Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48962 del 14/05/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48962 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CHINDAMO ANTONIO N. IL 17/06/1967
avverso l ‘ordinanza n. 6736/2011 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 04/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 14/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza deliberata il 4 maggio 2012 il Tribunale di

Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo avverso il provvedimento del
Ministro della giustizia, in data 13 ottobre 2011, di proroga del regime
differenziato, ex art. 41-bis Ord. Pen., applicato a far tempo dall’Il
novembre 2003 nei confronti di Chindamo Antonio, detenuto in espiazione
della pena di anni 30 di reclusione, giusta provvedimento di esecuzione di

di Palmi per delitti di associazione di tipo mafioso, omicidio, detenzione di
armi, estorsione aggravata ed altro.
Ad avviso del Tribunale, la proroga del suddetto regime penitenziario
era giustificata da plurimi elementi: a) l’attuale operatività della omonima
cosca della ‘ndrangheta radicata nel territorio di Laureana di Borrello (in
provincia di Reggio Calabria) e alleata di altra storica associazione della
piana di Gioia Tauro, la cosca Bellocco di Rosarno, alcuni esponenti della
quale erano stati anche recentemente raggiunti da ordinanza di custodia
cautelare in carcere per avere costituito un circuito di sostegno alla latitanza
di propri esponenti con la realizzazione anche di bunker sotterranei; b) il
ruolo apicale esercitato da Chindamo Antonio all’interno del clan insieme ai
fratelli, con loro impegnato nella sanguinosa faida di Laureana di Borrello, e
la sua lunga latitanza protrattasi dal 1999 al 2003; c) l’irrilevanza delle
vicende pregresse del regime detentivo speciale riguardanti lo stesso
Chindamo Antonio, in passato destinatario di provvedimento di
annullamento di esso, quindi ripristinato e confermato con ordinanza del
Tribunale di sorveglianza di Roma del 5 marzo 2010 per la sopravvenienza
di nuovi elementi; d) il carattere strettamente individualizzante della misura
e la non comparabilità della posizione del ricorrente con quella dei fratelli,
Rocco e Giosuè, ai quali il medesimo regime era stato revocato, essendo i
predetti detenuti da 16 anni, mentre Chindamo Antonio era stato arrestato
successivamente, nel 2003, a seguito di lunga latitanza.
Sussistevano, quindi, secondo il Tribunale, elementi idonei per ritenere,
in concreto, l’attuale pericolo di collegamenti del reclamante con la
criminalità organizzata.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
Chindamo tramite il difensore di fiducia, il quale deduce due motivi: la
violazione dell’art. 41 bis Ord. Pen.; la mancanza, la contraddittorietà e la
manifesta illogicità della motivazione.
i

dr

pene concorrenti emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso risulta basato su motivi non consentiti nel giudizio di
legittimità.
L’art. 41 bis, comma 2-bis, della I. n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2,
comma 25, lett. d), della I. 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i
proroga bili “per successivi periodi, ciascuno pari a due anni (…), quando
risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione
criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.
L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dal
comma 2-sexies [recentemente sostituito dall’art. 2, comma 25, lett. b), I.
n. 94 del 2009, cit.] del novellato art. 41-bis, a norma del quale il
Procuratore nazionale antimafia, il Procuratore della Repubblica che procede
alle indagini preliminari, il Procuratore generale presso la Corte d’appello, il
detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della
sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale
(solo) “per violazione di legge”.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da
intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso,
oltre che all’inosservanza delle disposizioni di legge sostanziale e
processuale, all’inesistenza della motivazione, dovendo in tale vizio essere
ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei
requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto di risultare
meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il
filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga,
ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente
scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le
ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003,
Pellegrino, Rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, Santapaola, Rv. 230203;
Sez. 6, n. 7651 del 14/01/2010, dep. 25/02/2010, Mannino, Rv. 246172).

2. Alla luce di questi principi il Collegio osserva che il ricorso, pur
denunciando formalmente il vizio di violazione di legge per inosservanza
dell’art. 41 bis Ord. Pen., sul presupposto dell’inesistenza di attuale capacità
del ricorrente di mantenere contatti con il gruppo mafioso di appartenenza,
tende in realtà a provocare una non consentita nuova valutazione delle
circostanze di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità.
2

provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono

L’ordinanza impugnata, peraltro, ha correttamente valutato gli elementi
risultanti agli atti, senza violare la legge penale sostanziale e processuale,
sottolineando l’attuale operatività del sodalizio mafioso e, in esso, il ruolo
dirigenziale esercitato dal Chindamo con la coerente affermazione, in
assenza di elementi concreti da cui desumere la rescissione dei vincoli
delinquenziali, dell’attuale pericolo che il detenuto possa mantenere i
collegamenti con l’associazione criminale da lui diretta, ove sottoposto al

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità (Corte cost. sentenza n. 186 del 2000), al
versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria
che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 14 maggio 2013.

regime penitenziario ordinario.

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