Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49030 del 29/05/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 49030 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ALI’ HASSAN N. IL 16/04/1965
avverso la sentenza n. 6953/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
20/03/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 29/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza pronunciata il 20 marzo 2012 la Corte di appello di
Milano ha confermato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Milano, in data 21 settembre 2011, con la quale Alì Hassan è
stato condannato, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di anni sei di
reclusione per il delitto previsto dagli artt. 56 e 575 cod. pen.

equivoco a cagionare la morte di Daddato Maurizio. In particolare, dopo
essere stato licenziato dalla società Sinerga Promocast per la quale lavorava
come addetto agli scaffali presso il supermercato Ipercoop Metropoli di
Novate Milanese e ritenendo responsabile del licenziamento Daddato
Vincenzo -dipendente Ipercoop in qualità di responsabile del reparto salumi,
latticini e surgelati- si recava presso il supermercato per parlare con lo
stesso dei motivi del suo licenziamento e, dopo aver appreso da questi che
era stato licenziato per i suoi continui comportamenti arroganti e poco
educati anche nei confronti dei clienti, si procurava un coltello da macellaio
dal vicino reparto pollame della lunghezza di cm. 25 con manico nero e
lama a punta di cm. 12, normalmente usato per sfilettare, e colpiva alla
schiena il Daddato che si accasciava al suolo e, mentre tentava di rialzarsi,
veniva nuovamente incalzato dall’AH che, proferendo la frase: “Cazzo, non ti
ho fatto niente; allora aspetta che te ne dò un’altra”, cercava di colpirlo
nuovamente, non riuscendovi in quanto la vittima si riparava con una
lavagnetta espositiva; non riuscendo nell’intento per cause estranee alla
sua volontà ovvero per la tempestiva reazione di difesa della vittima che
ricorreva alle cure mediche a seguito di ferita da taglio e punta in regione di
parete mesogastrica su paramediana sinistra, che gli procurava una lesione
cutanea di circa cm. 3 lineari approfondita a circa cm. 2,5 in
anteroposteriore e 4-5 cm. in angolo laterale, giudicata guaribile in giorni
25; in Novate Milanese il 27 gennaio 2011″.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso a questa Corte di
cassazione l’Alì tramite il difensore, avvocato Luigi Vanni, il quale articola
sei motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per
inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 56 e 575 cod. pen., a causa
dell’omessa valutazione della concreta inidoneità della condotta a cagionare
l’evento mortale.

1

L’AH è stato ritenuto responsabile “di atti idonei, diretti in modo non

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza
per omesso esame, in relazione all’idoneità degli atti, di elementi di fatto
decisivi, quali la natura e l’entità della ferita provocata, come attestata nella
documentazione acquisita, pur essendo stata tale omissione specificamente
dedotta nell’atto di appello.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per
travisamento del contenuto della prova documentale e conseguente

l’imputato avrebbe sferrato due colpi di coltello, in ciò travisando le
dichiarazioni della stessa persona offesa e dei testimoni oculari, signori
Casiraghi e Di Pasquale, che hanno riferito un unico colpo.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza
per manifesta illogicità della motivazione, nella parte in cui ha argomentato
sull’elemento soggettivo del reato -il ravvisato animus necandi travisando

le parole dell’imputato, così come riferite dalla parte lesa ed erroneamente
interpretate dai giudici di merito quale manifestazione del proposito
omicida.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza
per mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine al negato
riconoscimento delle attenuanti previste dagli artt. 62 n. 2 e 62 bis cod.
pen., invocate dalla difesa con le conclusioni scritte di primo grado e con i
motivi di appello.
2.6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza
per contraddittorietà della motivazione in ordine al trattamento
sanzionatorio, con particolare riferimento al negato contenimento della pena
nei limiti edittali, in relazione al lieve danno subito dalla persona offesa,
così come attestato dalla documentazione medica in atti.

3. Il 21 maggio 2013 il ricorrente ha depositato i documenti, già
acquisiti nei precedenti gradi del giudizio, a sostegno delle censure
proposte.

