Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 48847 del 24/11/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 48847 Anno 2015
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MENICHETTI CARLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAVLIC VOREN N. IL 04/03/1980
avverso l’ordinanza n. 1314/2014 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
22/01/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLA MENICHETTI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Data Udienza: 24/11/2015

Considerato in fatto
Pavlic Voren, a mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso avverso l’ordinanza
con cui la Corte d’Appello di Trieste ha dichiarato inammissibile, per tardività, l’istanza di
restituzione nel termine per impugnare la sentenza 11.11.2011 del Tribunale di
Pordenone, irrevocabile il 24.2.2012, con la quale era stato condannato alla pena di
giustizia per il delitto di cessione di sostanze stupefacenti.
Ripercorrendo la vicenda, la Corte territoriale ha evidenziato: che nei confronti del

carcere dal G.I.P. del Tribunale di Pordenone il 17.11.2008; che l’imputato fu dichiarato
latitante e nei suoi confronti fu pronunciata la sentenza di condanna in oggetto; che a
seguito di mandato di arresto europeo dello stesso G.I.P., il Pavlic venne arrestato il
4.7.2013 in Croazia e, dopo l’interrogatorio da parte del giudice del Tribunale di Pola,
giunse a Roma Fiumicino il 24.7.2013; che in quella data gli fu notificata l’ordinanza
cautelare 17.11.2008 nonché il provvedimento di esecuzione pene concorrenti emesso
dalla Procura del Tribunale di Pordenone in data 9.7.2013, dal quale risultavano, oltre
alla sentenza di cui alla istanza di rimessione in termini, altre due sentenza irrevocabili,
rispettivamente del 2004 e del 2006; l’istanza di restituzione in termini era stata
presentata il 20.8.2014 alla Corte d’Appello di Venezia e poi trasmessa per competenza a
quella di Trieste; che sentito dal magistrato di Sorveglianza di Padova in data
19.12.2014, il Pavlic aveva dichiarato, tra l’altro, che all’atto del suo arrivo a Fiumicino gli
era stata consegnata una carta scritta in lingua italiana in base alla quale doveva
scontare una condanna già definitiva a 15 anni di reclusione, che non era stato in grado
di comprenderne il significato per mancata conoscenza della lingua e che aveva appreso il
fatto dai suoi compagni di cella.
Ciò posto in relazione ai fatti e dato atto che, computato il periodo di sospensione
feriale, l’istanza avrebbe dovuto essere presentata al più tardi 1’8.10.2013, mentre era
stata proposta, come detto, solo il 30.8.2014, la Corte di merito – a motivo del rigetto
della richiesta – rilevava, in primo luogo, come il Pavlic, all’atto del suo ingresso in
carcere in Italia, avrebbe ben potuto ottenere la traduzione degli atti che gli erano stati
notificati, tra i quali il provvedimento di esecuzione pene concorrenti che comprendeva la
sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Pordenone per il medesimo fatto oggetto
dell’ordinanza cautelare, attraverso il procedimento previsto dall’art.94 comma 1 bis
disp.att.c.p.p., e, in secondo luogo, come nell’istanza presentata il 30.8.2014 il detenuto
non avesse fatto alcun cenno alla sua dedotta mancata conoscenza della lingua italiana,
circostanza riferita solo nel corso della udienza tenuta davanti al Magistrato di
Sorveglianza di Padova il 19.12.2014, in cui non risultava peraltro la presenza di un
interprete.
A sostegno del ricorso avverso la detta ordinanza, il difensore articola un unico
ampio motivo in cui deduce la violazione del diritto di difesa con riferimento all’art.143

Pavlic fu emessa ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in

c.p.p. in relazione alla mancata traduzione in lingua slovena o croata dell’ordine di
esecuzione di pene concorrenti del 9.7.2013 ed il vizio di motivazione sul punto.
Il P.G. con nota 28 luglio 2015 ha concluso per annullamento senza rinvio
dell’impugnata ordinanza e restituzione degli atti al giudice di merito per l’ulteriore corso.
Ritenuto in diritto
Il ricorso è infondato e va rigettato, atteso che il provvedimento impugnato è
sorretto da corrette argomentazioni della Corte di merito, ben articolate e del tutto

Deve invero osservarsi che in tema di restituzione nel termine per proporre
impugnazione avverso una sentenza contumaciale di condanna, è tardiva l’istanza
presentata dal condannato straniero oltre il termine di trenta giorni dalla notifica
dell’ordine di esecuzione e del conseguente ingresso in carcere, considerato che, a norma
dell’art.94, comma primo bis, disp.att.c.p.p. (comma aggiunto dall’art.23 della Legge 8
agosto 1995, n.332), il direttore o l’operatore penitenziario sono tenuti ad accertare, se
del caso con l’ausilio di un interprete, che l’interessato abbia avuto effettiva conoscenza
del provvedimento che dispone la carcerazione, nonché ad illustrarne, ove occorra, i
contenuti (in tal senso Sez.I, 7.12.2006, n.40323).
Del resto l’imputato non si duole di aver avanzato in carcere richiesta di
traduzione e di non aver avuto riscontro, e dunque tale procedura deve ritenersi svolta
come per legge, né, sotto altro profilo, risulta che egli non conoscesse la lingua italiana,
come sostenuto nel corso dell’interrogatorio del 9.12.2014.
Si rileva ancora sul punto che il Pavlic venne arrestato, come già detto in
narrativa, a seguito di mandato di arresto europeo e che la giurisprudenza di questa
Corte, pronunciandosi sull’ambito applicativo delle novellate disposizioni di cui all’art.143
c.p.p., che hanno recepito nell’ordinamento interno i principi contenuti nell’art.3 della
direttiva 2010/64/UE, che comprende anche la speciale disciplina della procedura di
consegna relativa al m.a.e., ha stabilito il principio che l’imputato alloglotta che non
conosca la lingua italiana ha diritto ad ottenere la traduzione degli atti suindicati solo se
ne faccia espressa e motivata richiesta: non risulta, nella specie, che all’atto dell’arresto
l’imputato abbia rappresentato tale esigenza e dunque, anche sotto questo profilo, non vi
é prova della sua mancata conoscenza della lingua italiana (così Sez.VI, n.1199/2015).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del Pavlic al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma nella camera di consicilio del 24 novembre 2015.

conformi a legge.

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