Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49028 del 29/05/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 49028 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RADULOVIC SABRINA N. IL 08/10/1989
avverso la sentenza n. 315/2012 TRIBUNALE di BRESCIA, del
21/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 29/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 21 giugno 2012, resa ai sensi dell’art. 444 cod.
proc. pen., il Tribunale di Brescia ha applicato a Radulovic Sabrina la pena di
mesi due di arresto per il reato previsto dall’art. 2 legge n. 1423 del 1956,

2.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione

l’imputata tramite il suo difensore, il quale denuncia violazione di legge e vizio
della motivazione con riguardo all’entità della pena inflitta e al mancato
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un
meccanismo processuale in virtù del quale l’imputato ed il pubblico ministero si
accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla
concorrenza di circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sull’entità della
pena. Da parte sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza dei
menzionati aspetti giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla,
dopo aver accertato che non emerga in modo evidente una delle cause di non
punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.
Ne consegue che -una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena
ex art. 444 cod. proc. pen.- l’imputato non può rimettere in discussione profili
oggettivi o soggettivi della fattispecie, perché essi sono coperti dal
patteggiamento.
Tanto premesso, la Corte osserva che il motivo di ricorso è manifestamente
infondato, atteso che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è, da un
lato, adeguato a quanto contenuto nell’accordo intervenuto fra le parti,
apprezzando la congruità della pena pattuita; e, dall’altro, ha escluso la
sussistenza dei presupposti di cui all’art.129 cod. proc. pen., alla stregua degli
elementi di prova puntualmente indicati in sentenza.
Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in
sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, appare pienamente
adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante
giurisprudenza di legittimità (si vedano, tra le altre, Sez. U, n. 5777 del
I

commesso in Calcinato il 24 gennaio 2010.

27/03/1992, dep. 15/05/1992, Di Benedetto, Rv. 191134 e 191135; Sez. U, n.
10372 del 27/09/1995, dep. 18/10/1995, Serafino, Rv. 202270; Sez. U, n.
11493 del 24/06/1998, dep. 03/11/1998, Verga, Rv. 211468).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616,
comma 1, cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del

sanzione pecuniaria, che si stima equo determinare in euro millecinquecento.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.500,00 in favore della
cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 29 maggio 2013

Il consigliere estensore

Il presidente

2000), anche al versamento a favore della cassa delle ammende di una

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