Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48975 del 14/05/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48975 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GIARDINO ANTIMO N. IL 07/04/1973
avverso l’ordinanza n. 2909/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 15/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 14/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza deliberata il 15 giugno 2012 il Tribunale di

Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo avverso il provvedimento del
Ministro della giustizia, in data 2 novembre 2011, di proroga del regime
differenziato, ex art. 41-bis Ord. Pen., applicato nei confronti di Giardino
Antimo, detenuto in espiazione della pena dell’ergastolo per associazione di

Ad avviso del Tribunale, la proroga del suddetto regime penitenziario
era giustificata da plurimi elementi: a) l’azione diffusa ed aggressiva della
criminalità organizzata in cui è inserito il Giardino, con la recente ripresa
della lotta tra clan contrapposti e l’uccisione di più agenti di polizia
penitenziaria, e, in particolare, l’attuale operatività del clan di appartenenza
del Giardino, attestata da operazioni di polizia compiute negli anni 2009,
2010 e 2011 che avevano condotto all’arresto di diversi affiliati; b) il ruolo
di rilievo esercitato da Giardino nel gruppo affiliato alla Sacra Corona Unita,
operante nel territorio di Mesagne; c) le direttive impartite dal Giardino dal
carcere, con riferimento al traffico di stupefacenti e alle estorsioni da
consumare nel territorio controllato, come emerso dall’attività investigativa
della Squadra mobile di Brindisi; d) la circostanza che lo stesso Giardino,
nelle recenti note della D.I.A. e della D.D.A. di Lecce nonché del Comando
generale dell’Arma dei Carabinieri, fosse indicato come attualmente inserito
nel clan di appartenenza.
Sussistevano, quindi, secondo il Tribunale, elementi idonei per ritenere,
in concreto, l’attuale pericolo di collegamenti del reclamante con la
criminalità organizzata, anche in considerazione della tendenziale
indissolubilità del patto associativo criminoso, salva esplicita rottura
mediante scelta collaborativa o dissociazione, non attuata nel caso di
specie.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Giardino
tramite il difensore di fiducia, il quale deduce due motivi: la violazione
dell’art. 41 bis Ord. Pen.; la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta
illogicità la della motivazione con specifico riferimento all’attualità della
pericolosità, indimostrata secondo il ricorrente, essendo il decreto
ministeriale contenente l’ennesima proroga del regime differenziato mera ed
acritica ripetizione di altri analoghi provvedimenti precedenti.

ci,

tipo mafioso ed omicidio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso risulta basato su motivi non consentiti nel giudizio di
legittimità.
L’art. 41 bis, comma 2-bis, della I. n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2,
comma 25, lett. d), della I. 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i
provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono

risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione
criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.

L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dal
comma 2-sexies [recentemente sostituito dall’art. 2, comma 25, lett. b), I.
n. 94 del 2009, cit.] del novellato art. 41-bis, a norma del quale il
Procuratore nazionale antimafia, il Procuratore della Repubblica che procede
alle indagini preliminari, il Procuratore generale presso la Corte d’appello, il
detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della
sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale
(solo) “per violazione di legge”.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da
intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso,
oltre che all’inosservanza delle disposizioni di legge sostanziale e
processuale, all’inesistenza della motivazione, dovendo in tale vizio essere
ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei
requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto di risultare
meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il
filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga,
ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente
scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le
ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003,
Pellegrino, Rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, Santapaola, Rv. 230203;
Sez. 6, n. 7651 del 14/01/2010, dep. 25/02/2010, Mannino, Rv. 246172).

2. Alla luce di questi principi il Collegio osserva che il ricorso, pur
denunciando formalmente il vizio di violazione di legge per inosservanza
dell’art. 41 bis Ord. Pen., sul presupposto dell’inesistenza di attuale capacità
del ricorrente di mantenere contatti con il gruppo mafioso di appartenenza,
tende in realtà a provocare una non consentita nuova valutazione delle
circostanze di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità.

2

prorogabili “per successivi periodi, ciascuno pari a due anni (…), quando

L’ordinanza impugnata, peraltro, ha correttamente valutato gli elementi
risultanti agli atti, senza violare la legge penale sostanziale e processuale,
sottolineando l’attuale operatività del sodalizio mafioso e, in esso, il ruolo di
rilievo esercitato dal Giardino, benché non condannato come dirigente del
sodalizio, con la coerente affermazione, in assenza di elementi concreti da
cui desumere la rescissione dei vincoli delinquenziali, dell’attuale pericolo
che il detenuto possa mantenere i collegamenti con l’associazione criminale

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità (Corte cost. sentenza n. 186 del 2000), al
versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria
che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 14 maggio 2013.

di appartenenza, ove sottoposto al regime penitenziario ordinario.

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