Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 49003 del 29/05/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 49003 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ROGOLI GIUSEPPE N. IL 13/08/1946
avverso l’ordinanza n. 7978/2011 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 20/07/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 29/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza deliberata in data 20 luglio 2012, il Tribunale di
Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo avverso il provvedimento del
Ministro della giustizia, in data 30 novembre 2011, di proroga per anni due
del regime differenziato, ex art. 41-bis Ord. Pen., applicato nei confronti di
Rogoli Giuseppe, detenuto in espiazione di pena dell’ergastolo per omicidio

Il Tribunale ha ritenuto ancora attuale il pericolo di collegamenti del
reclamante con la criminalità organizzata, sulla premessa della tendenziale
indissolubilità del patto associativo criminoso, salva esplicita rottura
mediante scelta collaborativa o dissociazione, non attuata nel caso di
specie, in considerazione dei seguenti elementi: a) il profilo criminale del
condannato e la sua posizione di capo storico e fondatore della Sacra
Corona Unita, emergente dai giudicati di condanna e dalle notizie fornite
dagli uffici investigativi qualificati, DDA (Direzione distrettuale antimafia) di
Lecce e DNA (Direzione nazionale antimafia) con relazioni, rispettivamente,
del 20 e del 24 novembre 2011; Comando generale dell’Arma dei
carabinieri con relazione del 28 novembre 2011 e Ministero dell’Interno Direzione centrale anticrimine con relazione del 18 novembre 2011: in
particolare, il Rogoli avrebbe conservato la sua posizione di rilievo anche
dopo il passaggio operativo della dirigenza del sodalizio a Campana
Francesco, di cui il ricorrente è “padrino”, e a Gagliardi Carlo, come
dimostrato da recenti sviluppi investigativi e confermato da provvedimenti
giurisdizionali; b) la perdurante vitalità dell’organizzazione; c) la condotta
intramuraria del Rogoli, costellata da numerosi rapporti disciplinari (14 dal
gennaio 2009 al febbraio 2012); d) il tenore di vita dei familiari emergente
dalla notizie acquisite tramite l’istituto di pena di Viterbo e l’U.E.P.E. (Ufficio
esecuzione penale esterna) circa le proprietà immobiliari del nucleo
familiare e l’arredamento di pregio dell’appartamento abitato dalla moglie
del ricorrente.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Rogoli
tramite il difensore di fiducia, il quale deduce la violazione dell’art. 41 bis
Ord. Pen., per apparenza della motivazione che ha riconosciuto la
legittimità del provvedimento di proroga del regime differenziato.

aggravato, associazione per delinquere di tipo mafioso ed altro.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso risulta basato su motivi non consentiti nel giudizio di
legittimità.
L’art. 41 bis, comma 2-bis, della I. n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2,
comma 25, lett. d), della I. 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i
provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono

risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione
criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.
L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dal
comma 2-sexies [recentemente sostituito dall’art. 2, comma 25, lett. b), I.
n. 94 del 2009, cit.] del novellato art. 41-bis, a norma del quale il
Procuratore nazionale antimafia, il Procuratore della Repubblica che procede
alle indagini preliminari, il Procuratore generale presso la Corte d’appello, il
detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della
sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale
(solo) “per violazione di legge”.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da
intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso,
oltre che all’inosservanza delle disposizioni di legge sostanziale e
processuale, all’inesistenza della motivazione, dovendo in tale vizio essere
ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei
requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto di risultare
meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il
filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga,
ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente
scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le
ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003,
Pellegrino, Rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, Santapaola, Rv. 230203;
Sez. 6, n. 7651 del 14/01/2010, dep. 25/02/2010, Mannino, Rv. 246172).

2. Alla luce di questi principi il Collegio osserva che il ricorso, pur
denunciando formalmente il vizio di violazione di legge per inosservanza
dell’art. 41 bis Ord. Pen., sul presupposto dell’inesistenza di attuale capacità
del ricorrente di mantenere contatti con il gruppo mafioso di appartenenza,
tende in realtà a provocare una non consentita nuova valutazione delle
circostanze di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità.

2

prorogabili “per successivi periodi, ciascuno pari a due anni (…), quando

L’ordinanza impugnata, peraltro, ha correttamente valutato gli elementi
risultanti agli atti, senza violare la legge penale sostanziale e processuale,
sottolineando l’attuale operatività del sodalizio mafioso e, in esso, il ruolo
dirigenziale esercitato dal Rogoli con la coerente affermazione, in assenza di
elementi concreti da cui desumere la rescissione dei vincoli delinquenziali,
dell’attuale pericolo che il detenuto possa mantenere i collegamenti con
l’associazione criminale di appartenenza, ove sottoposto al regime

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto, ai
sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sentenza n.
186 del 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di una
sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 (mille/00) in favore
della cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 29 maggio 2013.

penitenziario ordinario.

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