Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49057 del 26/09/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 49057 Anno 2013
Presidente: SERPICO FRANCESCO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MORELLI GIANVITO N. IL 05/03/1971
nei confronti di:
ANDRIULO ANTONIO N. IL 19/04/1971
inoltre:
ANDRIULO ANTONIO N. IL 19/04/1971
avverso la sentenza n. 152/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del
06/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/09/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per J f(in

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Data Udienza: 26/09/2013

RITENUTO IN FATTO

2. La sentenza emessa dal Giudice di prime cure aveva condannato Andriulo Antonio
alla pena di anno uno e mesi quattro di reclusione, oltre all’incapacità di contrattare
con la P.A. per un periodo di tempo pari alla pena ed al risarcimento dei danni in
favore della parte civile (equitativamente determinati in misura pari ad euro
cinquemila), ritenendolo colpevole del reato di cui all’art. 322, comma 2, c.p.,
commesso in Francavilla Fontana il 15 novembre 2005, per avere chiesto al custode
giudiziario del compendio immobiliare della fondazione “Di Summa – Semeraro”
Onlus, Gianvito Morelli, di concedergli in fitto alcuni terreni della predetta
associazione, che l’amministrazione giudiziaria intendeva affittare, offrendogli la
somma di euro cinquemila per indurlo a compiere un atto contrario ai suoi doveri
d’ufficio, ed in particolare per favorirlo rispetto ad altre persone interessate alla
conduzione di quei terreni.
I beni della fondazione si trovavano in sequestro preventivo nell’ambito di un
procedimento penale per il reato di circonvenzione di incapace nel quale erano
indagati Lippolis Tommaso, Francesco ed Angelo.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce ha proposto ricorso per
cassazione il difensore di fiducia della parte civile, Morelli Gianvito, nella sua qualità di
custode ed amministratore giudiziario pro-tempore della predetta fondazione,
deducendo vizi di inosservanza di norme processuali e carenze motivazionali, ed in
particolare la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), c.p.p., in relazione
agli artt. 76, 80, 81, 173, 491, 581 c.p.p., poiché nel corso di tutto l’iter processuale
solo in sede di appello, e dunque tardivamente, il difensore dell’imputato ha
genericamente chiesto, per la prima volta, che venisse dichiarato il difetto di
legittimazione attiva della parte civile.
Si deduce, inoltre, la violazione dell’art. 606, lett. b) e lett. e), c.p.p., in relazione agli
artt. 76, 581, 597 e 526 c.p.p., per l’erroneità ed illogicità dell’affermazione della
Corte d’appello, secondo cui, nell’ipotesi di cessazione dell’amministrazione, nessuno
sarebbe in grado di rappresentare gli interessi pubblici, poiché tali interessi sono
tutelati proprio dall’applicazione del principio di immanenza della costituzione di parte
civile ex art. 76 c.p.p. .
Si lamenta, infine, la violazione dell’art. 606, lett. b) e lett. e), c.p.p., in relazione agli
artt. 185 e 322 c.p., laddove la Corte, da un lato, ritiene sussistente il reato di
istigazione alla corruzione, e, dall’altro lato, afferma che il soggetto passivo della
condotta istigativa, ossia l’amministratore giudiziale, non ha la qualità di offeso e non
può costituirsi parte civile, con la conseguenza che l’amministrazione giudiziaria non
risulterebbe offesa in quanto il reato offende esclusivamente l’amministrazione della
giustizia, dunque lo Stato, ed il pubblico ufficiale soggetto passivo dell’offerta
corruttiva.
4. Avverso la su indicata pronuncia della Corte d’appello, inoltre, ha proposto
personalmente ricorso per cassazione l’Andriulo, deducendo i motivi di doglianza qui di
seguito sinteticamente illustrati.

1. Con sentenza del 6 dicembre 2012 la Corte d’appello di Lecce, in parziale riforma
della sentenza del Tribunale di Brindisi del 7 giugno 2010, appellata dall’imputato
Andriulo Antonio, ha ordinato la non menzione della condanna nel certificato del
casellario giudiziale entro i limiti dell’art. 175 c.p., eliminando le disposizioni contenute
in tale sentenza in favore della parte civile (amministrazione giudiziaria dei beni in
sequestro preventivo in persona di Gianvito Morelli) e confermando nel resto
l’impugnata decisione.

