Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49061 del 20/05/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 49061 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: CASSANO MARGHERITA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MELLONE MICHELE N. IL 01/06/1961
avverso la sentenza n. 825/2012 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 20/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARGHERITA
CASSANO;

Data Udienza: 20/05/2015

Ritenuto in fatto.

1.11 20 maggio 2014 la Corte d’appello di Lecce confermava la sentenza emessa

il 20 luglio 2011 dal locale Tribunale che aveva dichiarato Michele Mellone
colpevole del reato di cu all’art. 424 c.p. (così riqualificata l’imputazione originaria
di tentato incendio) e lo aveva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di

3.Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, tramite il
difensore di fiducia, l’imputato il quale formula le seguenti censure.
Lamenta mancata assunzione di una prova decisiva con riferimento al mancato
espletamento di una perizia o di un esperimento giudiziario al fine di verificare le
concrete possibilità di appiccare un fuoco.
Lamenta violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo agli
elementi posti a base dell’affermazione di penale responsabilità e al mancato
riconoscimento dell’ipotesi di lieve entità.

Osserva in diritto.

Il ricorso è manifestamente infondato.
1.In merito alla prima censura il Collegio osserva che deve essere esclusa la
possibilità di ricomprendere nella lett. d) dell’art. 606 le prove acquisibili d’ufficio,
in quanto si tratta di prove rimesse alla discrezionalità del giudice e dotate di
carattere neutro; è pertanto incensurabile la mancata acquisizione di una perizia
(Cass., Sez. IV, 5 dicembre 2003, n. 4981, rv. 229665; Cass., Sez. VI, 12 febbraio
2003, n. 17629, rv. 226809; Cass., Sez. VI, 7 luglio 2003, n. 34089, rv. 226330).
Con riguardo alla censura di mancato svolgimento di un esperimento giudiziario
il Collegio osserva che il ricorrente non ha dimostrato, con doglianze specifiche,
l’esistenza di un vuoto o di una frattura argomentativa nel discorso giustificativo
della decisione derivante dalla sua mancata assunzione.
2.Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
Il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza
di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione,
dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa
risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al
i

nove mesi di reclusione.

punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere
comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito ovvero quando le linee
argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari
passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione
(Sez. Un. 28 maggio 2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, ric.
Santapaola, rv. 230203),In realtà, il ricorrente, pur denunziando formalmente una

192, comma 2, c.p.p., non critica in realtà la violazione di specifiche regole
inferenziali preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì,
postulando un preteso travisamento del fatto, chiede la rilettura del quadro
probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in
sede d’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando
la struttura razionale della sentenza impugnata abbia -come nella specie- una sua
chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto
delle regole della logica, alle risultanze del quadro probatorio, indicative
univocamente della coscienza e volontà del ricorrente di appiccare fuoco al furgone
di Giuseppe Tritella.
3.Non sussistono i presupposti per il riconoscimento del fatto di lieve entità,
avuto riguardo alla motivazione della sentenza impugnata circa le modalità del
fatto, le caratteristiche delle fiamme, la tipologia dei danni prodotti.
4.Alla dichiarazione di inammissibilità segue di diritto la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost.,
sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di
sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’ art.
616 c.p.p.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro mille in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso, in Roma, il 20 maggio 2015
Il Consigliere estensore

Il P esidente

violazione di legge in riferimento ai principi di valutazione della prova di cui all’art.

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