Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49095 del 24/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 49095 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: BIANCHI LUISA

Data Udienza: 24/10/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TERRANOVA MICHELE N. IL 09/05/1975
GUARNACCIA ANGELO N. IL 25/12/1988
FAZIO ERMINIO N. IL 17/10/1987
TRINGALI MARCO N. IL 31/07/1986
TRINGALI MAURIZIO N. IL 20/09/1987
BONGIORNO LETTERIO N. IL 03/10/1989
FRENI GIUSEPPE N. IL 10/04/1987
PULEIO DOMENICO N. IL 31/12/1975
PINO GIACOMO N. IL 31/08/1981
avverso la sentenza n. 1082/2010 CORTE APPELLO di MESSINA, del
09/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUISA BIANCHI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dot
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che ha concluso per

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6776/2013
RITENUTO IN FATTO

1.La Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza
emessa, all’esito di giudizio abbreviato, dal Gup del medesimo Tribunale,
escludeva, per quanto qui rileva, con riferimento a Terranova Michele
l’aggravante di promotore e organizzatore della ritenuta associazione
finalizzata allo spaccio di stupefacenti e rideterminava la pena inflitta al
medesimo Terranova in anni sei e mesi due di reclusione; confermava la
condanna di Guarnaccia Angelo, Fazio Erminio, Tringali Marco, Tringali
Maurizio, Bongiorno Letterio, Freni Giuseppe, Puleio Domenico, e Pino
Giacomo per i reati rispettivamente ascritti e la misura della pena a
ciascuno inflitta.
Il procedimento aveva ad oggetto il reato di cui all’art. 74 dPR 309/90
contestato a tutti gli attuali ricorrenti tranne Bongiorno e Tringali
Maurizio, la coltivazione di cannabis (capo 51) contestata a Terrantwa e
Puleio e numerosi reati di detenzione e spaccio di stupefacenti (hashish
e marijuana) come di seguito precisati:
Terranova,capil),6),8),11),15),28),30),32),35),42),43),45),48),49),51),5
4),59),65), 2 69); Guarnaccia, capi 15), 21),23),24), 25),
35),36),39),40); Fazio, capi 8), 17), 22), 29), 31), 32), 34), 41), 42),
45), 46), 47), 68) ; Freni capi 1),3),5),7),9),10),16),26),50),63),64),
66), 70),71),72) ; Tringali Marco capi 19), 20),25),50),63),64),71) ;
Puleio capi 16),51),62),69); Pino capi 18),27),33),37),40),43),67) e 71);
Bongiorno capi 38), 39), 44); Tringali Maurizio capo 63).
Le indagini avevano preso le mosse dall’incendio di un lido balneare
gestito dai fratelli Cuppari e succesivamente di un’auto appartenente al
padre di costoro. Cuppari Alberto, assunto a sommarie informazioni
testimoniali dai Carabinieri di Alì Terme, indicava come possibili autori di
tali fatti taluni giovani compaesani-con i quali i rapporti si erano, da
tempo, fortemente deteriorati-tra cui i cognati Terranova Michele e
Puleio Domenico. Veniva autorizzata attività intercettativa a bordo di
talune autovetture in uso ai soggetti sospettati che consentiva di
accertare come i predetti fossero dediti ad un’attività di spaccio di
sostanze stupefacenti.
Entrambi i giudici di merito, la Corte di appello dichiarando
espressamente di ritenere pienamente giustificata e condivisibile la
valutazione del giudice di primo grado e richiamandosi alla motivazione di
tale sentenza, ritenevano sussistente il reato associativo di cui al capo 0),
rilevando che il dato fondamentale ai fini della configurazione del reato di
cui all’art. 74 DPR 309/90 si identifica nell’accordo complessivo tra i
componenti del sodalizio che si sostanzia in definitiva nella
programmazione di una serie indeterminata di reati in tema di
stupefacenti con la piena disponibilità di ognuno dei componenti di
muoversi nell’ ambito di tale sodalizio per il fine comune e con la
conseguente disponibilità incondizionata alla consumazione di singoli
episodi criminosi, situazione questa che secondo il giudice di primo grado,
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cui il giudice di appello si rifaceva, era stata ja2:11mMMMZ riscontrata;
entrambi i giudici concordavano nella esclusione della possibilità di
ravvisare l’attenuante di cui al co. 6 dell’art. 74. Inoltre gli odierni
ricorrenti sono tutti stati ritenuti responsabili dei numerosi episodi di cui
all’art. 73 del D.P.R. n. 309/1990 sopra richiamatati, emersi dalle
conversazioni telefoniche intercettate, per avere detenuto e/o ceduto
sostanza stupefacente di varia natura (per lo più hashish e marijuana o
altra non identificata) nel periodo compreso tra il mese di giugno e
settembre 2008, cui si riferiscono le indagini. Terranova e Puleio sono
stati condannati anche per la coltivazione contestata al capo 51). Per i
fatti addebitati a Bongiorno e Tringali si riconosceva l’attenuante di cui al
quinto comma dell’art. 73. Ritenuta la continuazione tra tutti i reati
ascritti e reato più grave quello associativo, agli imputati venivano
concesse attenuanti generiche.