4.2. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e), c.p.p., in relazione agli artt.
125, 192 e 195 c.p.p., non avendo la Corte d’appello correttamente valutato le
deposizioni testimoniali rese dalla persona offesa e dal coadiutore del custode
giudiziario, Francesco Vigneri, che ha sempre dichiarato di non avere mai assistito
direttamente alla condotta contestata all’Andriulo nell’avere offerto una somma di
denaro al Morelli, e di averlo appreso da quest’ultimo solo successivamente, quando
fecero rientro nell’auto; il Morelli, del resto, ha sempre affermato di aver colloquiato
con l’Andriulo da solo e senza la presenza di terze persone. La Corte territoriale, oltre
a ritenere valide le affermazioni del Vigneri, che potrebbero assurgere a mezzo di
prova solo con le garanzie previste dall’art. 195 c.p.p., considera provata la penale
responsabilità sulla base delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, escludendo
l’eventuale interesse che la stessa abbia nel costituirsi parte civile nel processo. Infine,
la Corte di merito tace sul fatto che l’offerta per l’affitto dei terreni ha avuto corso ed è
stata indirizzata all’autorità giudiziaria competente per il sequestro, tanto che la
stessa fu inviata a nome di Andriulo Daniele, fratello dell’imputato, a dimostrare come
quest’ultimo non avesse interesse alla conduzione dei terreni.
4.3. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., in relazione all’art. 192 c.p.p.,
laddove la Corte d’appello ha illogicamente ritenuto non influenti le dichiarazioni rese
dal teste a discarico, Bianco Domenico, anch’egli presente sui terreni al momento del
fatto in contestazione, né ha specificamente indicato le ragioni della sua ritenuta
inattendibilità, tenuto conto che il teste ha riferito di aver visto e sentito colloquiare
tranquillamente con il Morelli tutta la famiglia Andriulo, compreso l’imputato, e che il
Morelli è rimasto all’interno di uno stanzino-deposito dell’opificio, ove mai nessuno ha
fatto accesso ad eccezione di un fratello dell’imputato.
4.4. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., in relazione agli artt. 62-bis e
133 c.p., apparendo la pena sproporzionata riguardo alle modalità e circostanze del
fatto, atteso che l’imputato è soggetto del tutto incensurato, profilo, questo, su cui la
Corte territoriale sarebbe incorsa in un travisamento del fatto, poiché altrimenti non
avrebbe concesso il beneficio della non menzione della condanna.
5. Con memoria difensiva depositata nell’interesse dell’imputato in data 19 settembre
2013 si è altresì dedotto:
a) la violazione dell’art. 610, comma 5, c.p.p., in relazione all’art. 613, comma 4,
c.p.p., per l’inesistenza della notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza del 26
settembre 2013 all’imputato, in relazione al ricorso per cassazione dallo stesso
personalmente proposto, della cui trattazione non gli è mai stato dato avviso;
2

4.1. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e), c.p.p., in relazione all’art.
322, comma 2, c.p., per l’assenza della qualifica di pubblico ufficiale in capo al custode
giudiziario della predetta fondazione, non avendo la Corte territoriale indicato gli
elementi di prova da cui ha tratto la convinzione che il custode, pur non rientrando
nella definizione di cui al comma 2 dell’art. 357 c.p., era comunque in grado di
ingerirsi nelle scelte dell’ente amministrativo cui faceva capo; dalla stessa deposizione
testimoniale del Morelli, peraltro, risulta che egli non aveva alcun potere volto alla
stipulazione di contratti con i terzi, essendo il tutto demandato all’autorità giudiziaria
che aveva disposto il sequestro sul compendio immobiliare in esame, con la
conseguenza che la condotta posta in essere non era di per sé idonea al
raggiungimento dello scopo anche in relazione alla sussistenza dell’elemento
intenzionale.

b) l’inammissibilità del ricorso proposto dalla parte civile per carenza di procura
speciale ad impugnare per cassazione, ex artt. 575-576 c.p.p.;
c) l’inammissibilità del ricorso della parte civile, nel punto in cui lamenta l’assenza di
impugnazione, da parte dell’imputato, riguardo al profilo della carenza di
legittimazione attiva della stessa parte civile, essendo stata compiutamente censurata
la sentenza del Tribunale di Brindisi sul punto relativo alla condanna pronunziata in
favore della parte civile.

