Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49072 del 05/10/2017

Penale Sent. Sez. 6 Num. 49072 Anno 2017
Presidente: CARCANO DOMENICO
Relatore: TRONCI ANDREA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A.

avverso la sentenza del 07/05/2015 della CORTE APPELLO di ANCONA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/10/2017, la relazione svolta dal
Consigliere ANDREA TRONCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Sost. ANTONIO BALSAMO, che ha
concluso per il rigetto del ricorso;

Uditi i(difensore Avv. FABIO PIERDOMINICI, per l’imputato, ed Avv. ROMANO
NARDI, per la costituita parte civile, i quali hanno chiesto, rispettivamente,
l’accoglimento ed il rigetto del ricorso;

Data Udienza: 05/10/2017

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 07.05.2015, la Corte di Appello di Ancona, in

accoglimento dell’impugnazione proposta dal competente p.m. ed in riforma
della pronuncia liberatoria emessa dal g.u.p. del Tribunale di Macerata,
dichiarava A.A. colpevole del reato ascrittole di falsa testimonianza,
posta in essere nel corso della deposizione resa in seno alla causa civile, ex art.

B.B., per l’effetto condannandola, con le concesse attenuanti generiche
ed il beneficio della sospensione condizionale, a pena di giustizia, nonché alle
connesse statuizioni civili.
Esponeva in proposito la Corte dorica che, ferma la sicura falsità delle
dichiarazioni rese dall’imputata nel corso della sua deposizione testimoniale,
erroneamente il primo giudice aveva reputato di applicare la causa estintiva della
ritrattazione, essendo quest’ultima intervenuta innanzi allo stesso g.u.p., giusta
memoria prodotta all’udienza del 23.01.2013, dunque quando già da tempo il
relativo procedimento civile era stato definito, con provvedimento del
18.07.2011, non potendo pertanto dirsi integrati i requisiti richiesti dal capoverso
dell’art. 376 cod. pen.

2.

Avverso detta sentenza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il

difensore di fiducia dell’imputata.
Assume il legale ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe inficiata da
“inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 376 (comma 2) del codice penale
e dell’art. 703 del codice di procedura civile”.
Più precisamente, rileva il ricorso che, all’atto della ritrattazione, il giudizio
possessorio, definito con la su ricordata ordinanza del luglio 2011, non era stato
seguito dall’instaurazione del giudizio di merito, mentre, sotto altro profilo, il
giudizio petitorio, al tempo da poco instaurato, era ben lungi dall’esser stato
definito, sia pur solo in primo grado.
Di qui la tempestività della ritrattazione, correttamente ritenuta tale dal
giudice di prima istanza – al di là della non puntuale motivazione adottata,
incentrata sulla (erroneamente) ritenuta pendenza del giudizio possessorio – e
malamente negata dalla Corte territoriale, dimentica, oltre che dell’obbligo di
motivazione rafforzata imposto in caso di reformatio in peius della sentenza di
primo grado, del consolidato insegnamento di legittimità, secondo cui
l’espressione “sentenza definitiva” – che compare nel capoverso dell’art. 376

,c

703 cod. proc. civ., promossa da E.E. e M.M. nei confronti di

cod. pen. ed il cui mancato avvento costituisce precisa ed insormontabile
condizione per l’operatività della speciale causa di non punibilità disciplinata dalla
norma citata – deve intendersi come “sentenza emessa in primo grado, in
appello o in sede di rinvio, con cui viene completamente deciso il merito”. Il che
– si assume ancora – non si attaglia affatto all’ordinanza con cui, come nella
fattispecie, è stato definito il giudizio possessorio, in proposito essendo
sintomatico che l’attuale testo dell’art. 703 del codice di rito civile, quale

stabilisca non esser più necessario intraprendere il giudizio relativo al c.d.
“merito possessorio”, tanto valendo viepiù a comprovare l’assenza, in detta
ordinanza, del necessario carattere di definitività; circostanza, quest’ultima, che
consente di rispondere all’obiezione di chi volesse porre l’accento sul potenziale
carattere di stabilità del provvedimento in questione – stante il carattere
meramente eventuale della fase a cognizione piena – che lo stesso non può in
alcun modo rivestire la chiesta “natura di decisione di merito”.

3.