2.Hanno presentato ricorso per cassazione gli imputati per il tramite dei
rispettivi difensori formulando i motivi che di seguito vengono riportati.
Terranova Michele: 1) violazione di legge per mancato riconoscimento
dell’assorbimento del reato contestato al capo 1 in quello di cui al capo
51; sostiene il ricorrente che i circa 200 gr. di stupefacente (marijuana)
rinvenuti il 20.6.2008 e oggetto della detenzione contestata al capo 1),
erano stati raccolti nella piantagione di cui al capo 51, scoperta pochi
giorni dopo, il che portava all’assorbimento del reato di cui al capo 1) in
quello di cui al capo 51); 2) vizio di motivazione per la mancata
sussunzione della condotta di cui al capo 1) nella fattispecie attenuata di
cui al quinto comma dell’art. 73; 3) motivazione mancante o comunque
illogica sulla ritenuta responsabilità per il capo 2) che sarebbe consistito
in un fatto di semplice consumo personale; 4) violazione di legge per
mancato riconoscimento dell’assorbimento del reato contestato al capo 6)
in quello di cui al capo 1) o al capo 2) ; 5) violazione di legge per
mancato riconoscimento dell’assorbimento del reato contestato al capo 8)
in quello di cui al capo 1) o al capo 2); 6) violazione di legge per mancato
riconoscimento dell’assorbimento dei reati contestati ai capi 11) e 15) in
quello di cui al capo 1) o al capo 2); 7) violazione di legge per mancato
riconoscimento dell’assorbimento dei reati contestati ai capi 32), 35), 42)
e 43) in quello di cui al capo 30); 8) violazione di legge per mancato
riconoscimento dell’assorbimento di tutte le condotte contestate
all’imputato, ad eccezione di quelle di cui ai capi 0), 59), 65) e 69) della
rubrica, in quella di cui al capo 54); 9) violazione dell’art. 192, 3 co. cpp
per quanto riguarda l’art. 74; premesso il richiamo ai principi espressi da
questa Corte, il ricorrente sostiene che la motivazione della sentenza non
si è fatta carico dei rilievi formulati con l’appello in particolare circa
l’insufficienza delle telefonate del 29.6.2008 e 18.7.2008; 10) violazione
dell’art. 192, 3 co. cpp per quanto riguarda il mancato riconoscimento
dell’ipotesi di cui all’art. 74, co.6, tenuto conto che i singoli reati fine per
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la modestia del dato ponderale rientravano nella fattispecie di cui all’art.
73.

Puleio Domenico: 1) violazione dell’art. 606 lett. b) cpp , in relazione
all’art. 73 dPR 309/90, all’art. 192 cpp e all’art. 110 cp; il ricorrente
contesta la ritenuta responsabilità per i singoli reati con le seguenti
osservazioni: capo 1) la estraneità del Puleio alla detenzione era
dimostratq, dal fatto che non era risultata una condotta attiva del
ricorrente diretta al rinvenimento dello stupefacente, essendosi lo stesso
limitato ad accompagnare gli altri due, Terranova e Freni; in ogni caso tra
la condotta di cui al capo 1) e quella di coltivazione di stupefacenti di cui
al capo 51) vi è concorso apparente di norme e quindi assorbimento; capo
5)1′ iter argonnentativo è stereotipato e riecheggia l’ineccepibilità della
sentenza di primo grado disattendendo le deduzioni contenute nello
specifico motivo di appello; capo 16) sono stati disattesi i rilievi formulati
con l’appello secondo cui poteva trattarsi di destinazione della sostanza al
consumo personale come dimostrato dalla presenza di tre cartine; capo
51), la prova risiede solo nel fatto che accompagnò il cognato Terranova
sul luogo della coltivazione e che quest’ultimo durante il tragitto confidava
al ricorrente l’attività che avrebbe dovuto espletare sulla piantagione;
capo 62), la motivazione di condanna per la detenzione di 50 gr. di
stupefacente si basa solo sul giudizio di probabilità contenuto nel
provvedimento di custodia cautelare; capo 69), la prova si basa soltanto
su una intercettazione telefonica, senza tenere conto dei risultati negativi
della ricerca dello stupefacente di cui si parlava, pur immediatamente
effettuata dai Carabinieri; capi 5), 16), 62), 69) concorso apparente di
norme con il capo 51) trattandosi di sostanza proveniente dalla
coltivazione, come dedotto dalla difesa del Terranova; 2) violazione
dell’art. 606 lett. b) ed e) cpp , in relazione all’art. 74 dPR 309/90 di cui al
capo 0); secondo il ricorrente la motivazione resa si limita a ritenere
irrilevanti i contrasti e le rivalità interne tra i componenti della
associazione e non coglie la pregnanza e decisività del rilievo difensivo
circa la mancanza di elementi fattuali dai quali desumere la effettiva
esistenza di una struttura associativa; la ordinanza custodiale aveva
riconosciuto che ciascuno degli imputati agiva con “imponenti quanto
reciproci margini di indipendenza decisionale e gestionale” e / fin dal
giudizio di primo grado / la difesa aveva sostenuto che in presenza di
rapporti ripetuti tra soggetti che agiscono in posizioni contrattuali
contrapposte ovvero in concorrenza tra loro, per ritenere esistente una
associazione è necessario che tali comportamenti costituiscano
espressione di un progetto indeterminato volto al fine comune del
conseguimento del lucro da essi derivante e che gli interessati siano
consapevoli del ruolo svolto nell’economia del fenomeno associativo. La
motivazione dell’impugnata sentenza, posta la ritenuta autonomia
gestionale dell’attività di spaccio ascrivibile al singolo, non dà contezza
dimostrativa dell’esistenza di un accordo finalizzato a conseguire una
qualche comune utilità materialmente apprezzabile; 3) violazione dell’art.
606 lett. b) ed e) cpp , in relazione agli artt. 73 e 74 dPR 309/90 per il
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mancato riconoscimento della fattispecie attenuata di cui al sesto comma
dell’art. 74, tenuto conto che tutti i reti fine alla cui commissione era
indirizzato l’accordo associativo sono di lieve entità; 4) violazione dell’art.
606 lett. b) ed e) cpp , in relazione agli artt. 62 bis, 69 e 133 cp.

Guarnaccia Angelo: 1) violazione di legge e difetto di motivazione in
ordine alla sussistenza del reato associativo; secondo il ricorrente non è
stata data la prova, nonostante le censure formulate dalla difesa che non
hanno trovato risposta, della esistenza della associazione, che è stata
desunta dalla semplice commissione di fatti criminosi e dall’accertamento
di una coltivazione di cannabis, senza però fornire la prova della esistenza
di un vincolo permanente che dimostri l’esistenza di una consorteria
organizzata, continuativa e stabile; 2) violazione di legge e difetto di
motivazione in ordine alla partecipazione del Guarnaccia al reato
associativo; non vi è prova della adesione del medesimo alla presunta
associazione, ma solo, a tutto concedere, quella della conoscenza e
frequentazione di alcuni sodali tra cui in particolare il Fazio, giustificata
però dalla necessità di approvvigionarsi della sostanza stupefacente di cui
Guarnaccia faceva uso; 4) violazione di legge e difetto di motivazione in
ordine alla sussistenza dell’attenuante ex art. 73, co.5. e 74.co.6.
Freni Giuseppe: 1) violazione e falsa applicazione di legge; illegittimità
delle intercettazioni autorizzate e inutilizzabilità delle stesse. Il ricorrente
rappresenta che la Corte di appello ha erroneamente rigettato l’eccezione
della difesa relativa alla inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali
effettuate all’interno della autovettura in uso al predetto Freni,
intercettazioni che erano state autorizzate dal G.i.p. per l’ipotizzato reato
di incendio di uno stabilimento balneare e di una autovettura ai danni di
Alberto Cuppari, mai però contestato all’imputato. Secondo la corte
territoriale si trattava “sempre dello stesso procedimento e … in esito alle
indagini si è giunti alla incriminazione dei fatti per cui oggi è processo…”.
La suddetta motivazione si appalesa – secondo il ricorrente assolutamente erronea o frutto di un’interpretazione parziale del principio
formulato dalla giurisprudenza di legittimità. La Corte di Cassazione,
infatti, se da un lato ha consentito l’utiiizzabilità delle intercettazioni
anche in relazione ad altre ipotesi di reato, ha, altresi, posto dei limiti ben
precisi alla utilizzabilità delle stesse, precisando che “….tali evidenze
possono essere legittimamente utilizzate per provare la colpevolezza
dell’imputato purchè si inseriscano nel medesimo procedimento e
riguardino lo stesso accusato a cui siano addebitati fatti distinti ma
tuttavia connessi o collegati (sez. VI sentenza n.34735 del 14.16.2011).
Nel presente procedimento al Freni non solo non è mai stato contestato il
reato di incendio ma non sono neanche mai emersi gravi indizi di
colpevolezza a carico dello stesso che giustificassero l’autorizzazione alle
intercettazioni ambientali; né il reato di incendio è connesso o collegato ai
reati contestati al Freni. Sotto un secondo profilo l’ inutilizzabilità delle
intercettazioni ambientali all’interno della autovettura del Freni derivava
dal fatto che sia la richiesta del PM che il provvedimento del Gip facevano
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riferimento ad un’auto Opel Astra tg. DP387LV, diversa da quella del Freni
che era invece tg. DP387LU; gli stessi Carabinieri si avvedevano
dell’errore e con nota del 19.6.2009 sollecitavano la Procura a modificare
il decreto autorizzativo; modifica che non è mai intervenuta; i
provvedimenti di proroga hanno fatto riferimento al provvedimento
originario senza spiegare la ragione per la quale veniva autorizzata
l’intercettazione su una autovettura diversa da quella originariamente
indicata; 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 606 lett e) cpp; i
giudici di appello non si sono minimamanete curati di ,aRprofondire le
doglianze lamentate nei motivi di appello, onnettertdoll’obbligo
giuridico di fornire la dimostrazione di aver preso cognizione del
contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e di
averle meditate e ritenute coerenti con la propria decisione (Cass. S.U.
n.17/2000, Primavera ed altri). Nel caso di specie la Corte non si è
neanche soffermata ad esaminare i motivi di appello esposti nell’atto di
gravame in relazione ai capi 3 — 5— 7- 9 — 10 — 16 — 26 — 50 — 63 —
64 — 66 -70 — 71 — 72 contestati all’imputato, limitandosi
semplicemente a condividere la decisione del giudice di prime cure ed
evidenziando in relazione alle singole contestazioni “….questa Corte non
può ancora che concordare con il primo decidente, al quale invero basta
solo rinviare per maggiore completezza… (pagina 48 della sentenza di
appello), eludendo ~l’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 125
comma III cpp; 3) violazione e falsa applicazione dell’art. 606 lett e) cpp
in relazione al reato associativo e, in subordine, alla esistenza della ipotesi
attenuata di cui all’art. 74, co.6; negli ignorati motivi di appello si era
scritto che il giudice di primo grado aveva escluso la sussistenza
dell’attenuante ex art. 74 comma 6 sul presupposto (erroneo) che il
sodalizio in questione si fosse proposto finalità a più ampio raggio e che
pertanto avesse avuto nel programma criminoso quella finalità anche di
espansione, con predisposizione di mezzi su scala ben più ampia che, per
ciò stesso, esclude una rilevanza modesta di tale consorteria, per operare
progettualmente in più larga scala (pag. 21 sentenza); tale motivazione
della sentenza di primo grado non era condivisibile poiché non spiegava,
in punto di fatto, da quali elementi il giudice sbandierasse un principio
senza poi riuscire a collegarlo agli elementi fattuali offerti dal processo.
Difatti, la esistenza della contestazione relativa al capo 51), da sé sola,
non poteva giustificare il diniego del riconoscimento del 6′ comma posto
che tale condotta, tra l’altro contestata a soggetti diversi dal Freni, non è
incompatibile con l’ ipotesi di cui al 6′ comma invocata in quanto nulla
toglie che gli autori del fatto di cui al capo 51) (coltivazione) si servissero
della sostanza per commettere plurime e sistemiche ipotesi di cessione
rientranti nell’alveo del comma 5 dell’art. 73.
Tringali Marco e Tringali Maurizio, premessa la notazione circa la mancata
notifica a Tringali Maurizio e al suo difensore del deposito della sentenza,
lamentano: 1) inutilizzabilità delle intercettazioni effettuate
nell’autovettura di Freni Giuseppe perché nel decreto di autorizzazione era
stata indicata una diversa autovettura e perché le stesse erano state
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autorizzate per reati diversi (incendio dello stabilimento balneare e di una
autovettura) da quelli per la cui prova sono state utilizzate; 2) violazione
di legge e difetto di motivazione per quanto riguarda il reato ex art. 74,
essendo le condotte al più sussumibili nell’ipotesi del concorso di persone.
Gli stessi giudici hanno riconosciuto la forma autonoma della
responsabilità del Tringali.

Pino Giacomo 1) carenza di motivazione e violazione di legge in ordine
alla mancata assoluzione dal reato associativo contestato al capo 0);
sostiene il ricorrente che la motivazione per relationem adottata dalla
Corte di appello ha omesso ogni valutazione sul contenuto degli specifici
motivi di gravame e si è limitata alla semplice reiterazione delle
affermazioni contenute nella sentenza di primo grado senza nessuna
attenzione, in particolare, alla dimostrazione della adesione del Pino alla
congrega associativa; “Si glissa totalmente sull’interpretazione del
contenuto delle captazioni da cui chiaramente può evincersi come il
ricorrente abbia autonomamente agito, sia pure occasionalmente
relazionandosi con altri personaggi presenti nel processo, e si ricava la
certezza di come non sia mai stato organicamente inserito
nell’associazione”; 2) ) violazione di legge e difetto di motivazione in
ordine alla sussistenza dell’attenuante ex art. 74, co.6.
Fazio Erminio e Bongiorno Letterio hanno presentato un unico ricorso.
Con riferimento a Fazio si deduce: 1) violazione di legge e difetto di
motivazione in ordine alla sussistenza del reato associativo; il ricorrente
lamenta la genericità della motivazione data dalla Corte di appello in
risposta alle censure sviluppate con l’appello specie quanto a “strutture”
necessarie per la sussistenza del reato associativo; la corte di merito ha
ritenuto di potere confermare il giudizio di responsabilità emesso dal
giudice di primo grado rilevando semplicemente che “il dato
fondamentale, ai fini della configurabiltà del reato associativo previsto
dall’art. 74 dPR 309/90, si identifica nell’accordo complessivo fra i
componenti del sodalizio che si sostanzia, in definitiva, nella
programmazione di una serie indeterminata di reati in tema stupefacenti
con la piena disponibilità di ognuno dei componenti di muoversi
nell’ambito del sodalizio per il fine comune e con la conseguente
disponibilità incondizionata alla consumazione di singoli episodi criminosi”.
Osserva il ricorrente che quale dovrebbe essere la fonte di prova che, in
concreto, dovrebbe legittimare tale assunto, però, non è dato dedurre
dalla lettura della sentenza impugnata, senza contare che l’ asserita
attività associativa del gruppo, secondo la stessa formale contestazione,
si sarebbe protratta solo per un periodo inferiore a due mesi e solo per il
tempo necessario per la realizzazione dei singoli episodi di presunto
spaccio, il che evidenzia che, nella fattispecie in esame, quantomeno con
riferimento alla posizione di Fazio Erminio sarebbe ipotizzabile, a tutto
volere concedere, una mera compartecipazione di persone nel reato di
spaccio ( anche continuato ), ma non certamente una ipotesi di reato
associativo. La sentenza impugnata, in ogni caso, evidenzia una carenza
7

di prova con riferimento alla ritenuta adesione del ricorrente al “vincolo
permanente” nascente dall’accordo associativo. Tale “adesione” non può
ritenersi “presunta” ma andava ( e va ) concretamente “provata” anche
se desunta semplicemente dai’ u facta concludentia”, quali i contatti
continui fra gli spacciatori, i frequenti viaggi per il rifornimento della
droga, le basi logistiche, le forme di copertura ed i beni necessari per le
operazioni delittuose, le forme organizzative, sia di tipo gerarchico che
mediante la divisione di compiti fra gli associati. Per i singoli reati
rispettivamente ascritti, gli imputati avrebbero dovuto essere assolti per
non aver commesso il fatto. Per Fazio si tratta dei capi 8, 17, 22, 29, 31,
32, 34, 41, 42, 45, 46, 47 e 68) per i quali la responsabilità andava
esclusa; manca infatti la prova di qualsiasi collegamento con Terranova e
della partecipazione alla coltivazione contestata al capo 11; come già
ribadito nei motivi di appello, manca qualsiasi prova in base alla quale
può ritenersi accertato, con giudizio appagante, la ipotizzata attività di spaccio di sostanze stupefacenti da parte dell’odierno ricorrente,
che andava identificato al di là di ogni ragionevole dubbio. Il “dato
fattuale” attenzionato riguarda la mancanza di qualsiasi collegamento
con il coimputato Terranova, nel senso che le emergenze processuali non
consentono di ritenere alcuna partecipazione del Fazio alla asserita
attività di coltivazione e successiva detenzione della sostanza
stupefacente indicata al capo 11 della rubrica.L’esame delle intercettazioni
e, quindi delle varie conversazioni captate nell’arco temporale 21 giugno
26 luglio 2008, richiamate nei motivi di gravame, consentono di chiarire
in modo definitivo la posizione del ricorrente, in quanto dalle stesse, non
è possibile dedurre alcuna prova di acquisto di sostanze stupefacenti,
finalizzato alla successiva attività ci1 ,spaccio
o di vendita a terzi .La Corte
.
di merito, ha risolto il problema e 1 e rova sollevato dalla difesa, facendo
espresso riferimento a quanto dedotto dal primo giudice da pag. 52 a
pag. 60 della relativa sentenza, senza altro aggiungere sia pure per
censurare quanto dedotto nei motivi di gravame. L’argomento, però, non
appare soddisfacente in quanto, con i motivi di appello, era stato
contestato proprio il contenuto delle varie conversazioni che,
contrariamente a quanto sostenuto dal Gup, depongono per una attività
di acquisto e non già per una attività di spaccio. Secondo il parere della
difesa, quindi, Fazio Erminio, ammesso che la sua identificazione possa
essere ritenuta certa, può essere considerar d un mero acquirente di
sostanza stupefacente.
Per quanto riguarda la posizione del Bongiorno Letterio (capi 38, 39 e 44)
si ribadisce che il compendio probatorio non consente la identificazione
del “Lillo” nell’attuale ricorrente. Sul punto, quindi, la sentenza impugnata
non appare motivata congruamente sia sotto il profilo della identificazione
del prevenuto, sia sotto il profilo della presunta attività di spaccio, cosi
come contestato. La Corte, pur in presenza dei motivi di gravame, ha
rigettato quanto richiesto dalla difesa, limitandosi ad osservare ( fl. 78 )
che” per il primo decidente non vi sono dubbi circa la responsabilità del
Bongiorno in relazione a tutte le ipotesi di reato”. Invece, secondo il
ricorrente, gli accertamenti di P.G. compiuti sulla identificazione dell’
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odierno appellante, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, non
offrono alcuna certezza sulla identificazione del “Lillo” indicato nella
conversazione intercettata tra il Terranova ed il Guarnaccia”.Le stesse
“conversazioni”, ammesso che possano essere considerate utilizzabili,
non consentono neppure l’accertamento di una attività di spaccio.
CONSIDERATO IN DIRITTO

I
ricorsi
non
meritano accoglimento risultando infondati, o
manifestamente infondati, i motivi dedotti; motivi che, nella parte in cui
introducono censure di analogo contenuto possono essere esaminati
congiuntamente.
La prima questione che si pone all’attenzione del Collegio è quella
relativa alla eccepita inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche. Circa
il primo profilo di inutilizzabilità, quello relativo all’errore nella indicazione
del numero di targa, è del tutto corretta la motivazione espressa dalla
corte di appello secondo cui si è trattato di un semplice errore materiale,
limitato ad una delle lettere che identificavano la targa della autovettura
Opel Astra appartenente all’indagato Freni, al cui interno sono state
autorizzate le intercettazioni, che non ha comportato lesione alcuna al
diritto di difesa; si può in proposito richiamare il principio già espresso da
questa Corte (sez. I 2.2.2010 n.8218 Rv. 246628 ) secondo cui 1″erronea
indicazione del numero di targa nel testo del provvedimento autorizzativo
delle intercettazioni all’interno dell’autovettura in uso all’indagato
costituisce mera irregolarità dalla quale non discende l’inutilizzabilità
dell’intercettazione. Si può comunque ulteriormente osservare che,
essendo stato ìe procedimento celebrato con rito abbreviato, sarebbe in
ogni caso preclusa la deduzione di eventuali vizi che non assumano la
consistenza della inutilizzabilità patologica, evidentemente non ravvisabile
nella situazione dedotta. La censura risulta dunque sotto tale profilo
inammissibile.
Anche l’altro profilo non è fondato. La corte di appello ha ritenuto che le
intercettazioni fossero utilizzabili in quanto si trattava di un unico
procedimento, scaturito dalla originaria notizia di reato per incendio e poi
proseguito per i reati in materia di stupefacenti. I ricorrenti eccepiscono
l’assenza di collegamento tra le due ipotesi criminose, anche dal punto di
vista soggettivo, non essendo mai stato contestato a nessuno degli
indagati il reato di incendio del quale anzi non si hanno più notizie. Ora,
anche ammesso che l’eccezione possa non essere manifestamente
infondata – tenuto conto che secondo la recente giurisprudenza di questa
Corte (sez. VI 15.11.2012 n.46244 Rv.254285) la nozione di identico
procedimento, che esclude l’operatività del divieto di utilizzazione previsto
dall’art. 270 cod. proc. pen., prescinde da elementi formali come il
numero di iscrizione nel registro delle notizie di reato ed impone una
valutazione sostanziale, con la conseguenza che il procedimento è
considerato identico quando tra il contenuto dell’originaria notizia di
9

reato, alla base dell’autorizzazione, e quello dei reati per cui si procede vi
sia una stretta connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o
finalistico – resta ferma nel presente caso l’utilizzabilità delle
intercettazioni a norma della seconda parte del primo comma dell’art.
270, in quanto si trattava di intercettazioni indispensabili per
l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza,
quali appunto quelli in materia di stupefacenti.
Può altresì unitariamente essere esaminata la censura consistente nel
dedotto assorbimento delle condotte contestate con i singoli capi di
imputazione in altre, come puntualmente sopra precisato nel riportare i
motivi di ricorso di Terranova e Puleio che hanno formulato la relativa
eccezione. Si sostiene in sostanza che le condotte di detenzione o
cessione asseritamente commesse a breve distanza (spesso il giorno
successivo) da quelle aventi ad oggetto più ampia disponibilità di
stupefacente dovevano ritenersi assorbite in queste ultime in quanto si
trattava della detenzione o della utilizzazione della stessa sostanza;
ovvero che la detenzione di marijuana doveva essere assorbita nel
reato di coltivazione trattandosi di sostanza proveniente dalla coltivazione
di cui al capo 51 . Al riguardo la Corte di appello ha già opportunamente
messo in evidenza come l’eccezione sia infondata atteso che le condotte
contestate, quali risultanti dalla sentenza di primo grado che
dettagliatamente le ha descritte ed analizzate, erano tutte distinte e
costituivano autonomi episodi di disposizione di sostanza stupefacente, in
nessun modo potendosi ritenere provato che nei vari episodi si
discutesse della stessa sostanza contestata negli altri, secondo la tesi
prospettata dalla difesa; doveva trovare dunque applicazione la pacifica
giurisprudenza di questa Corte, diffusamente richiamata dalla Corte di
appello, che esclude l’assorbimento quando le azioni illecite non sono
contestuali, a nulla rilevando la eventuale brevità del tempo intercorrente
tra gli stessi (così sez. V 10.11.2000 n.4529 RV. 249252; sez. VI
6.10.2011 n.39288 Rv. 251056). A fronte di tali rilievi formulati dalla
sentenza di appello la difesa nulla ulteriormente deduce limitandosi in
particolare il Terranova a riproporre pedissequamente in questa sede il
contenuto dei motivi di appello, salvo un mero adeguamento formale,
onde anche per tale ragione il motivo non ha pregio difettando il requisito
della specificità che impone al ricorrente di adeguare le proprie censure al
contenuto delle motivazioni rese dal giudice la cui sentenza è impugnata.
Prendendo in esame i motivi di ricorso che riguardano l’accertamento
della responsabilità degli imputati, tutti i ricorrenti, sia in relazione al
reato associativo che ai singoli reati, si dolgono della mancanza di una più
approfondita disamina dei motivi di appello e rilevano che la sentenza si è
ampiamente richiamata a quella di primo grado. La censura evoca i limiti
in cui può ritenersi consentita la motivazione per relationem, tema sul
quale questa Corte (sez. V 15.2.2000 n.3751 Rv. 215722) ha chiarito
che è legittima la motivazione della sentenza di secondo grado che,
disattendendo le censure formulate con l’appello, si uniformi, sia per la
“ratio decidendi”, sia per gli elementi di prova, ai medesimi argomenti
10

valorizzati dal primo giudice, soprattutto se la consistenza probatoria di
essi è così prevalente e assorbente da rendere superflua ogni ulteriore
considerazione ovvero (sez. IV 17.9.2008 n.38824 Rv. 241062), nel caso
in cui le censure formulate a carico della sentenza del primo giudice non
contengano elementi di novità rispetto a quelli già esaminati e disattesi
dallo stesso, ribadendo di recente (sez. VI 7.3.2013 n. 17912 Rv.
255392) che il giudice di appello può motivare la propria decisione
richiamando le parti corrispondenti della motivazione della sentenza di
primo grado solo quando l’appellante si sia limitato alla mera
riproposizione delle questioni di fatto o di diritto già espressamente ed
adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice,
ovvero abbia formulato deduzioni generiche, apodittiche, superflue o
palesemente inconsistenti.
Nella presente ipotesi la sentenza di primo grado ha illustrato con
notevole ampiezza il materiale probatorio, riportando dettagliatamente,
per ogni singola contestazione riferita ad ogni singolo imputato, i dialoghi
intercettati nella autovettura del Freni tra i vari soggetti che via via vi si
trovavano e compiendo una approfondita e dettagliata ricostruzione del
loro tenore, sempre aderente alla concretezza delle parole usate e dei
riferimenti utilizzati, per pervenire in tal modo alla ricostruzione del
comportamento dei singoli imputati nel senso di conferma dell’ipotesi
accusatoria.
L’
evidenza dimostrativa di tale motivazione ha
evidentemente comportato la necessità di un minor approfondimento da
parte del giudice di appello in presenza di motivi di appello che mettevano
in discussione proprio e soltanto l’interpretazione dei dialoghi e la loro
evidenza dimostrativa. Inoltre, il giudice di appello, non si è limitato a
richiamarsi alla motivazione del primo giudice, ma ha analizzato, con
riferimento alle singole posizioni e alle singole imputazioni, i rilievi
formulati circa la ricostruzione del significato delle conversazioni
intercettate proposta dal primo giudice; degli stessi ha dato atto nella
sentenza, per ribadirne ogni volta l’infondatezza sia per le precisazioni che
lo stesso giudice di appello riteneva necessarie sia richiamandosi alla
precisione e accuratezza della sentenza di primo grado che dichiarava di
condividere, indicando le pagine della sentenza che di volta in volta
trattavano la posizione. Un tal modo di procedere non può essere tacciato
quale difetto di motivazione atteso che il giudice di appello ha
dimostrato di aver preso cognizione delle censure svolte con le singole
impugnazioni, di averle opportunamente valutate e meditate e di averle
respinte condividendo il percorso argomentativo già seguito del primo
giudice che sinteticamente richiamava, rinviando per l’analitica
descrizione dei fatti alla sentenza di primo grado.
Tanto precisato, non molto resta da dire in ordine alle censure svolte sui
singoli reati atteso che si tratta della riproposizione, ora pedissequa
(come per Terranova), ora con meri adeguamenti alla nuova veste del
ricorso per cassazione, di quelle già avanzate con l’appello e dalla Corte di
appello, come si è detto, esaminate una per una e respinte ; ciò è vero
anche per Freni, atteso che – a smentita di quanto il medesimo sostiene
con il presente ricorso – la sentenza di appello ha motivato su tutti i reati
11

al medesimo contestati a cominciare dal capo 1) alle pagine 18-21 e poi
sui capi 3,5,7,9,10,16,26,50,63,64,70,71,72,alle pagine da 36 a 50.
In ogni caso è evidente altresì la inammissibilità delle stesse in quanto come risulta dalla illustrazione dei motivi sopra riportata – esse deducono
censure in fatto.
Al riguardo è il caso di ribadire che ai sensi dell’art. 606 lett. e) cpp i vizi
della motivazione (anche il travisamento dei fatti deducibile sotto questo
profilo) devono risultare “dal testo del provvedimento impugnato” ,
mentre non possono derivare da un controllo della Corte di Cassazione
sulla interpretazione e valutazione delle prove, che è compito del giudice
di merito. Anche a seguito delle modifiche introdotte all’ 606, comma
primo, lett. e) cod. proc. pen. dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, il
ricorso non può riguardare la verifica della rispondenza delle
argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata alle
acquisizioni processuali e non è consentito sollecitare alla Cassazione una
rilettura degli elementi di fatto, atteso che tale valutazione è riservata in
via esclusiva al giudice del merito. Il sindacato della Cassazione è
limitato alla sola legittimità, sì che esula dai poteri della stessa un tale
controllo anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e
più adeguata valutazione delle risultanze processuali. Alla luce di tali
principi risultano inammissibili le censure dei vari imputati atteso che con
le stesse viene proposta una valutazione alternativa delle risultanze
processuali che non consentirebbe una sufficiente indicazione della sua
responsabilità. Non sono invece evidenziate, come richiesto dalla norma,
manifeste carenze o illogicità della motivazione, rese immediatamente
palesi dalla lettura della sentenza impugnata e di quella, come noto
integrativa, di primo grado e nella specie, per quanto sopra si è detto,
correttamente richiamata.
Un cenno merita la posizione di Fazio solo per ricordare che la questione
della identificazione è stata risolta fin dalla sentenza di primo grado (che
riporta le conversazione che fanno riferimento ad Erminio) e che la sua
attività di venditore è stata correttamente ricavata dal tenore dei dialoghi
intercettati.
Anche per Bongiorno la corte di appello ha risposto ai dubbi sollevati
circa la sua identificazione (rilevando che in una telefonata egli è indicato
con nome e cognome) e circa l’attività di spaccio dal medesimo posta in
essere.
Vv
Quanto a Tringali Maurizio, non può accogliersi il j2ST:22 che eccepisce la
mancata notifica della sentenza di appello sia all’imputato che al
difensore, dal momento che dall’esame degli atti risulta invece che la
sentenza è stata notificata all’imputato in data 10.7.2012, come da
annotazione riportata sulla stessa sentenza; mentre l’omissione nei
confronti del difensore (cui la notifica è stata effettuata nella stessa data
solo come difensore dell’altro imputato Tringali Marco) risulta sanata
avendo il medesimo difensore, depositato ricorso per entrambi nel
termine di legge.
\
Anno h.