6. Il ricorso proposto dalla parte civile è fondato e va accolto, ove si consideri, alla
stregua di un pacifico e consolidato insegnamento giurisprudenziale delineato da
questa Suprema Corte, il principio secondo cui, in tema di questioni preliminari, la
disposizione dettata dall’art. 491 cod. proc. pen. stabilisce che la questione relativa
alla eventuale esclusione della parte civile venga posta subito dopo che sia stato
compiuto, per la prima volta, l’accertamento della costituzione delle parti e venga
decisa immediatamente, imponendo alle parti processuali interessate di prospettare il
rilievo immediato delle questioni e al giudice l’altrettanto immediata decisione delle
stesse, nell’istante che segue la verifica della costituzione delle parti.
Pertanto, qualora la prima udienza si concluda con l’ordine di prosecuzione ad altra
udienza fissa, dopo che la parte sottoposta all’onere di sollevare la questione
preliminare dell’ammissibilità della costituzione di parte civile abbia comunque svolto
una qualsiasi attività processuale, senza avere sollevato la questione medesima,
rimane preclusa alla parte stessa la possibilità di sollevare detta questione oltre il
limite temporale segnato dalla conclusione della prima udienza (Sez. 5, n. 17667 del
24/03/2011, dep. 05/05/2011, Rv. 250187; Sez. 6, n. 809 del 18/12/1998, dep.
21/01/1999, Rv. 212916; Sez. 4, n. 4950 del 31/01/1996, dep. 16/05/1996, Rv.
205221).
Ne consegue che la costituzione di parte civile ammessa in primo grado non è
contestabile nei gradi successivi e non può, dunque, essere oggetto di impugnazione
(Sez. 5, n. 496 del 17/11/1998, dep. 16/01/1999, Rv. 212153).
Nel caso di specie, risulta dalla sentenza del Giudice di prime cure che la persona
offesa, nella sua qualità di custode ed amministratore giudiziario, dopo aver chiesto ed
ottenuto in data 19 settembre 2006 l’autorizzazione da parte del Giudice monocratico,
si è costituita parte civile con atto depositato nella fase dell’udienza preliminare, in
data 16 novembre 2006.
Non risulta, al riguardo, alcuna opposizione tempestivamente formulata da altre parti,
né, tanto meno, da parte dell’imputato, che solo in sede di gravame ha genericamente
lamentato, peraltro all’interno di un motivo incentrato sull’eccesso sanzionatorio della
condanna pronunciata ai fini civili, il difetto di legittimazione attiva in capo al Morelli
Gianvito, senza esplicitarne compiutamente le ragioni.
Va dunque accolto il primo motivo di doglianza prospettato dalla parte civile, mentre
le ulteriori censure dalla stessa formulate devono ritenersi logicamente assorbite.
Sul punto, conclusivamente, l’impugnata sentenza va annullata con rinvio al giudice
civile, che dovrà pronunziarsi in ordine alle correlative disposizioni civili a norma
dell’art. 622 c.p.p. .
7. Inammissibile, di contro, deve ritenersi il ricorso proposto dall’imputato, stante la
palese infondatezza della prima doglianza ivi articolata – peraltro riproduttiva di
analoga censura già motivatamente rigettata da entrambi i Giudici di merito – in
ragione della pacifica natura pubblicistica dell’incarico assegnato al custode giudiziario
(Sez. Un., n. 25161 del 24/04/2002, dep. 02/07/2Q02, Rv. 221659, con riferimento al
3