Con memoria depositata in data 20 settembre u.s., il patrono di parte ciivle

ha contestato la fondatezza della illustrata impostazione giuridica, rilevando
come, per effetto delle ricordate modifiche apportate all’art. 703 cod. proc. civ.
dalla ricordata legge del 2005, “l’ordinanza emessa all’esito della fase interdittale
è caratterizzata da una insita natura di definitività che evoca la stabilità del
giudicato di cui all’art. 2909 c.c”, posto che la tutela da essa apprestata potrebbe
essere posta in discussione solo dagli esiti del giudizio petitorio, “che, tuttavia,
andrebbe ad inficiare non la caratteristica di giudicato/definitività dell’ordinanza
(che mantiene la sua validità ed efficacia) ma che, andando ad incidere
sull’accertamento di diritto sostanziale sotteso alla tutela possessoria, potrebbe
vanificare gli effetti pratici dell’ordinanza interdittale”: donde la tardività,
correttamente rilevata dalla Corte territoriale, della ritrattazione compiuta
dall’odierna imputata, coerentemente alla ratio che presiede alla causa di non
punibilità qui invocata, che è quella di far “venir meno la situazione di pericolo e
scongiura(re) una errata pronuncia giudiziale”, da ritenersi ormai vanificata e
non più perseguibile in ipotesi quale quella in esame. Ciò a prescindere dal dato
– oggetto di specifica doglianza formulata con l’appello a suo tempo proposto e
non preso in esame dalla Corte di Ancona, in quanto ritenuto assorbito
dall’accoglimento del motivo incentrato sulla tardività della ritrattazione – circa
l’assenza di un reale carattere di ritrattazione nelle dichiarazioni della A.A.
contenute nella memoria del 23.01.2013.


3

risultante per effetto delle modifiche introdotte con la novella n. 80/2005,

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il ricorso proposto non riveste reale fondamento e va pertanto disatteso,

con le connnesse statuizioni di legge.

2.

Va innanzi tutto premesso come il riferimento al principio della motivazione

c.d. rafforzata, in effetti elaborato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità

non sia stato correttamente evocato nella presente fattispecie (non a caso, forse,
constando solo di un breve cenno). Il principio, invero, trova la sua ragion
d’essere allorché l’anzidetto ribaltamento sia frutto di un diverso apprezzamento
delle risultanze probatorie, ma è del tutto estraneo al caso – qui ricorrente – in
cui le antitetiche risposte offerte abbiano il loro presupposto nell’esistenza a
monte di una questione di diritto, difformemente risolta dai giudici dì merito, ma,
come tale, suscettibile di un’unica soluzione corretta.

3.

Fermo quanto sopra, il ragionamento giuridico sviluppato dalla Corte

distrettuale è esente da censure di sorta.
Com’è noto, la causa di non punibilità della ritrattazione è diversamente
disciplinata dall’art. 376 cod. pen., a seconda che le dichiarazioni false siano
state rese in seno ad un procedimento penale, ovvero in una causa civile (da
intendersi in senso ampio, comprensivo anche delle cause amministrative): più
precisamente, secondo il primo comma della disposizione in questione,

“il

colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo
ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la
chiusura del dibattimento”; a norma del comma successivo, invece, “Qualora la
falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole non è punibile se ritratta il
falso e manifesta il vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata
sentenza definitiva, anche se non irrevocabile”.
In proposito, è opportuno rilevare che, ancorché la sicura identità di ratio
sottostante alla causa di non punibilità che ne occupa, nella sua integralità – vale
a dire, la finalità di evitare il rischio di un’errata decisione giudiziaria, frutto
dell’inquinamento della fonte probatoria creato dalle false dichiarazioni – abbia
inizialmente determinato la giurisprudenza, nel solco di un’autorevole dottrina,
ad affermare che anche la ritrattazione avente ad oggetto false dichiarazioni rese
in ambito civile deve trovare la propria sede nel medesimo procedimento in cui il
colpevole ha reso il proprio ufficio (cfr. Cass. Sez. 3, sent. n. 1190 del

Ì‘
4

nell’ipotesi di ribaltamento in appello di una sentenza assolutoria di primo grado,

