Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49037 del 20/05/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 49037 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LOREFICE IGNAZIO N. IL 23/05/140
avverso la sentenza n. 1710/2008 CORTE APPELLO di CATANIA, del
15/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 20/05/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 15 maggio 2014 la Corte di appello di Catania ha
confermato la sentenza in data 26 marzo 2008 del Tribunale di Ragusa sezione distaccata di Vittoria, con la quale Lorefice Ignazio era stato
condannato, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di anni uno di reclusione,

recidiva e con la riduzione per il rito, siccome riconosciuto responsabile del
delitto previsto dall’art. 9, secondo comma, legge n. 1423 del 1956, con
successive modificazioni, avendo violato le prescrizioni della misura della
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno, cui era
sottoposto, poiché sorpreso in Vittoria, il 4 marzo 2008, alla guida di
un’autovettura senza la patente di guida perché revocata.

2.1. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Lorefice
tramite il difensore di fiducia, il quale, con un primo motivo, ripropone
l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma secondo, legge n.
1423 del 1956, già dichiarata manifestamente infondata dalla Corte di merito,
con riguardo ai parametri costituzionali di cui agli artt. 3, 25 e 27 Cost.,
lamentando altresì il vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione delle sentenze di merito con riguardo alla prospettata questione di
incostituzionalità e, in particolare, al raffronto tra gli artt. 5, 9 (commi primo e
secondo) della legge n. 1423 del 1956 da un lato, e l’art. 6 legge n. 575 del
1965 dall’altro.
2.2. Con un secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge per
erronea qualificazione del fatto, ricadente nella previsione del primo comma
dell’art. 9 della legge n. 1423 del 1956 e non in quella del secondo comma,
come ritenuto; e ancora il vizio di motivazione sulla prospettata questione di
incostituzionalità nei termini già indicati nel primo motivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Procedendo, secondo ordine logico, la dedotta violazione di legge, per
mancata qualificazione del reato contestato come contravvenzione, ai sensi
dell’art. 9, primo comma, legge n. 1423 del 1956, è manifestamente infondata.

con le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata

Contrariamente alla tesi sostenuta dal ricorrente, a seguito della
sostituzione del secondo comma dell’art. 9 legge n. 1423 del 1956 ad opera
dell’art. 14 d.l. 27/07/2005, n. 144, convertito con modificazioni, dalla legge 31
luglio 2005, n. 155, entrato in vigore il 28 luglio 2005, e, dunque, applicabile al
fatto contestato nel presente processo, commesso il 4 marzo 2008, nel caso di
sottoposizione di una persona alla misura della sorveglianza speciale con
obbligo di soggiorno nel comune di residenza, qualsiasi violazione delle
prescrizioni della misura, ancorché non congiunta all’inosservanza dell’obbligo

1423 del 1956, correttamente contestato e ritenuto nella fattispecie, e non già
la contravvenzione prevista dall’art. 9, primo comma, della stessa legge, come
da costante giurisprudenza di legittimità (conformi: Sez. 1 n. 47766 del
6/11/2008, dep. 23/12/2008, Lungari, Rv. 242748; Sez. 1, n. 8412 del
27/01/2009, dep. 25/02/2009, Iuorio, Rv. 242975).
1.2. Riguardo al riproposto dubbio di costituzionalità, va rilevato,
innanzitutto, che la soluzione di questioni di diritto, come più volte chiarito dalla
giurisprudenza della Corte (Sez. 2, n. 3706 del 2009 Rv. 242334; Sez. 2 n.
19696 del 2010, Rv. 247123), non può integrare il denunciato vizio di
motivazione pertinente alle sole questioni di fatto, giacché ove le questioni di
diritto, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente o illogicamente
giustificata, siano comunque esattamente risolte, non può sussistere ragione
alcuna di doglianza, mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia
giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano.
Quanto alla censura di violazione degli artt. 3, 25 e 27 Cost. da parte
dell’art. 9, comma secondo, legge n. 1423 del 1956, come applicato nella
sentenza in esame, essa è stata correttamente ritenuta manifestamente
infondata dai giudici di merito.
La recente sentenza n. 282 del 2010 della Corte costituzionale, invero, ha
già affrontato la questione, affermando la legittimità costituzionale dell’art. 9
legge n. 1423 del 1956 e successive modifiche, in relazione all’art. 5, comma
terzo, della stessa legge, laddove sanziona penalmente l’inosservanza della
prescrizione di “rispettare le leggi”. Il giudice costituzionale ha osservato che la
suddetta prescrizione non è indeterminata ma si riferisce al dovere, imposto al
prevenuto, di rispettare tutte le norme a contenuto precettivo, che impongano
cioè di tenere o non tenere una certa condotta e, dunque, non solo le norme
penali, ma qualsiasi disposizione la cui inosservanza sia ulteriore indice della già
accertata pericolosità sociale; ha aggiunto che non vale addurre che il rispetto
delle leggi è un obbligo generale, riguardante tutta la collettività, perché, da un
lato, il carattere generale dell’obbligo non ne rende generico il contenuto e,
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di soggiorno, configura il delitto previsto dall’art. 9, secondo comma, legge n.

dall’altro, giustifica la specifica prescrizione di rispetto delle leggi nei confronti
di persone che siano state ritenute, con le garanzie proprie della giurisdizione,
socialmente pericolose.
Palesemente infondato è, infine, il raffronto tra la violazione prevista
dall’art. 9, secondo comma, legge n. 1423 del 1956, con successive modifiche,
e quella di cui all’art. 6 della legge 31 maggio 1965, n. 575, che sanziona con
l’arresto da sei mesi a tre anni la guida senza patente, o dopo che la patente
sia stata negata, sospesa o revocata, da parte di persona già sottoposta, con

La contravvenzione di cui all’art. 6 legge n. 575 del 1965 è, invero,
fattispecie di reato diversa da quelle previste dall’art. 9, primo e secondo
comma, legge n. 1423 del 1956, con esse concorrente (Sez. 1, n. 25122 del
09/06/2010, dep. 2/07/2010, Piccolo, Rv. 247724; conformi: Rv. 243453 e Rv.
246624); l’art. 5 della legge n. 575 del 1965 fa espresso rinvio all’art. 9 della
legge n. 1423 del 1956, che è quindi applicabile anche ai destinatari di misure
di prevenzione contro la mafia, e, al contrario di quanto dedotto dal ricorrente,
prevede una pena più severa per l’allontanamento abusivo dal luogo in cui è
disposto l’obbligo di soggiorno, da due a cinque anni di reclusione, ferma la
sanzione da uno a cinque anni di reclusione disposta dall’art. 9, comma
secondo, legge n. 1423 del 1956, nel caso di violazione delle altre prescrizioni
della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con l’obbligo di
soggiorno.

2. Alla dichiarazione di inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616, comma
1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), anche al versamento a favore della cassa delle ammende di una
sanzione pecuniaria che si stima equo determinare in euro mille.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Così deciso il 20/05/2015.

provvedimento definitivo, a misura di prevenzione antimafia.

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