Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 4899 del 27/11/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 4899 Anno 2015
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE presso la Corte d’appello di Firenze
Nei confronti di
SASSI MOHAMED

n. il 12.01.1972

avverso la sentenza n. 1189/2013 del GIP del Tribunale di Firenze del
24.08.2013
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
Udita all’udienza camerale del 27 novembre 2014 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Claudio D’Isa
Lette le richieste del Procuratore Generale nella persona del dott.
Roberto Aniello che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 27/11/2014

,

FATTO E DIRITTO
Il PROCURATORE GENERALE presso la Corte d’appello di Firenze ricorre
per cassazione avverso la sentenza, indicata in epigrafe, emessa dal GIP del
locale Tribunale ex art. 444 c.p.p. nei confronti di SASSI Mohamed in ordine
al delitto di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 (detenzione a fine di spaccio di
sostanza stupefacente, nella specie eroina e metadone) riconosciuta
l’attenuante di cui al V comma del medesimo art. 73.
Con il primo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di
motivazione con riferimento all’applicazione dell’attenuante di cui al V comma
dell’art. 73 d.P.R. 309/90 con giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva,
ritenendo del tutto generica la motivazione sul punto della sentenza
impugnata.
Con il secondo motivo si denunciano altra violazione di legge e vizio di
motivazione in riferimento alla sostituzione della pena detentiva applicata di
anni uno e mesi tre di reclusione con quella di 455 giorni di lavori di pubblica
utilità, senza alcuna motivazione specifica .
Il ricorso del Procuratore Generale è inammissibile con riferimento sia
alle denunciate violazioni di legge che ai vizi di motivazione. Invero, quanto
alla prima censura, la pena inflitta non è certamente illegale e questa Corte
ha costantemente affermato che in materia di patteggiamento, qualora il
pubblico ministero abbia prestato il proprio consenso all’applicazione di un
determinato trattamento sanzionatorio, l’impugnazione della sentenza, che
tale accordo abbia recepito, è consentita solo quando esso si configuri come
illegale. Peraltro, per qualificare illegale la pena non basta eccepire che il
giudice non abbia correttamente esplicato i poteri valutativi che lo hanno
indotto ad applicare la pena concordata, ma occorre che il risultato finale del
calcolo non risulti conforme a legge (V. sez. VI, sentenza n. 18385de1
19.02.2004, Obiapuna).
Parimenti, relativamente al secondo motivo, sempre in riferimento al
vizio motivazionale, si ricorda che questa Corte ha ripetutamente affermato
(cfr. ex plurimis Cass. S.U. 27 settembre 1995, Serafino), che l’obbligo della
motivazione della sentenza di applicazione concordata della pena va
conformato alla particolare natura della medesima e deve ritenersi adempiuto
qualora il giudice dia atto, ancorché succintamente, di aver proceduto alla
delibazione degli elementi positivi richiesti.
La inammissibilità dei motivi del ricorso del Procuratore Generale non
può, però, esimere il Collegio, ai sensi della disposizione di cui all’art. 609
c.p.p., di prendere in considerazione il mutato assetto sanzionatorio in

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*

materia di stupefacenti, non potendosi considerare preclusiva la formazione
del giudicato in senso sostanziale (nel senso da ultimo espresso da S.U. n.
24246/2004, Chiasserini), atteso che l’intervento normativo è successivo alal
data di proposizione del ricorso.
Lo ius superveniens, cui si è fatto riferimento è dato dal comma 24 ter
dell’art 1 del D.L. 36/2014, convertito in L. 79/2014, con cui è stato
modificato il comma V dell’art. 73 d.P.R. 309/90 attribuendo all’ipotesi ivi
prevista la configurazione di figura autonoma di reato anziché di circostanza