12

Terranova, con riferimento al capo 1), e Guarnaccia, in generale, hanno
sollevato la questione dell’applicabilità dell’attenuante di cui al quinto
comma dell’art. 73, deducendo sostanzialmente che sarebbe stato violato
il principio fissato in materia dalla giurisprudenza di questa Corte secondo
cui deve aversi riguardo alla minima offensività del fatto, tenuto conto per
Guarnaccia della parziale destinazione all’uso personale. La censura non
può essere accolta dal momento che la sentenza impugnata ha fatto
corretta applicazione dei principi esistenti in materia secondo cui
l’attenuante compete solo in ipotesi di minima offensività della condotta,
deducibile sia dal dato quantitativo e qualitativo, sia dagli altri parametri
richiamati dalla norma, con la conseguenza che ove venga meno anche
uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale
presenza degli altri (sez. un. 21.9.2000 n. 17, Primavera ed altri, Rv.
216668; da ultimo sez. 4, 27.5.2010 n. 31663, Ahmetaj, Rv. 248112).
Nella specie risulta assorbente il dato ponderale delle singole
contestazioni che attengono a quantità tutt’altro che trascurabili (200 gr.
di marijuana per Terranova, 50, 40 o 10 gr. per Guarnaccia) dato
quantitativo incompatibile con il riconoscimento dell’attenuante in parola
anche tenuto conto della qualità di assuntore della sostanza del
Guarnacia; la ripetitività del comportamento e la diffusività dello spaccio
rendono non illogico, e dunque non censurabile, il giudizio negativo anche
per quelle ipotesi in cui non è individuato l’esatto quantitativo detenuto.
Passando ad esaminare le censure relative alla sussistenza
dell’associazione finalizzata al traffico di droga, sollevate in generale da
tutti i ricorrenti cui il reato è stato contestato, è già stato da questa Corte
puntualizzato che tanto il codice penale (artt.416 e 416 bis) quanto il
testo unico delle leggi sugli stupefacenti (art.74 d.P.R. n.309 del 1990)
non recano nozioni definitorie dell’associazione che intendono reprimere,
ma rimandano l’interprete a concetti socialmente diffusi sia per percepire
l’essenza dell’associazione che per delinearne la distinzione, imposta dallo
stesso codice penale, dal concorso di persone nel reato in genere e nel
reato continuato in specie. Fenomeni questi che hanno in comune una
pluralità di individui che si accordano per la realizzazione di un fine, con la
differenza che nel concorso di persone il fine è costituito da un individuato
reato o da un certo numero reati, predeterminati sin dall’inizio della
collaborazione e strumentali ad un unico disegno storicamente
precisabile, mentre nell’associazione lo scopo comune, oggetto
dell’incontro di volontà, consiste nel programma di commettere, cogliendo
le opportunità che via via si presentano, una pluralità indefinita di reati,
sia pure dello stesso genere.
In questo modo l’accordo associativo crea un vincolo permanente, per la
consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio e di
partecipare con contributo causale alla realizzazione di un duraturo
programma criminale. Ed il legislatore, conscio del grave pericolo per
l’ordine pubblico di una simile intesa, la promuove a reato di per sè, a
prescindere dalla consumazione o meno dei delitti programmati.
Tali dunque le caratteristiche del delitto e la “ratio” dell’incriminazione, ne
discende a corollario la secondarietà degli elementi organizzativi che si
13

pongono a substrato del sodalizio, la cui sussistenza è richiesta nella
misura in cui dimostrano che l’accordo può dirsi seriamente contratto, nel
senso cioè che l’assoluta mancanza di un supporto strumentale, priva il
delitto del requisito dell’offensività. Ma tanto sta pure a significare che,
sotto un profilo ontologico, è sufficiente un’organizzazione minima perché
il reato si perfezioni e che la ricerca dei tratti organizzativi, spesso
presente nelle pronunzie giurisdizionali, non è diretta a dimostrare
l’esistenza di elementi costitutivi del reato, ma a provare, attraverso dati
sintomatici, l’esistenza di quell’accordo tra tre o più persone diretto a
commettere più delitti, accordo in cui il reato associativo, come già si è
osservato, di per sè si concreta.
Tali concetti risultano di recente autorevolmente espressi dalla stessa
Corte Costituzionale (sentenza n.231 del 2011) che nel dichiarare la
illegittimità costituzionale della presunzione assoluta di adeguatezza della
custodia cautelare in carcere stabilita dall’art. 275, comma 3, secondo
periodo, cod. proc. pen., per il reato in esame, così si è espressa “il
delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze
stupefacenti o psicotrope si concreta …. in una forma speciale del delitto
di associazione per delinquere, qualificata unicamente dalla natura dei
reati-fine (i delitti previsti dall’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990). Per
consolidata giurisprudenza, essa non postula necessariamente la
creazione di una struttura complessa e gerarchicamente ordinata,
essendo viceversa sufficiente una qualunque organizzazione, anche
rudimentale, di attività personali e di mezzi economici, benché semplici ed
elementari, per il perseguimento del fine comune. Il delitto in questione
prescinde, altresì, da radicamenti sul territorio, da particolari collegamenti
personali e soprattutto da qualsivoglia specifica connotazione del vincolo
associativo, tanto che, ove questo in concreto si presentasse con le
caratteristiche del vincolo mafioso, il reato ben potrebbe concorrere con
quello dell’art. 416- bis cod. pen. (come già ritenuto dalle Sezioni unite
della Corte di cassazione: sentenza 25 settembre 2008-13 gennaio 2009,
n. 1149). Si tratta, dunque, di fattispecie, per così dire, “aperta”, che,
descrivendo in definitiva solo lo scopo dell’associazione e non anche
specifiche qualità di essa, si presta a qualificare penalmente fatti e
situazioni in concreto i più diversi ed eterogenei: da un sodalizio
transnazionale, forte di una articolata organizzazione, di ingenti risorse
finanziarie e rigidamente strutturato, al piccolo gruppo, talora persino
ristretto ad un ambito familiare ….. operante in un’area limitata e con i
più modesti e semplici mezzi”. Proprio per l’eterogeneità delle fattispecie
concrete riferibili al paradigma punitivo astratto, ricomprendenti ipotesi
nettamente differenti quanto a contesto, modalità lesive del bene protetto
e intensità del legame tra gli associati, non è dunque possibile enucleare
una regola di esperienza, ricollegabile ragionevolmente a tutte le
«connotazioni criminologiche» del fenomeno, secondo la quale la
custodia carceraria sarebbe l’unico strumento idoneo a fronteggiare le
esigenze cautelari. In un significativo numero di casi, al contrario, queste
ultime potrebbero trovare risposta in misure diverse e meno afflittive, che
valgano comunque ad assicurare – nei termini in precedenza evidenziati 14

