, questa deve essere assistita da una rigorosa motivazione nei
termini sopra indicati.
Tutto ciò premesso, si deve rilevare che, nel caso in esame, i giudici di seconde cure sono
pervenuti alla diversa pronuncia di condanna non sulla base di una differente valutazione
delle risultanze processuali, sganciata dalle argomentazioni dei primi giudici, ma attraverso
una circostanziata confutazione dei punti fondamentali della motivazione di primo grado,
sottoposta ad una critica rigorosa mirata ad evidenziarne le illogicità.
E datti essi hanno confutato le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice secondo cui,
considerato che la sostanza rinvenuta era conservata in un unico involucro e non era
suddivisa in dosi, che l’imputato non disponeva né con sé, né nella propria abitazione di
strumenti atti al confezionamento delle dosi, che peraltro si trovava in luogo non isolato e in
orario non serale, si doveva ritenere, trattandosi di assuntore di stupefacente, che quella
fosse la scorta di cui l’imputato aveva inteso approvvigionarsi per soddisfare il proprio
fabbisogno.

5

motivazionale idonea a sorreggere una prima condanna in riforma della precedente

La sentenza impugnata smonta tale ragionamento evidenziando che 1) il quantitativo di
marijuana, notevolmente superiore al valore soglia fissato nel decreto ministeriale, era
assolutamente incompatibile con un uso personale, non essendo peraltro stata adeguatamente
dimostrata la condizione di assuntore del Califano ; 2) se la sostanza stupefacente fosse stata
destinata ad uso personale, non si comprende perché mai il predetto l’avesse portata con sé
esponendosi al rischio di controlli; 3) la mancata suddivisione in dosi e l’assenza di
marijuana sia suscettibile di suddivisione manuale in piccoli pezzi da destinare alla vendita
al minuto, senza necessità di previa esatta pesatura, come è invece richiesto perle droghe
pesanti; 4) peraltro non risulta adeguatamente dimostrata l’esistenza di disponibilità
economiche che consentissero all’imputato di sostenere il costo di un considerevole
approvvigionamento; 5) infine il luogo in cui si trovava il Califano al momento del controllo
era isolato, trattandosi dell’arenile in periodo non estivo, e, in quanto tale, si prestava ad
essere teatro di attività di spaccio da svolgersi inosservata. .
Si deve ritenere che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, i giudici di seconde cure
non abbiano posto a fondamento della responsabilità dell’imputato solo il dato ponderale ma
abbiano preso in considerazione tutta una serie di elementi sintomatici dello spaccio,
fondando la decisione su un critica articolata e ragionata della sentenza di assoluzione di
primo grado.
Il ricorso deve dunque essere rigettato. Segue per legge la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in

Roma il

12.6.014.

strumenti per la loro preparazione non è elemento dirimente, in quanto è noto che la

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA