Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48960 del 14/05/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48960 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FRANCO VINCENZO N. IL 22/10/1947
avverso l’ordinanza n. 2/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
15/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 14/05/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza deliberata il 15 maggio 2012 la Corte di appello di
Bologna ha respinto il ricorso proposto da Franco Vincenzo avverso il
provvedimento del Tribunale di Rimini, in data 14 novembre 2011, di
applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza
speciale di pubblica sicurezza, con l’obbligo di soggiorno nel comune di
residenza o di abituale dimora per la durata di tre anni, e della misura di

appartamenti siti in Rimini, di cui due (l’uno ubicato in via Moretti e l’altro
in via Bidente) intestati a Di Somma Giuseppina ed un terzo, pure ubicato
in via Bidente, intestato a Franco Veronica, rispettivamente moglie separata
e figlia del proposto; con la confisca altresì di due motocicli, Suzuki e
Aprilia, intestati alla Di Somma, e di una Volkswagen Polo intestata alla
Franco.

2.

Avverso la predetta ordinanza ricorre per cassazione il Franco

personalmente, il quale deduce due motivi.
2.1. Con il primo motivo lamenta la contraddittorietà ovvero la
manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta sua
pericolosità sociale.
2.2. Con il secondo motivo deduce la contraddittorietà ovvero la
manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui individua la sua
pericolosità sociale sulla base del presunto carattere fittizio dell’attribuzione
dei beni confiscati ai propri familiari.

CONSIDERATO in DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché, come emerge dalla stessa
enunciazione delle censure sollevate, risulta proposto per motivi non
consentiti dalla legge.
Nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso
soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4, undicesimo
comma, dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3ter,
secondo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575; ne consegue che, in
tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili
in sede di legittimità la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.,
potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile
come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al
giudice d’appello dal decimo comma del predetto art. 4 legge n. 1423 del
1

Cf

prevenzione patrimoniale della confisca, con contestuale sequestro, di tre

1956, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. 2, n.
703 del 03/02/2000, dep. 10/03/2000, Ingraldi, Rv. 215556; conformi, tra
le molte, n. 23041 del 28/03/2002, dep. 14/06/2002, Rv. 221675; n.
15107 del 17/12/2003, dep. 30/03/2004, Rv. 229305; n. 35044 del
08/03/2007, dep. 18/09/2007, Rv. 237277; n. 19598 del 08/04/2010, dep.
24/05/2010, Rv. 247514). E ciò anche in conformità della sentenza della
Corte costituzionale n. 321 del 2004, la quale ha ritenuto infondata la

legge n. 1423 del 1956, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Cost.,
tenuto conto della possibilità di modulare il diritto di difesa in relazione alle
caratteristiche di ciascun procedimento, allorché di tale diritto siano
comunque assicurati lo scopo e la funzione.
Nel caso in esame, l’ordinanza impugnata non è apparentemente
motivata, ma al contrario espone diffusamente le ragioni della ritenuta
attuale pericolosità sociale del Franco, più volte condannato per reati gravi
e in rapporti di frequentazione con persone pregiudicate, e della fittizia
intestazione dei beni alle congiunte, di valore del tutto sproporzionato ai
redditi dichiarati e all’attività economica del Franco e dei suoi familiari e,
perciò, ritenuti provento diretto o indiretto degli illeciti commessi nel tempo
dal proposto.

2. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616,
comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del
2000), anche la condanna al versamento a favore della cassa delle
ammende di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare, tra il
minimo ed il massimo previsti, in euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 14 maggio 2013.

questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, undicesimo comma, della

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