la separazione dell’indiziato dal contesto delinquenziale e ad impedire la
reiterazione del reato”.
Tanto premesso, venendo alla situazione in esame , a torto si lamenta da
parte dei ricorrenti la mancanza degli elementi minimi necessari a
dimostrare l’esistenza della associazione ovvero il mancato accertamento
di strutture appositamente costituite insistendosi sulla mancata adesione
alla associazione per avere i ricorrenti autonomamente agito, anche in
posizioni tra loro contrapposte. I giudici di entrambi i gradi hanno messo
in luce, sulla base delle risultanze investigative rappresentate dalla
disponibilità di coltivazioni di cannabis indica (una caduta sotto sequestro
ed altra indicata con chiari riferimenti nelle conversazioni) e dalle
intercettazioni – e particolarmente significativi si rivelano i dialoghi
riportati nella sentenza di primo grado in cui i vari sodali parlano
incessantemente e diffusamente della loro attività di rifornimento e
spaccio di stupefacenti scambiandosi notizie sulle rispettive disponibilità
ed intenzioni, sui nascondigli utilizzati, sulle vendite effettuate, sui prezzi
e i guadagni ottenuti, prestandosi assistenza sia nel reperimento della
merce che nel rinvenimento della stessa nei vari nascondigli da cui
emerge un quadro di assoluta confidenza tra i soggetti e di totale
condivisione della attività illecita anche con riferimento a quantitativi
tutt’altro che trascurabili – l’esistenza di una stabile se pur rudimentale
rete organizzata dedita alla gestione del traffico illecito, caratterizzata
dalla costante cointeressenza dei singoli e dalla assoluta disponibilità di
tutti a fornire il loro permanente contributo alla gestione del commercio di
droga nella quale, pur nella ritenuta posizione di sostanziale parità tra gli
appartenenti, è emerso il ruolo rilevante rivestito dal Terranova;
particolarmente significative per la prova del reato associativo appaiono
poi le sue dichiarazioni risultando dalla sentenza di primo grado che il
medesimo aveva fatto riferimento in alcune conversazioni ai propri
“carusi” ed a soggetti che egli ” non faceva più lavorare” . Né, come ha
osservato la sentenza qui impugnata, può valorizzarsi in contrario la
circostanza dei contrasti o rivalità a volte esistenti fra i diversi
componenti, essendo ciò collegato al tipo di associazione di cui si discute
e alla modalità del suo funzionamento che vedeva tutti impegnati in una
attività di reperimento e spaccio di sostanza stupefacente sul territorio,
evidentemente concorrenziale tanto più che essendo gli stessi imputati
assuntori di stupefacente avevano necessità dello spaccio anche per
rifornirsi di quanto loro necessitava per uso personale ed erano
particolarmente sensibili a non perdere il proprio ruolo e per così dire il
proprio lavoro. Anche la stabilità del vincolo è acclarata dalle sentenze
impugnate atteso che dai dialoghi risulta l’assoluta confidenza tra i
singoli ed il riferimento a comportamenti abituali e routinari a
prescindere dalla durata delle intercettazioni che si sono svolte nel corso
della sola estate 2008.
Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, tutti i ricorrenti hanno
censurato il mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui al comma VI
dell’art. 74, censura che risulta però priva di pregio atteso che tale
15

In conclusione tutti i ricorsi meritano rigetto con conseguente
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q. M .

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 24.10.2013.

valutazione è stata logicamente motivata dalla Corte di appello facendo
riferimento alla ramificazione della associazione, estesa su un territorio
abbastanza vasto della zona Ionica della provincia peloritana, ai rapporti
stretti tra tutti gli associati, alla quantità di sostanza commercializzata sia
pure nel corso della sola estate 2008, epoca in cu si sono svolte le
indagini. Peraltro costituisce giurisprudenza costante quella secondo cui
l’ipotesi associativa prevista dal comma sesto dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del
1990 richiede, quale imprescindibile condizione, che tutte le singole
condotte commesse in attuazione del programma criminoso siano
sussumibili nella fattispecie dei fatti di lieve entità e di minima offensività
previsti dall’art. 73, comma quinto, del medesimo d.P.R. n. 309.
Da ultimo Puleio ha formulato un motivo di ricorso con cui censura la
determinazione della pena, motivo inammissibile atteso che a fronte della
determinazione della pena complessiva in anni sei di reclusione le
generiche censure del ricorrente in ordine a pretese carenze
motivazionali della sentenza impugnata risultano manifestamente
infondate non tenendo conto dei rilievi formulati dai giudici di merito in
ordine alla gravità dei fatti e alla correlativa adeguatezza della pena
determinata, rilievi corretti e logici e pertanto insindacabili.

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