07.04.1964, Rv. 099164), successivamente la stessa giurisprudenza di
legittimità si è assestata e consolidata nel senso che la ritrattazione di una falsa
testimonianza commessa in un giudizio civile possa essere efficacemente
compiuta anche nel processo penale promosso al fine dell’accertamento del reato
di cui all’art. 372 cod. pen., attesa la diversità del dato testuale rispetto al primo
comma, fermo restando il requisito esplicitamente richiesto dell’anteriorità della
ritrattazione rispetto alla sentenza che pronuncia sulla domanda giudiziale

sent. n. 42502 del 28.09.2012, Rv. 253618, ma già Sez. 6, sent. n. 2344 del
06.12.1969, Rv. 114430 e n. 1266 del 27.10.1970, Rv. 116107). Ed invero,
avere il legislatore distinto le ipotesi, dedicandovi due differenti commi, espressi
con terminologia non omogenea, non può che indurre l’interprete a ritenere che
le due situazioni sono state consapevolmente – e non illogicamente, in ragione
della diversità del processo penale e civile e degli interessi in gioco – sottoposte
a requisiti difformi, tassativamente espressi dalla legge e non estensibili al di là
di quanto previsto, sulla base di interpretazione estensiva o analogica.
Venendo ora al requisito della tempestività della ritrattazione, è ricorrente
nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione per cui la pronuncia cui fa
riferimento il legislatore deve essere intesa come “la sentenza emessa in primo
grado, in appello o in sede di rinvio, con cui viene completamente deciso il
merito” (così la già citata sent. n. 42502 del 28.09.2012, Rv. 253618, nonché
Sez. 6, sent. n. 6169 del 19.04.1996, Rv. 205083). Affermazione che – come
detto – il difensore ricorrente ha valorizzato, onde escluderne la presenza nel
caso in esame; sennonché siffatta esegesi non è affatto corretta.
L’espressione testé riportata deve essere ovviamente correlata al dato
normativo, con cui – si ripete ancora una volta – il legislatore si è limitato ad
esigere, ai fini dell’efficacia della ritrattazione delle false dichiarazioni rese in
ambito civile (o amministrativo), che essa intervenga “prima che sulla domanda
giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non irrevocabile”.
Dunque, la sentenza cui ha riguardo il disposto dell’art. 376 cpv. cod. pen. è
quella che si pronuncia, ancorché non irrevocabilmente in quanto suscettibile
d’impugnazione, sul petitum introdotto dall’attore o dal ricorrente, tanto valendo
a significare – e, quindi, ad escludere – che dal novero di tali sentenze vanno
senza meno escluse quelle interlocutorie o incidentali, come pure quelle che,
avendo valenza meramente processuale, non intervengono sull’oggetto del
giudizio, in tal senso dovendo quindi essere intesa la puntualizzazione circa la
definizione del merito, che compare nelle massime cui si è fatto sopra cenno.

introdotta innanzi al giudice civile, pur non irrevocabile (cfr., da ultimo, Sez. 6,

Così correttamente impostati i termini del discorso, nessuna perplessità
può sorgere in ordine al fatto che l’avvenuta definizione del giudizio possessorio,
per effetto dell’ordinanza pronunciata il 18.07.2011, ha segnato il limite
temporale massimo ai fini della tempestività della ritrattazione ed in tal senso
– così come la parte civile non ha mancato di rimarcare, con la memoria
prodotta nella presente sede – rileva senza meno la modifica dell’art. 703 cod.
proc. civ. introdotta dalla novella del 2005, poiché essa, rendendo non più

ha sancito ex lege la possibilità che l’ordinanza emessa al termine della fase
sommaria interdittale esprima il definitivo assestamento degli interessi dedotti
dalle parti, a seguito del mancato esercizio della facoltà di legge, con effetti
parificabili a quelli derivanti dal giudicato. Con la puntualizzazione ulteriore che
l’instaurazione del giudizio petitorio – nel caso di specie, in effetti
successivamente avvenuta, non essendo in contestazione che esso fosse ancora
pendente all’atto della ritrattazione di cui si discute – non muta in alcun modo il
quadro fin qui tratteggiato, poiché esso andrà ad intervenire non già sul piano
possessorio, dunque di fatto, bensì su quello, distinto, inerente al diritto
sostanziale sotteso alla tutela possessoria, a nulla rilevando pertanto la sua
capacità potenziale di travolgerne gli effetti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
del grado, nonché al pagamento delle spese sostenute nel presente grado dalle
costituite parti civili M.M. ed E.E., spese che si liquidano nella
complessiva somma di C 4.168,00 oltre spese generali nella misura del 15%,
I.V.A. e C.P.A.
Così deciso in Roma, il 05.10.2017

necessaria ma meramente eventuale l’instaurazione della fase a piena cognitio,

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