Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4910 del 16/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 4910 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SAVINO MARIAPIA GAETANA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SARACINO GIUSEPPE N. IL 10/05/1950
avverso la sentenza n. 878/2011 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 21/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIAPIA GAETANA SAVINO
Udito il Procuratore Genzrale in persona del Dott. 5-3.
che ha concluso per
L_Si, e\”:

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

\ros-Q.zLfujm___

Data Udienza: 16/05/2014

Ritenuto in fatto
Con sentenza emessa in data 11.7.011 il Tribunale di Taranto ha dichiarato Saracino
Giuseppe colpevole del reato di cui all’art. 10 ter d.lvo 7/2000 per omesso versamento
dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine
per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, per un ammontare

condizionalmente sospesa, di anni uno di reclusione oltre alle pene accessorie di legge.
Proposto appello dall’imputato, la Corte di appello di Lecce, in parziale riforma della
sentenza impugnata, concedeva al Saracino il beneficio della non menzione e confermava
nel resto l’impugnata sentenza.
Ricorreva per Cassazione il Saracino, a mezzo del difensore di fiducia, avverso la sentenza
di appello per i seguenti motivi:
1) Manifesta illogicità della sentenza con riferimento all’accertamento della sussistenza
dell’elemento soggettivo del reato.
Sostiene la difesa che, pur avendo segnalato, nel giudizio di appello, un crescente
orientamento giurisprudenziale di merito volto ad escludere l’esistenza della volontarietà
della condotta nel caso \di oggettiva impossibilità di adempiere all’obbligazione tributaria
determinata dalla mancata riscossione di crediti verso la P.A., la Corte distrettuale non ha
considerato il principio di diritto proposto in relazione all’insussistenza dell’elemento
soggettivo ma si è limitata a porre in comparazione le fattispecie oggetto delle decisioni di
merito segnalate e quella de qua, pervenendo alla conclusione della loro diversità senza
pronunciarsi sulla questione sollevata con i motivi di appello della insussistenza
dell’elemento soggettivo del reato contestato.
violazione di legge con riferimento alla norma incriminatrice quanto alla ndinviduazione
I momento di consumazione del reato.
Assume la difesa che la norma incriminatrice, l’art. 10 ter d.lvo 74/2000, entrata in
vigore il 4.7.2006, non poteva applicarsi all’omesso versamento di somme che andavano
corrisposte in epoca precedente; difatti il termine previsto per il pagamento dell’IVA a
titolo di acconto per l’anno 2005, anno di imposta cui si riferisce la contestazione, era
fissato entro il 16.3.2006, data precedente all’entrata in vigore della suindicata legge.

di euro 111.953,00 (periodo di imposta 2005). Veniva quindi condannato alla pena,

Poiché la norma che ha introdotto il reato contestato è entrata in vigore il 4.7.2006, in
epoca successiva alla scadenza dei pagamenti periodici dell’IVA relativi al 2005, anno di
imposta cui si riferisce la contestazione, nonché al termine previsto per il pagamento
dell’IVA a conguaglio per il medesimo anno, essa, per il principio dell’irretroattività
della norma penale sfavorevole, non poteva trovare applicazione.
La norma incriminatrice parla di “IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale” quindi,

secondo la difesa, si deve intendere tutta l’imposta globalmente dovuta per l’anno in
questione (2005) il cui obbligo di versamento viene scaglionato mensilmente durante
l’anno medesimo, salvo il conguaglio/saldo finale.
Di conseguenza, poiché l’IVA globale andava pagata mensilmente durante l’anno 2005,
oltre al conguaglio-saldo finale, assume la difesa che solo in occasione di una specifica e
determinata liquidazione periodica del 2005, il contribuente ebbe ad oltrepassare la soglia
di punibilità fissata in euro 50.000.
Quindi l’eventuale momento consumativo del reato va rinvenuto nel momento in cui
l’omissione ebbe a superare la soglia anzidetta e dunque in una data antecedente l’entrata
in vigore della norma incriminatrice.

Ritenuto in diritto

11 primo motivo di ricorso risulta infondato in quanto la Corte di Appello non si limita a
fare una comparazione fra le due fattispecie ma si pronuncia in ordine alla specifica
inidoneità della situazione di insolvenza dedotta dalla imputata, a causa della mancata
riscossione di un credito verso il Comune di Taranto, a costituire una causa di oggettiva
impossibilità ad adempiere, sotto il profilo della mancata allegazione di elementi volti a
determinare con esattezza la quota di credito della GECOM rispetto all’intero ammontare
(240.000,00) dovuto al consorzio di imprese di cui questa fa parte. La sentenza fornisce
una motivazione adeguata.
La Corte territoriale, invero, non entra nel merito della questione della ravvisabilità di
ipotesi di impossibilità oggettiva ad adempiere nella mancata riscossione di crediti verso
la PA poiché non ritiene che gli elementi offerti dalla imputata, su cui grava il relativo
onere, siano sufficienti a verificare l’ipotesi, né sotto il profilo delle determinazione esatta
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del quota del credito spettante alla GECOM, nè sotto quello dell’esperimento di tutte le
iniziative giudiziarie e non, volte al recupero della somma dovuta.
Né ulteriori elementi possono essere desunti dal ricorso per Cassazione (come
l’incidenza del dissesto del Comune di Taranto nella grave crisi finanziaria della
GECOM). Difatti si ha solo una diffida ad adempiere fatta dall’associazione di imprese di
cui fa parte la GECOM avente ad oggetto un credito nel complesso pari a 240.000,00; ma

