Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49043 del 12/06/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 49043 Anno 2013
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GIUSTI CARMELO N. IL 27/05/1955
avverso la sentenza n. 7325/2012 GIP TRIBUNALE di CATANIA, del
16/07/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 12/06/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. il 16 luglio 2012,
il G.i.p. del Tribunale di Catania ha applicato a Giusti Carmelo, in relazione al
contestato reato di cui all’art. 75 d.lgs. n. 159 del 2011, la pena di mesi otto di
reclusione, esclusa la recidiva e applicata la diminuente del rito.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione personalmente

relazione all’art. 62-bis cod. pen. in dipendenza della omessa concessione delle
attenuanti generiche.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2.

L’applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo

processuale in virtù del quale l’imputato e il pubblico ministero si accordano sulla
qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza delle
circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sulla entità della pena. Da parte
sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei detti aspetti
giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla, dopo aver accertato
che non emerga in modo evidente una delle cause di non punibilità previste
dall’art. 129 cod. proc. pen.
Ne consegue che – una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena
ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. – l’imputato non può rimettere in
discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie, né può dolersi della
entità della pena da esso stesso sollecitata e della complessiva adeguatezza del
trattamento concordato, né della mancata concessione

ex officio

delle

circostanze attenuanti generiche.
3. Nel caso di specie, i motivi di ricorso appaiono privi di specificità e sono,
comunque, manifestamente infondati, atteso che il Giudice, nell’applicare la pena
concordata, si è adeguato all’accordo intervenuto fra le parti, riconoscendo la
congruità della pena come concordata alla luce dei criteri di cui all’art. 133 cod.
pen. e ha escluso la sussistenza dei presupposti per la pronuncia di una sentenza
di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.

2

l’imputato, che ne ha chiesto l’annullamento per mancanza di motivazione in

Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in
sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, appare pienamente
adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 6, n. 14563 del 02/12/2010,
dep. 12/04/2011, P.G. in proc. Manea, Rv. 250024).
4. Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue di diritto la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi

versamento – in favore della Cassa delle ammende – di sanzione pecuniaria che
appare congruo determinare in euro 1.500,00, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

atti a escludere la colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità, al

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