Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48954 del 14/05/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 48954 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MARTINOLI STEFANO N. IL 29/05/1964
avverso la sentenza n. 1926/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del
06/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 14/05/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza pronunciata il 6 giugno 2012 la Corte di appello di
Milano ha confermato la sentenza emessa in data 11 dicembre 2007 dal
Tribunale di Pavia, con la quale Martinoli Stefano era stato condannato, con
le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi otto di reclusione ed
euro 400,00 di multa, per aver detenuto nella propria abitazione, in
a tre.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso a questa Corte di
cassazione il Martinoli personalmente, il quale, con quattro motivi, deduce:
a) violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento agli artt. 7 e
10 legge n. 110 del 1975 (la pistola Beretta, modello 1950, meglio descritta
nel capo di imputazione, avrebbe dovuto essere classificata come arma da
collezione e non come arma comune da sparo, considerata altresì la
sopravvenuta abrogazione dell’art. 7 della legge n. 110 del 1975 in tema di
catalogo nazionale delle armi comuni da sparo); b) violazione di legge e
vizio della motivazione con riguardo all’art. 10 legge n. 110 del 1975,
poiché, pur ammettendo che la pistola Beretta, di cui sopra, sia un’arma
comune da sparo, il Martinoli era in possesso di due regolari licenze
rilasciategli dal questore di Pavia, pertinenti alla pistola Smith Wesson e alla
pistola Korth, sicché la pistola Beretta non eccedeva il numero di tre pistole
ammesse; c) violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento
all’alt. 43, comma primo, cod. pen., con riguardo all’elemento psicologico
(dolo) del reato, non desumibile dalla sola circostanza che il Martinoli fosse
titolare di licenza come collezionista di armi; d) violazione di legge
sostanziale e processuale, perché la notificazione della citazione in appello
era stata effettuata al Martinoli presso il primo difensore, senza considerare
che egli aveva nominato un nuovo difensore per il processo di appello e,
medio termine, aveva cambiato residenza, con la conseguente nullità
dell’intero giudizio di appello.
CONSIDERATO in DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo da esaminare, seguendo l’ordine logico delle
questioni proposte, è il quarto che riguarda la pretesa nullità del giudizio di
appello per la notificazione del decreto di citazione a giudizio presso il
1

Linarolo, il 10 febbraio 2005, un numero di armi comuni da sparo superiore

precedente difensore dell’imputato, il quale, per il secondo giudizio, ne
avrebbe nominato un altro.
Esso è inammissibile perché del tutto generico e perché espressamente
suppone che, nonostante la nomina del nuovo difensore, l’elezione di
domicilio presso il precedente patrocinatore non fosse stata revocata.
Dall’intestazione della sentenza di appello emerge, inoltre, che il
Martinoli fu difeso dall’avvocato Fabrizio Gnocchi del foro di Pavia, presente

eccepì con riguardo alla costituzione del rapporto processuale.
1.2. Il primo motivo si risolve nella generica contestazione della qualità
di arma comune da sparo della pistola semiautomatica Beretta, calibro 7,65
con matricola 748740, così specificata nel capo di imputazione, anche alla
luce della sopravvenuta abrogazione a partire dal 1° gennaio 2012 dell’art.
7 della legge n. 110 del 1975 sul catalogo nazionale delle armi comuni da
sparo, in forza dell’art. 14, comma 7, legge 12/11/2011, n. 183 (legge di
stabilità 2012).
La censura è inammissibile, poiché si limita a richiamare, a sostegno
della negata classificazione della suddetta pistola come arma comune da
sparo, la documentazione proveniente da tale armiere Beolchini di Pavia, la
quale, contrariamente all’assunto del ricorrente, forma oggetto di specifica
disamina nella sentenza impugnata che evidenzia come essa non escluda la
qualità di arma comune da sparo della medesima pistola. E tale valutazione,
che prescinde dalla catalogazione dell’arma ai sensi dell’abrogato art. 7
della legge n. 110 del 1975, non costituisce oggetto di alcuna specifica
censura del ricorrente in questa sede.
1.3. Il secondo motivo è manifestamente infondato, perché, in contrasto
col chiaro tenore del capo di imputazione e gli accertamenti su cui si fonda
il presente processo, postula che la pistola Beretta in esame fosse la terza e
non la quarta arma comune da sparo detenuta dal Martinoli in violazione
della disposizione di cui all’art. 10, comma sesto, legge n. 110 del 1975.
1.4. Il terzo motivo che contesta il ritenuto dolo del reato ascritto, che
sarebbe stato ritenuto dalla Corte territoriale in contrasto con la legge e
sulla base di motivazione manifestamente illogica e contraddittoria, è
manifestamente infondato.
Con argomentazione completa e coerente, esente da violazioni delle
regole della logica e del diritto, la Corte di appello ha, invece, ritenuto che il
Martinoli, persona avvezza alla detenzione di armi (possedute a decine) e
munita di licenza come collezionista di esse, non ignorava la necessità della
licenza del questore per detenere una quarta pistola oltre il numero di tre
2

or

in udienza, indicato come domiciliatario dello stesso imputato, il quale nulla

già possedute, con la conseguente insufficienza della mera denuncia della
quarta arma ai carabinieri di Belgioioso.

2. Alla dichiarazione di inammissibilità, che preclude la rilevanza della
prescrizione del reato compiutasi solo dopo la pronuncia della sentenza
impugnata (conforme: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, dep. 21/12/2000, De
Luca, Rv. 217266), consegue, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc.

mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), anche la
condanna al versamento a favore della cassa delle ammende di una
sanzione pecuniaria che pare congruo determinare, tra il minimo ed il
massimo previsti, in euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, in data 14 maggio 2013.

pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in

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