Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49035 del 29/05/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 49035 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CANIGLIA ANGELO N. IL 01/04/1967
avverso la sentenza n. 1028/2010 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 01/03/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 29/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’i marzo 2012 la Corte d’appello di Lecce – sezione
distaccata di Taranto ha confermato la sentenza del 3 giugno 2010 del Tribunale
di Taranto, che aveva dichiarato Caniglia Angelo colpevole del reato di cui all’art.
4 legge n. 110 del 1975, per avere portato fuori dalla propria abitazione, senza

cm. e un’ascia con manico di legno, e l’aveva condannato alla pena di mesi
cinque di arresto e di euro centocinquanta di ammenda.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del
suo difensore, l’imputato, che ne ha chiesto l’annullamento sulla base di unico
motivo, con il quale ha dedotto la manifesta illogicità della motivazione, ai sensi
dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per la presenza di contraddizioni
e incongruenze logiche nell’iter argomentativo della decisione; ha rappresentato
la incorsa inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per non
essere sua intenzione usare il coltello e l’ascia nei confronti di qualcuno, non
desumibile neppure dalla mancata giustificazione del loro possesso, e ha dedotto
la inadeguata commisurazione della pena al caso concreto.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Questa Corte ha già affermato che «l’art. 4, secondo comma, legge 18
aprile 1975 n. 110, nell’equiparare alle armi improprie alcuni strumenti la cui
destinazione naturale non è l’offesa alla persona, ma che tuttavia sono
occasionalmente atti a offendere, ne individua in modo specifico alcuni che, per
le loro caratteristiche, si sono dimostrati idonei a ledere, distinguendoli da altri,
ricompresi genericamente nella categoria degli strumenti, non considerati
espressamente come arma da punta o da taglio; soltanto in relazione a questi è
necessario verificare se, pur avendo una destinazione originariamente innocua,
possono essere utilizzati per l’offesa alle persone» (Sez. 2, n. 6954 del
20/03/1984, dep. 03/08/1984, Bellinati, Rv. 165437; nello stesso senso, tra le
altre, Sez. 5, n. 2535 del 05/12/1984, dep. 19/03/1985, Bencini, Rv. 168344;
Sez. 1, n. 32269 del 03/07/2003, dep. 31/07/2003, PG in proc. Porcu, Rv.

2

giustificato motivo, un coltello da cucina a punta della lunghezza di circa ventitré

225116; Sez. 1, n. 10279 del 29/11/2011, dep. 15/03/2012, Croce, Rv.
252253).
1.2. Alla stregua di tale condiviso principio, deve ritenersi che tra gli oggetti
di cui alla prima parte dell’art. 4, comma 2, legge n. 110/1975 sono compresi
tutti gli strumenti da punta o da taglio atti a offendere, indipendentemente
dall’accertata esistenza di specifiche circostanze di fatto che rendano
concretamente prospettabile una loro utilizzazione per l’offesa alla persona.
Il Giudice di merito ha, pertanto, esattamente interpretato e correttamente

incriminatrice un reato di pericolo, il coltello e l’ascia oggetti atti a offendere,
chiaramente utilizzabili per l’offesa alla persona, e il loro porto ingiustificato
idoneo a rendere indubbia la configurabilità del reato ascritto all’imputato.
1.3. Le censure svolte in punto responsabilità attengono alla ricostruzione
dei dati fattuali, in rapporto alle ragioni del porto del coltello e dell’ascia, e,
proponendone una rinnovata generica lettura, si risolvono in critiche in linea di
fatto e di puro merito alla sentenza, la cui motivazione, articolata e congruente
alle risultanze processuali, è esente da vizi logici e giuridici.
1.4. La Corte d’appello, che ha confermato il trattamento sanzionatorio
disposto con la sentenza di primo grado, ha ritenuto che il quantum della pena
irrogata era ampiamente giustificato dal numero e dalla “qualità” delle armi e dai
precedenti penali, e tale valutazione logica e ragionevole resiste alle censure del
ricorrente che, eccependo la sproporzione della pena rispetto alla gravità
dell’offesa e al grado di colpevolezza, si mantengono su un piano di assoluta
genericità senza evidenziare significativi elementi positivi non considerati.
2. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, con condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il
contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma,
ritenuta congrua, di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2013
Il Consigliere estensore

Il Presidente

applicato tale principio, nel ritenere il reato tratteggiato dalla norma

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