Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48980 del 14/05/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48980 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CICERO DOMENICO N. IL 28/07/1957
avverso l’ordinanza n. 7228/2011 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 11/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 14/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza deliberata in data 11 maggio 2012 il Tribunale di
Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo avverso il provvedimento del
Ministro della giustizia, in data 28 ottobre 2011, di proroga del regime
differenziato, ex art. 41-bis Ord. Pen., applicato nei confronti di Cicero
Domenico, detenuto in espiazione di condanna ad anni 23 di reclusione per i
reati di omicidio aggravato ed altro; condannato con sentenza non ancora

tipo mafioso; e destinatario di ordinanza di custodia cautelare in carcere del
28 giugno 2011 per ulteriori reati di omicidio aggravato ed altro.
Ad avviso del Tribunale, la proroga del suddetto regime penitenziario
era giustificata da plurimi elementi: a) l’attuale operatività del gruppo della
`ndrangheta denominato “cosca Perna”, diretta dal Cicero, attiva unitamente
alla cosca Ruà nel territorio di Cosenza; b) il ruolo di capo esercitato dal
Cicero e la pericolosità del sodalizio dedito a gravissimi delitti (omicidi,
estorsioni, usura, riciclaggio ed altro), come confermato anche da recenti
attività investigative; c) l’assenza nel Cicero di segnali di resipiscenza,
l’elevato tenore di vita dei familiari, nonostante l’assenza di redditizia
attività lavorativa, come da informazioni trasmesse dagli organi qualificati
(Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Direzione nazionale
antimafia, Comando generale dei Carabinieri, Ministero dell’Interno)
Sussistevano, quindi, secondo il Tribunale, elementi idonei per ritenere,
in concreto, l’attuale pericolo di collegamenti del reclamante con la
criminalità organizzata, anche in considerazione della tendenziale
indissolubilità del patto associativo criminoso, salva esplicita rottura
mediante scelta collaborativa o dissociazione, non attuata nel caso di
specie.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Cicero
tramite il difensore di fiducia, il quale deduce la violazione dell’art. 41 bis
Ord. Pen., per erronei richiami ai precedenti del ricorrente, e l’assenza di
attuale pericolosità sociale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

i

irrevocabile alla pena di anni 15 di reclusione per il delitto di associazione di

L’art. 41 bis, comma 2-bis, della I. n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2,
comma 25, lett. d), della I. 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i
provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono
prorogabili “per successivi periodi, ciascuno pari a due anni (..), quando
risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione
criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.
L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dal

n. 94 del 2009, cit.] del novellato art. 41-bis, a norma del quale il
Procuratore nazionale antimafia, il Procuratore della Repubblica che procede
alle indagini preliminari, il Procuratore generale presso la Corte d’appello, il
detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della
sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale
(solo) “per violazione di legge”.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da
intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso,
oltre che all’inosservanza delle disposizioni di legge sostanziale e
processuale, all’inesistenza della motivazione, dovendo in tale vizio essere
ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei
requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto di risultare
meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il
filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga,
ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente
scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le
ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003,
Pellegrino, Rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, Santapaola, Rv. 230203;
Sez. 6, n. 7651 del 14/01/2010, dep. 25/02/2010, Mannino, Rv. 246172).

2. Alla luce di questi principi il Collegio osserva che il ricorso, pur
denunciando formalmente il vizio di violazione di legge per inosservanza
dell’art. 41 bis Ord. Pen., sul presupposto dell’inesistenza di attuale capacità
del ricorrente di mantenere contatti con il gruppo mafioso di appartenenza,
tende in realtà a provocare una non consentita nuova valutazione delle
circostanze di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità.
L’ordinanza impugnata, peraltro, ha correttamente valutato gli elementi
risultanti agli atti, senza violare la legge penale sostanziale e processuale,
sottolineando l’attuale operatività del sodalizio della

‘ndrangheta

di

appartenenza del ricorrente e, in esso, il ruolo di capo esercitato dallo
stesso Cicero, con la coerente affermazione, in assenza di elementi concreti
2

comma 2-sexies [recentemente sostituito dall’art. 2, comma 25, lett. b), I.

da cui desumere la rescissione dei vincoli delinquenziali, dell’attuale pericolo
che il detenuto possa mantenere i collegamenti con l’associazione criminale
di appartenenza, ove sottoposto al regime penitenziario ordinario.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, di diritto, la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della

versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria
che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’art. 616, comma 1,
cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 14 maggio 2013.

causa di inammissibilità (Corte cost. sentenza n. 186 del 2000), al

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