CONSIDERATO in DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente perché attinenti
allo stesso tema costituito dall’idoneità degli atti, che il ricorrente inquadra
nel duplice vizio di violazione di legge e difetto di motivazione, per avere il
giudice di merito apprezzato tale idoneità in astratto e senza motivare sui
2

manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui sostiene che

dati documentali e, in particolare, trascurando di considerare la lieve entità
delle lesioni cagionate, sono manifestamente infondati.
La Corte territoriale, facendo propria la motivazione del primo giudice,
ha dedotto l’idoneità degli atti a provocare lesioni, anche letali, dalla
particolare offensività dell’arma adoperata per attingere la vittima (un
coltello da macellaio per sfilettare con lama lunga cm. 12) e dalla zona del
corpo (addome), sede di organi vitali, colpita dalla lama, nonché dalla

fendente (testualmente: “cazzo, non ti ho fatto niente: allora aspetta che te
ne dò un’altra”); e,quindi,da elementi concreti e non astratti.
Se è pur vero che la consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero
ha concluso per l’astratta idoneità dell’aggressione a cagionare lesioni
corporee ad esito potenzialmente letale, escludendo il pericolo di vita, i
giudici di merito, tuttavia, hanno ragionevolmente apprezzato che tale
valutazione medico-legale non offusca il dato giuridico, compiutamente
esposto in sentenza, di idoneità “ex ante” degli atti compiuti alla lesione
letale, tenuto conto del concreto contesto in cui operò l’agente.
1.2. Manifestamente infondati sono anche il terzo e quarto motivo, da
esaminare a loro volta congiuntamente, coi quali si denuncia il presunto
travisamento di un fatto rilevante a proposito del numero delle coltellate
inferte (una e non due come sarebbe stato affermato in sentenza), e il
conseguente erroneo riconoscimento del dolo omicidiario anche sulla base di
tale dato e del travisato significato delle parole proferite dall’agente
all’indirizzo della vittima.
La sentenza impugnata, invero, non afferma che il Daddato fu colpito da
due coltellate, ma che l’Alì, come riferito dalla persona offesa e dai
testimoni presenti al fatto, tra cui il Casiraghi, avvedutosi che il primo
fendente non aveva abbattuto il suo antagonista, ritornò a scagliarsi contro
di lui impugnando il coltello e contestualmente pronunciando parole di
tenore inequivocabile (e non travisato in sentenza), già sopra trascritte,
senza riuscire a colpire per la seconda volta la vittima per la prontezza della
stessa che si riparò dietro un espositore pubblicitario.
Con motivazione del tutto adeguata e coerente, dunque, senza incorrere
in violazione delle regole del diritto e della logica, la Corte territoriale,
conformemente al Giudice di primo grado, ha ritenuto che azioni, gesti e
parole accertate deponessero per la direzione univoca degli atti a colpire,
anche mortalmente, la persona offesa e ha, quindi, coerentemente concluso
per l’esistenza del dolo omicidiario.

3

manifestazione del proposito omicida dell’imputato prima del secondo

1.3. Il q uinto e il sesto motivo attinenti al trattamento sanzionatorio per
vizio della motivazione sul ne g ato riconoscimento della circostanza
attenuante della provocazione e delle attenuanti g eneriche, e per eccessiva
entità della pena inflitta, deducono in realtà censure di merito non
ammissibili in q uesta sede e sono, comun q ue, manifestamente infondati,
poiché la sentenza impu g nata motiva sulla assoluta sproporzione tra il
ritenuto fatto in g iusto del licenziamento subito dall’Ari e la sua reazione
ancora più chiaramente, sottolinea tale esorbitante sproporzione ; le
circostanze attenuanti g eneriche, poi, sono state escluse per insussistenza
di dati specifici favorevoli all’imputato, non essendo a tal fine sufficiente la
mera incensuratezza e, neppure, il solo parziale risarcimento dal danno
offerto ; il trattamento sanzionatorio, infine, è stato ade g uatamente
motivato con ri g uardo alla g ravità del fatto, resa evidente dalla zona vitale
attinta e dalla micidialità del mezzo adoperato per colpire.

2. Alla dichiarazione di inammissibilità se g ue, ai sensi dell’art. 616,
comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pa g amento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n. 186 del
2000), anche la condanna al versamento a favore della cassa delle
ammende di una sanzione pecuniaria che si stima e q uo determinare in euro
mille.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pa gamento
delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, in camera di consi g lio, in data 29 ma gg io 2013.

a gg ressiva, richiamando al ri g uardo la motivazione del primo Giudice che,

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