Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49094 del 22/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 49094 Anno 2013
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LA MESA PAOLO N. IL 28/06/1952
DI GIANDOMENICO MARCO N. IL 29/09/1972
avverso la sentenza n. 268/2005 CORTE APPELLO di CATANIA, del
02/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA
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Data Udienza: 22/10/2013

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Ritenuto in fatto
Ricorrono per cassazione La Mesa Paolo e Di Giandomenico Marco, tramite i rispettivi
difensori di fiducia, avverso la sentenza emessa in data 2.10.2012 dalla Corte di
Appello di Catania che, in parziale riforma di quella in data 21.5.2004 del Tribunale di
Siracusa, dichiarava l’improcedibilità nei confronti di Sannito Luisa in relazione ai
reati sub capi I) ed L) perché estinti per prescrizione, mentre confermava la predetta
sentenza in relazione agli altri imputati, tra cui La Mesa Paolo e Di Giandomenico
Marco, condannati per il reato di cui al capo F) (acquisto, detenzione e cessione di

(La Mesa) e di anni 5 e mesi 8 di reclusione ed C 2.000,00 di multa (Di
Giandomenico).
Nell’interesse di La Mesa Paolo si deducono i motivi di seguito sinteticamente riportati.
1.

La violazione di legge in relazione ai riscontri alle dichiarazioni rese dal
collaborante Caruso e all’identificazione del La Mesa nel “Paolo” di cui
parlavano Caruso e Di Giandomenico nelle conversazioni intercettate del
30.11.1999 e 1.12.1999.

2.

La motivazione apparente in ordine al rigetto del motivo d’appello concernente
l’asprezza della pena comminata.

3.

Il vizio motivazionale in ordine al diniego del riconoscimento dell’attenuante di
cui al 5° comma dell’art. 73 dPR 309/1990.

Nell’interesse di Di Giandomenico Marco si articolano i motivi di seguito riportati in
sintesi.
1.

Il vizio motivazionale in relazione alle censure sollevate con l’atto di appello e
con i motivi aggiunti in ordine al contenuto di 3 intercettazioni ambientali,
all’individuazione degli interlocutori delle conversazioni ivi contenute,
all’intestazione dell’utenza telefonica n. 3470676675 in uso al ricorrente; alle
dichiarazioni testimoniali di appartenenti alla P.G., al provvedimento del
Magistrato di Sorveglianza di Siracusa del 23.5.2000, al verbale di
perquisizione domiciliare del Di Giandomenico del 17.4.2000.

2.

Il vizio motivazionale circa: il ruolo di primo piano attribuito al Di
Giandomenico dalle sentenze di merito sulla scorta delle dichiarazioni del sig.
Caruso in contrasto con altre emergenze probatorie; la ritenuta intrinseca
credibilità del coimputato ex art. 210 c.p.p.; la carenza dei riscontri
individualizzanti con violazione dell’art. 193 c.p.p..

3.

Il vizio motivazionale in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante di
cui al 5° comma dell’art. 73 dPR 309/1990.

4.

La violazione di legge e la carenza di motivazione circa il diniego del
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Considerato in diritto

2

eroina e cocaina) alle rispettive pene di anni 8 di reclusione ed C 3.000,00 di multa

I ricorsi sono inammissibili essendo basati su censure manifestamente infondate ed
aspecifiche, oltre che non consentite in questa sede di legittimità.
A parte l’estrema genericità del primo motivo del ricorso del Di Giandomenico e la
natura di censura di mero fatto della prima doglianza rappresentata con il ricorso del
La Mesa, è palese, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, la sostanziale
aspecificità delle censure mosse che hanno riproposto in questa sede
pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale
e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed

4 E sItato affermato che “è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi
che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del
gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del
motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come
indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato
senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett.
c), all’inammissibilità” (Cass. pen. Sez. IV, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e
successive conformi, quale: Sez. II, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).
La sentenza impugnata, infatti, ha fornito esaustiva motivazione in ordine sia
all’intrinseca credibilità del propalante Caruso sufficientemente verificata (pagg. 4 e 7
sent.), sia ai riscontri alle dichiarazioni rese dal predetto (v. il rinvenimento presso
l’abitazione del La Mesa di un’agendina telefonica contenente i nominativi sia del
Caruso che del Giandomenico e di due schede telefoniche TIM nonché di un codice
PIN relativo ad un’utenza cellulare che sono risultate ripetutamente contattate dalle
utenze cellulari del Caruso e del Giandomenico), sia all’identificazione di entrambi i
ricorrenti nelle conversazioni intercettate (pagg. 5 e 9 sent.). Al riguardo, vai poi la
pena di rammentare che “in materia di intercettazioni telefoniche, l’interpretazione del
linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa
alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se
motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza” (Cass.
pen. Sez. VI, n. 15396 del 11.12.2007 Rv. 239636 ed altre conformi, quale: Sez.
VI, n. 11794 del 11.2.2013, Rv. 254439) e che le dichiarazioni accusatorie rese ex
art. 210 c.p.p. richiedono riscontri di qualsiasi natura, ma comunque attinenti alla
individuale posizione dell’incolpato, la cui idoneità a confermare l’attendibilità del
dichiarante va valutata con minor rigore quando la vicenda da questi narrata sia già
nei suoi aspetti obiettivi riscontrata (Cass. pen. Sez. I, n. 9531 del 22.3.1999, Rv.
215129).

3

assolutamente plausibile.

Così la 4orve g lianza

speciale alla quale era effettivamente sottoposto il Di

Giandomenico ed alla quale si riferisce il Caruso (pag. 9 sent.), laddove alla libertà
vigilata e alla degenza ospedaliera nel dicembre 1999, come ostative della libertà di
movimento, accenna solo il ricorrente per trarne dubbi, del tutto congetturali e
forzati, circa la possibilità di accompagnare il Caruso nei suoi viaggi settimanali a
Palagonia per i rifornimenti di stupefacente, così insinuando, con la prospettazione di
ulteriori contraddizioni, l’inattendibilità del propalante.
Ma a tal riguardo si rammenta che (Cass. pen. Sez. IV, 24 ottobre 2005, n. 1149, Rv.

compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in
esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente
che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze,
spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo
convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso
devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e
ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni suddette”.
Del resto, anche alla luce del nuovo testo dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett.
e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non è tuttora consentito alla
Corte di cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una
rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti
riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Quanto alle residue censure, si evidenzia che in tema di determinazione della misura
della pena, il giudice del merito, con la enunciazione, anche sintetica, dell’eseguita
valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen., assolve
adeguatamente all’obbligo della motivazione: tale valutazione, infatti, rientra nella
sua discrezionalità e non postula un’analitica esposizione dei criteri adottati per
addivenirvi in concreto (da ultimo, Cass. pen. Sez. II, del 19.3.2008 n. 12749 Rv.
239754).
Tanto meno, può ritenersi alcuna violazione delle richiamate norme poste a presidio
della determinazione della pena, laddove il giudice, nell’ambito dell’anzidetta sua
discrezionalità, abbia dato conto delle ragioni su cui ha basato la quantificazione della
sanzione esplicitandone correttamente il calcolo.
Inoltre, la valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche,
ovvero in ordine al giudizio di comparazione delle circostanze, nonché per quanto
riguarda in generale la dosimetria della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice
il cui esercizio se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’articolo 133
c.p., è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di
4

233187) “nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a

ragionamento illogico: evenienza che nel caso di specie non ricorre per alcuno dei due
ricorrenti.
Quanto al contestato diniego dell’invocata attenuante della lieve entità di cui al 5°
comma dell’art. 73 dPR n. 309 del 1990, la motivazione della sentenza impugnata è
anche sul punto del tutto congrua e corretta (pagg. 6 e 10 sent.) facendo esatta
applicazione della normativa di settore, come costantemente interpretata dalla Corte
di legittimità, secondo la quale in tema di sostanze stupefacenti, ai fini della
concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, il

sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli
che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze
stupefacenti oggetto della condotta criminosa): dovendo, conseguentemente,
escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi
porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di “lieve entità” (di
recente, Cass. Pen. Sez. IV, n. 43399 del 12.11.2010, Rv. 248947).
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p.,
la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma, che si
ritiene equo liquidare in C 1.000,00, per ciascuno in favore della cassa delle
ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della
causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al pagamento della somma di C 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22.10.2013

giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma,

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