Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49096 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 49096 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: BIANCHI LUISA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARONE TEODORO N. IL 08/10/1951
avverso la sentenza n. 1466/2012 CORTE APPELLO di LECCE, del
14/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUISA BIANCHI
Udito il Procuratore Generale in persona del D
A-ed.° ‘3,5-et/ro-lt,


che ha concluso per

1-zneurcL-

O,

e

Data Udienza: 24/10/2013

25416/2013
RITENUTO IN FATTO

3 Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione l’imputato
formulando quattro motivi. Col primo deduce la violazione dell’art. 606 lett. b)
ed e) cod.proc.pen. sostenendo che si sarebbe dovuto pervenire alla sua
assoluzione per mancanza di un quadro probatorio sicuro della responsabilità,
specie perché il riconoscimento fotografico era stato espletato senza rispetto
dei canoni sanciti a pena di inutilizzabilità dall’art. 213 ed era privo di certezza.
Con il secondo ed il terzo motivo eccepisce i medesimi vizi in relazione agli
artt. 62 bis e 133 cod.pen. per la mancata concessione delle attenuanti
generiche ed il diniego della rivalutazione della pena, che era stata
determinata in misura da renderla non adeguata alla finalità rieducativa. Con il
quarto invoca la intervenuta prescrizione del reato già prima della sentenza di
appello.
Con successiva memoria, affidata al difensore di fiducia, si insiste nei motivi
già dedotti e specialmente sulla intervenuta prescrizione del reato essendo
stato il reato commesso il 2.8.2004; si sostiene che il la corte di appello
avrebbe dovuto motivare in ordine ai ritenuti periodi di sospensione in
particolare con riferimento a quanto stabilisce l’art. 159, co.1, n. 3, cod.pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto fondato su motivi
non consentiti o manifestamente infondati.
In ordine alla responsabilità per il contestato reato deve rilevarsi la assoluta
inconsistenza delle censure che ripropongono, con meri adeguamenti formali, i
motivi di appello ed incorrono nella sanzione della inammissibilità sotto
molteplici profili.
In primo luogo il ricorso difetta di specificità; secondo il combinato disposto
degli artt. 591, co. 1 lettc) e 581, co.1, lett.c), l’impugnazione deve
contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione specifica delle ragioni di
diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta; la sanzione trova
applicazione anche quando il ricorrente nel formulare le proprie doglianze nei
confronti della decisione impugnata trascura di prendere nella dovuta
considerazione le valutazioni operate dal giudice di merito e sottopone alla
Corte censure che prescindono da quanto tale giudice ha già argomentato.
Nella specie la Corte di appello ha già esaminato le censure sulla responsabilit
e sul trattamento sanzionatorio. Non corrisponde infatti al contenuto dell
sentenza quanto si sostiene con il ricorso e cioè che la Corte di appello non
avrebbe effettuato un attento esame delle risultanze processuali e una
valutazione circa la attendibilità della individuazione fotografica da parte di
Pinca Stefano e Milelli Donatella, atteso che la responsabilità è stata ritenuta

1.Con sentenza in data 14.2.2013 la Corte di appello di Lecce confermava la
sentenza del Tribunale con cui Carone Teodoro era stato ritenuto responsabile
del reato di furto di una autovettura e condannato ad un anno di reclusione ed
euro 150,00 di multa.

3

sulla base del riconoscimento diretto dell’imputato da parte del teste Pinca e di
quello fotografico della Milelli correttamente ritenuto mezzo di prova atipica. E’
stata fatta corretta applicazione del principio sempre ribadito da questa Corte
secondo cui il riconoscimento fotografico operato in sede di indagini di polizia
giudiziaria non è regolato dal codice di rito e costituisce un accertamento di
fatto utilizzabile in giudizio in base ai principi di non tassatività dei mezzi di
prova e del libero convincimento del giudice; la certezza della prova non
discende dal riconoscimento come strumento probatorio, ma dall’attendibilità
accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione.
A ciò si aggiunge che il ricorrente, nel formulare le proprie censure non
evidenzia, come imposto dalla legge, manifeste carenze o illogicità della
motivazione, rese immediatamente palesi dalla lettura della sentenza
impugnata, ma argomenta sulla possibile diversa interpretazione dei dati di
fatto. Laddove invece, anche a seguito delle modifiche introdotte all’ 606,
comma primo, lett. e) cod. proc. pen. dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, il
ricorso non può riguardare la verifica della rispondenza delle argomentazioni
poste a fondamento della decisione impugnata alle acquisizioni processuali e
non è consentito sollecitare alla Cassazione una rilettura degli elementi di
fatto, atteso che tale valutazione è riservata in via esclusiva al giudice del
merito. Il sindacato della Cassazione è limitato alla sola legittimità, sì che
esula dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti
a fondamento della decisione, anche laddove venga prospettata dal ricorrente
una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali.
Quanto alla motivazione sulle attenuanti generiche e sul trattamento
sanzionatorio, si tratta di statuizioni rimesse all’apprezzamento del giudice di
merito, insindacabile salvo l’obbligo di motivazione nella specie adempiuto
avendo le stesse trovato giustificazione nei numerosi precedenti penali
dell’imputato e nella valutazione di gravità del fatto evrp&sonalità del suo
autore.
Da ultimo, manifestamente infondate sono anche le censure in ordine alla
prescrizione.
Al termine di prescrizione massima del reato, che in base sia alla originaria
formulazione dell’art. 158 c.p. che alla attuale è di sette anni e mezzo e
pertanto scadeva il 2.2.2012, vanno aggiunti i periodi di sospensione dovuti a
rinvio del dibattimento di primo grado per legittimo impedimento del difensore
(dal 19.10.2006 al 29.3.2007, dal 12.10.2007 al 25.3.2008, dal 25.3.2008 al
16.9.2008, dal 24.3.2009 al 10.7.2009, dal 14.5.2010 al 15.6.2010, come già
precisamente annotato sulla copertina del fascicolo relativo al ricorso per
cassazione) ammontanti ad un periodo complessivo di un anno e nove mesi. Il
termine di prescrizione è stato dunque spostato al 2.11.2013. Essendo la
sentenza della Corte di appello stata emessa il 14.2.2013, essa risulta
ampiamente in termini rispetto alla data alla quale può considerarsi
intervenuta la prescrizione del reato.
Quanto al computo di tali periodi, tutti i rinvii sono stati sollecitati e ottenuti
dal difensore per la necessità di adempiere un diverso impegno professionale e
pertanto correttamente è stato ritenuto doversi tenere conto del’intero
periodo; vale infatti il principio, da tempo affermato da questa Corte (sez. H
14.2.2008 n.44609 RV. 242042; sez. H 29.3.2011 n.17344 Rv. 250076)

2. Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e da ciò
deriva l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una
somma in favore delle cassa delle ammende che, in considerazione dei motivi
dedotti, stimasi equo fissare, anche dopo la sentenza della Corte Cost. n.186
del 2000, in euro 1.000,00 (mille/00).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di 1.000,00 euro in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 24.10.2013.

secondo cui l’impedimento del difensore per contemporaneo impegno
professionale, sebbene tutelato dall’ordinamento con il diritto al rinvio
dell’udienza, non costituisce un’ipotesi d’impossibilità assoluta a partecipare
all’attività difensiva e non dà luogo pertanto ad un caso in cui trovano
applicazione i limiti di durata della sospensione del corso della prescrizione
previsti dall’art. 159, comma primo, n. 3, cod. pen., nel testo introdotto
dall’art. 6 della L. 5 dicembre 2005, n. 251.

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