non viene specificato quale quota dell’intera somma spetterebbe alla suddetta società
Al pari infondato appare il secondo motivo inerente l’irretroattività della legge penale con
riguardo all’operatività della norma incriminatrice di cui all’art. 10 ter d.lvo 74/2000, per
l’IVA dovuta, a titolo di acconto, per l’anno di imposta 2005, alla stregua del principio
enunciato dalla Sezioni Unite secondo cui “il reato di omesso versamento dell’imposta
sul valore aggiunto (art. 10-ter D.Lgs. n. 74 del 2000), entrato in vigore il 4 luglio 2006,
che punisce il mancato adempimento dell’obbligazione tributaria entro la scadenza del
termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo,
è applicabile anche alle omissioni dei versamenti relativi all’anno 2005, senza che ciò
comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale.
S. U, Sentenza n. 37424 del 28/03/2013 Ud. (dep. 12/09/2013) Rv. 255758.

La sentenza delle Sezioni Unite affronta il problema dell’applicabilità della nuova norma
penale, entrata in vigore il 4 luglio 2006, anche alle omissioni nel versamento dell’IVA
verificatesi, con riferimento alla scadenza del termine periodico, nel corso del 2005, alla
stregua dei contrastanti orientamenti, uno dei quali ne esclude l’ applicabilità in quanto in
contrasto col principio di irretroattività della norma penale.
Osservano le Sezioni Unite che, se è vero, che, al momento della scadenza del termine
fiscale” per il versamento periodico dei debiti IVA relativi all’anno 2005, il reato in
discussione non era ancora stato introdotto – essendo l’entrata in vigore dell’art. 10-ter
d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, posteriore a detta scadenza -, è altrettanto vero, però, che la
condotta penalmente rilevante non è l’omissione del versamento periodico nel termine
previsto dalla normativa tributaria, ma il mancato versamento dell’acconto IVA relativo
al periodo d’imposta dell’anno successivo.
Pertanto, il soggetto che aveva omesso i versamenti periodici per il 2005 nel termine
previsto dalla normativa tributaria (e che vi aveva persistito nel primo semestre 2006)
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avrebbe avuto ancora, fino al 27 dicembre 2006, la possibilità di assumere le proprie
determinazioni in ordine all’effettuazione di un versamento dei debiti che, in relazione al
quantum risultante dalla dichiarazione annuale da lui stesso presentata, mantenesse
l’omissione non oltre la soglia dei cinquantamila euro. La risoluzione di non provvedere a
tanto, che dà luogo alla commissione del reato, si colloca, dunque, in un’epoca
ampiamente successiva alla introduzione della nuova fattispecie incriminatrice, alla quale

non può, pertanto, attribuirsi un effetto retroattivo.
Consegue da tanto la manifesta infondatezza della questione (prospettata nel ricorso) di
legittimità costituzionale dell’art. 10-bis in riferimento all’art. 25, comma secondo, della
Costituzione.
Una conferma implicita di tale assunto si ricava dalla ordinanza n. 25 del 2012, con cui la
Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 10-ter del
decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, limitatamente alle omissioni relative all’anno
2005, rilevando che “la circostanza che il debitore di IVA per l’anno 2005 venga a
disporre, al fine di eseguire il versamento – o, meglio, per decidere se effettuarlo o meno
con la consapevolezza che la sua omissione avrà conseguenze penali (essendo il
pagamento doveroso, in base alla normativa tributaria, già prima e indipendentemente
dall’introduzione della nuova incriminazione) , di un termine minore di quello accordato
ai contribuenti per gli anni successivi, non può ritenersi, di per sé, lesiva del parametro
costituzionale evocato, in quanto il termine di oltre cinque mesi e mezzo riconosciuto al
soggetto in questione non può ritenersi intrinsecamente incongruo, ossia talmente breve
da pregiudicare o da rappresentare, di per sé, un serio ostacolo all’adempimento”.
Non appare pertinente il richiamo al principio di colpevolezza di cui all’art. 27 della
Costituzione, secondo cui in presenza di un dovere di osservanza delle leggi penali, la
sua violazione, implicita nella commissione del fatto di reato, deve essere esclusa in caso
di impossibilità di conoscenza del precetto (e, pertanto, dell’illiceità del fatto) non
ascrivibile alla volontà dell’interessato (Corte cost., sent. n. 364 del 1988).
E difatti, come già detto, l’arco temporale consentito al soggetto dall’entrata in vigore
dell’art. 10-ter fino alla scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al
periodo d’imposta dell’anno successivo porta senz’altro ad escludere che dal principio di
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colpevolezza possa discendere un rilievo ostativo assoluto all’applicabilità della nuova
norma penale alle omissioni di versamento relative ai debiti IVA del 2005.
Il ricorso deve dunque essere rigettato.
Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.

Così deciso in Roma, in data 16 maggio 2014.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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