CONSIDERATO IN DIRITTO

7.1. Parimenti inammissibili, altresì, devono ritenersi la seconda e la terza doglianza,
in quanto sostanzialmente orientate a riprodurre un quadro di argomentazioni già
esposte dinanzi alla Corte distrettuale – ed ivi ampiamente vagliate e correttamente
disattese – ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze
processuali, imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di
prova, in tal guisa richiedendo l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa
Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la
scansione delle sequenze motivazionali dell’impugnata decisione.
Sotto tali profili, dunque, il ricorso non è volto a rilevare mancanze argomentative ed
illogicità ictu ()culi percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte
valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha adeguatamente
ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema d’accusa.
In tal senso la Corte territoriale, sulla base di quanto specificamente esposto in
narrativa, ha proceduto ad un vaglio critico di tutte le deduzioni ed obiezioni mosse
dalla difesa, pervenendo alla decisione impugnata attraverso una disamina completa
ed approfondita delle risultanze processuali.
Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio già posto in risalto
nella sentenza del Giudice di prime cure, la cui struttura motivazionale viene sul punto
a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, sì da costituire un corpo
argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha puntualmente
disatteso la diversa ricostruzione prospettata dalla difesa, esplicitando le ragioni per
cui le dichiarazioni rese dalla persona offesa sono state ritenute intrinsecamente
attendibili ed esternamente corroborate sia dalla documentazione acquisita agli atti
(ad es., la formale richiesta di concessione in locazione dei terreni, inviata il giorno
4

diritto al compenso per l’attività svolta), tanto che per l’assunzione della relativa
qualità, che costituisce un “munus publicum” obbligatorio a prescindere dalla formale
accettazione, la giurisprudenza non ritiene necessaria l’espressa indicazione,
contenuta nel verbale di sequestro, da parte della polizia giudiziaria, di aver reso
edotto il destinatario dell’obbligo derivante dalla nomina (Sez. 3, n. 8550 del
07/02/2012, dep. 05/03/2012, Rv. 252759).
Sul punto, come già accennato, la Corte d’appello ha correttamente osservato, con
congrua ed esaustiva motivazione, che il Giudice del sequestro, prima di decidere
sull’affitto dei fondi, avrebbe acquisito il parere, anche solo verbale,
dell’amministratore-custode del compendio di beni sottoposto a vincolo reale al fine di
verificare, sulla base dei dati in suo possesso, l’affidabilità del conduttore cui gli
immobili sarebbero stati concessi per la relativa coltivazione, in tal guisa
uniformandosi – per quel che inerisce al profilo dell’idoneità della contestata condotta
delittuosa al raggiungimento dello scopo – all’insegnamento ricavabile dalla pacifica
linea interpretativa in questa Sede tracciata, secondo cui non è determinante, in tema
di corruzione, sia propria che impropria, il fatto che l’atto d’ufficio o contrario ai doveri
d’ufficio sia ricompreso nell’ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale o
dell’incaricato di pubblico servizio, ma è necessario e sufficiente che si tratti di un atto
rientrante nelle competenze dell’ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al
quale egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di
mero fatto (ex plurimis, v. Sez. 6, n. 20502 del 02/03/2010, dep. 28/05/2010, Rv.
247373).
Nel caso in esame, infatti, come puntualmente rilevato dai Giudici di merito, il fine
perseguito dall’imputato era quello di ottenere il compimento di un atto violativo del
dovere di imparzialità nella gestione dei beni pubblici amministrati, ossia di essere
indebitamente favorito rispetto ad altri soggetti potenzialmente interessati alla
titolarità dell’affitto dei beni in sequestro, privilegiando la sua offerta dinanzi al Giudice
competente per il rilascio dell’autorizzazione.