La nuova formulazione del V comma richiamato riguarda tutti i tipi di
sostanza stupefacente, senza alcuna distinzione tra droghe pesanti e droghe
leggere, e prevede la pena della reclusione da mesi sei ad anni quattro e la
multa da € 1.032 ad € 10.329, inferiore a quella prevista dal precedente d.l.
146 del 2013 convertito in L. 10/2014 ( che già aveva configurato l’ipotesi di
cui al comma V art. 73 come fattispecie autonoma di reato, senza distinzioni
tra tipi di droga, con una pena detentiva da uno a cinque anni), ed ancora
più mite rispetto alla pena prevista dallo stesso articolo nella formulazione
(Legge Fini/Giovanardi) in vigore al momento del fatto.
Inoltre è stato inserito il comma V bis dell’art. 73 in base al quale
“nell’ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati di cui al presente
articolo commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze
stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di
applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del
codice di procedura penale, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico
ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione
condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e
pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste.”
Va anche ricordato che, ancor prima dell’entrata in vigore della L79/2014 e successivamente all’entrata in vigore del D.L. 146/2013,
convertito in L. 10/2014, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 32 del
2014, depositata il 25.02.2014, che, per quanto qui rileva, ha dichiarato la
illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis della L. 21.02.2006 n. 49, cioè del
testo dell’art. 73 d.P.R. 309/90 nella formulazione di cui alla predetta legge
c.d. “Fini-Giovanardi”, determinando, come dalla Corte Costituzionale
espressamente affermato, l’applicazione dell’art. 73 del predetto d.P.R.
309/90 e relative tabelle nella formulazione originaria (Legge c.d.
“Iervolino-Vassalli”).

attenuante speciale.

Sul piano intertemporale, il problema dell’individuazione della legge più
favorevole va risolto, secondo quanto costantemente affermato dalla
giurisprudenza di questa Corte, privilegiando la disposizione in concreto
complessivamente più favorevole (e non attraverso una combinazione di
parti di disposizioni diverse), e distinguendo:
a) i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della “Fini
Giovanardi”, da giudicare scegliendo la legge più favorevole tra quella in
vigore al momento del fatto (ovvero tra l’originario comma 5 dell’art. 73,
circostanza attenuante ad effetto speciale articolata in distinte previsioni
sanzionatorie a seconda della tipologia “pesante” o “leggera” della sostanza
trattata) ed il reato autonomo introdotto dal d.l. 146 del 2013: senza alcuna
possibilità di fare applicazione – anche se in ipotesi più favorevole – della lex
intermedia dichiarata incostituzionale, dal momento che “il principio di
retroattività della norma penale più favorevole in tanto è destinato a trovare
applicazione, in quanto la norma sopravvenuta sia, di per sé,
costituzionalmente legittima” (Corte cost., sent. n. 394 del 23 novembre
2006);
b)i fatti commessi durante la vigenza della “Fini – Giovanardi”, in
relazione ai quali dovrà invece tenersi conto, nell’individuazione della legge
più favorevole, anche delle norme dichiarate incostituzionali, “per il valore
assoluto del principio di irretroattività della norma meno favorevole”1.
E’ in tale contesto che si colloca l’ulteriore modifica, apportata
all’art. 73 comma 5 del testo unico, dalla legge n. 79: modifica, come già
evidenziato, consistita esclusivamente nella mitigazione della risposta
sanzionatoria (reclusione da sei mesi a quattro anni e multa da euro 1.032 a
euro 10.329, in luogo della reclusione da uno a cinque anni e della multa da
euro 3.000 a euro 26.000), senza alcun intervento volto a ripristinare la
distinzione tra “droghe leggere” e “droghe pesanti”, che – come già più volte
accennato – è ormai tornata in vigore per i fatti non lievi e che,
nell’originaria formulazione dell’art. 73 del testo unico, connotava anche il
trattamento sanzionatorio per i fatti di lieve entità.
In ragione di quanto esposto e dovendo trovare applicazione la
disposizione di cui all’art. 2, comma 4 codice penale, si impone
l’annullamento della sentenza senza rinvio essendo venuta meno la validità
del patto con trasmissione degli atti al Tribunale di Messina.

..

P.Q.M.
Annulla l’ impugnata sentenza senza rinvio e dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Firenze

Così deciso in Roma all’udienza camerale del 27 novembre 2014.

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