7.2. Analoghi profili di inammissibilità, inoltre, investono la quarta censura, dal
ricorrente incentrata sulla pretesa sproporzione del trattamento sanzionatorio peraltro applicatogli nel minimo edittale – ivi censurandosi un potere discrezionale il
cui esercizio è stato oggetto di congrua motivazione da parte della Corte territoriale,
che su tale punto ha fatto riferimento ai criteri di dosimetria della pena già utilizzati
nella decisione del Giudice di primo grado, in tal guisa esprimendo la piena
giustificazione di un apprezzamento di merito come tale non assoggettabile a
sindacato in questa Sede, laddove le deduzioni difensive al riguardo formulate si
pongono, di contro, nella mera prospettiva di accreditare una diversa ed alternativa
valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti fattuali che giustificherebbero la
concessione delle invocate attenuanti.
8. La Corte d’appello, pertanto, ha compiutamente esposto le ragioni per le quali ha
ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la configurazione della contestata ipotesi
delittuosa, ed ha evidenziato al riguardo gli aspetti maggiormente significativi, dai
quali ha tratto la conclusione che gi argomenti prospettati dalla difesa erano in realtà
privi di ogni aggancio probatorio e si ponevano solo quali mere ipotesi alternative,
peraltro smentite dal complesso degli elementi di prova processualmente acquisiti.
La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva, su un
quadro probatorio motivatamente giudicato completo ed univoco, e come tale in
nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica.

successivo ai fatti a nome di Andriulo Danilo, a conferma dell’interessamento della
famiglia per la conduzione dei terreni in questione), sia dalle altre emergenze
dibattimentali, ed in particolare dal rilevante contenuto della deposizione di Vigneri
Francesco, coadiutore del Morelli, che, pur non avendo assistito ai fatti
nell’immediatezza del loro verificarsi (per essersi temporaneamente allontanato in
occasione di una conversazione telefonica), ha confermato di essere stato destinatario
dell’invito del Morelli a non allontanarsi più da lui, in quel contesto, a seguito
dell’incontro avvenuto con l’imputato (che proprio in quell’occasione ebbe ad offrire la
su indicata somma di denaro all’amministratore giudiziario), di averlo visto turbato
quando fece ritorno al termine di quella telefonata e di averne ascoltato la descrizione
dei fatti allorquando entrambi risalirono sull’autovettura per abbandonare il luogo ove
era avvenuto l’incontro.
La Corte territoriale, pertanto, ha congruamente esposto le ragioni per le quali ha
ritenuto credibili le dichiarazioni accusatorie della persona offesa, individuandone i
relativi riscontri e ponendo, altresì, dettagliatamente in evidenza le ragioni
dimostrative della valutazione di sostanziale irrilevanza del contributo offerto dalla
deposizione resa dal teste Domenico Bianco ai fini della ricostruzione dei fatti, siccome
ritenuta del tutto avulsa dalle modalità del loro effettivo svolgimento, in ciò
confermando, peraltro, l’analoga valutazione già motivatamente espressa dal Giudice
di prime cure.
Corretta deve ritenersi, dunque, l’impostazione ricostruttiva seguita dalla Corte di
merito, che si è, al riguardo, pienamente uniformata al quadro di principii delineato da
questa Suprema Corte, secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod.
proc. pen., non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono
essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale
responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della
credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto,
che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui
vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. Un., n. 41461 del
19/07/2012, dep. 24/10/2012, Rv. 253214).

9. Manifestamente infondata, infine, deve ritenersi la prima delle eccezioni svolte nella
memoria difensiva depositata il 19 settembre 2013 [v., supra, il par. 5, lett. a)], ove
si consideri che la domanda proposta mediante la costituzione di parte civile non può
che rimanere inserita all’interno del medesimo processo penale in cui la stessa è stata
a suo tempo azionata, restando conseguentemente assoggettata alle medesime regole
processuali poste a presidio della (strettamente connessa, sia sul piano oggettivo che
soggettivo) valutazione di fondatezza, o meno, della correlata pretesa punitiva ivi
esercitata dal P.M. .
In tal senso, non essendo neanche astrattamente ipotizzabile alcuna separazione delle
domande poste a fondamento delle rispettive, connesse, pretese, è agevole rilevare,
sulla base dei dati emergenti dai relativi atti processuali – nella su citata memoria
difensiva, peraltro, non compiutamente presi in considerazione – che il medesimo
avviso di fissazione dell’udienza pubblica dinanzi a questa Suprema Corte è stato
ritualmente e tempestivamente notificato, sia all’imputato che alla parte civile, nella
medesima data, ossia il 19 giugno 2013, e con la chiara indicazione, nell’intestazione
di entrambi gli avvisi, del medesimo numero del registro generale (ossia, il n.
21039/2013), tanto da essere contestualmente inviati per la relativa notificazione, ad
entrambi i destinatari, in virtù della medesima disposizione della Cancelleria di questa
Suprema Corte in data 18 giugno 2013, e con la medesima indicazione del su
menzionato numero di registro generale, presso l’Ufficiale Giudiziario della Sede
distaccata del Tribunale di Brindisi, in Francavilla Fontana.
Destituita di fondamento, altresì, deve ritenersi la seconda eccezione formulata nella
su citata memoria difensiva – ivi, peraltro, solo genericamente proposta – omettendo
la stessa di considerare che in calce alla dichiarazione di costituzione di parte civile
risulta espressamente conferita al difensore, in data 13 novembre 2006, una procura
speciale con le più ampie facoltà di legge, il cui esercizio è stato specificamente
autorizzato con riguardo sia al primo che ai successivi eventuali gradi di giudizio.
Sul punto deve altresì rilevarsi che il ricorso per cassazione della parte civile risulta
esser stato notificato all’imputato il 5 aprile 2013 (come emerge dalla relativa
attestazione della Cancelleria della Corte d’Appello), e che quest’ultimo ha
personalmente proposto il suo ricorso successivamente, depositandolo presso il
Tribunale di Brindisi – Sez. distaccata di Francavilla Fontana il 17 maggio 2013, con la
conseguenza che la su indicata eccezione difensiva, risolvendosi sostanzialmente in un
motivo nuovo enucleato a sostegno dell’impugnazione, avrebbe dovuto avere ad
oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata già
enunciati nell’originario atto di impugnazione a norma dell’art. 581, comma primo,
lett. a), cod. proc. pen.: secondo la pacifica giurisprudenza di questa Suprema Corte,
invero, la presentazione di motivi nuovi è consentita solo entro i limiti in cui essi
investano capi o punti della decisione già enunciati nell’atto originario di gravame,
poiché la “novità” è riferita ai “motivi”, e quindi alle ragioni che illustrano ed
argomentano il gravame sui singoli capi o punti della sentenza impugnata, già
censurati con il ricorso (da ultimo, Sez. 1, n. 40932 del 26/05/2011, dep.
10/11/2011, Rv. 251482).
Analoghi profili di inammissibilità investono, poi, la terza eccezione difensiva [v.,
supra, il par. 5, lett. c)], che peraltro non provvede ad esaminare funditus l’intero
6

Ak.

In questa Sede, invero, a fronte di una corretta ricostruzione del compendio storicofattuale che sorregge il tema d’accusa, non può ritenersi ammessa alcuna incursione
nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti oggetto
della regiudicanda, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a ripercorrere l’iter
argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la completezza e la
insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della
rispondenza della motivazione alle correlative acquisizioni processuali.

contenuto del ricorso proposto dalla parte civile (v., supra, il par. 3), ma si limita a
contrapporre considerazioni critiche rispetto ai contrari argomenti esposti dalla parte
civile sul punto della carente formulazione delle censure dall’imputato tardivamente
articolate nel suo atto di appello, ovvero a reiterare eccezioni in ordine alla legittimità
dell’ammissione della sua costituzione, eccezioni la cui delibazione deve ritenersi
preclusa in questa Sede, per quanto già affermato, supra, nel par. 6.

P.Q.M.
Annulla l’impugnata sentenza relativamente alle statuizioni nei confronti della parte
civile e dispone trasmettersi gli atti al competente giudice civile in grado di appello per
le relative determinazioni.
Dichiara inammissibile il ricorso di Andriulo Antonio e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, lì, 26 settembre 2013
Il Consigliere estensore

10. Conclusivamente, alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto
dall’imputato consegue, ex art. 616 c.p.p., la sua condanna al pagamento delle spese
processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in relazione alle
questioni dedotte, si stima equo determinare nella misura di euro mille.

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